Corriere della Sera - La Lettura

Il jazz consola Caino (sì, gli manca Abele)

- Di ALESSANDRA IADICICCO

«Il lungo inverno di Dan Kaspersen» è il romanzo d’esordio di Levi Henriksen: solitudine e suoni, il legame tra fratelli e la religione

Un Bob Dylan norvegese. Così viene definito dai connaziona­li Levi Henriksen, 55 anni, musicista e storytelle­r dalla voce aspra, ruvida, graffiante tanto da parere arrogante e insieme ardente. L’espressivi­tà delle sue canzoni — le si ascolta facilmente sui canali della musica in streaming — è tanto più evidente in quanto tutta manifestat­a nella forma (a vantaggio di chi non capisce la lingua nordica in cui sono cantate) e si ritrova, e riconosce con soddisfazi­one, nei suoi romanzi tradotti in italiano. Norwegian Blues, pubblicato da Iperborea nel 2017. E adesso Il lungo inverno di Dan Kaspersen, tradotto con un formidabil­e orecchio per la lingua — quella di partenza e quella di arrivo — da Andrea Berardini.

Si tratta del primo romanzo di Henriksen, uscito dopo la pubblicazi­one di due volumi di racconti nel 2004 e subito divenuto un bestseller in Norvegia, tra l’altro insignito del premio dei librai norvegesi. Henriksen aveva quarant’anni e poco più giovane di lui è il suo protagonis­ta, Dan, un antieroe incerto, esitante, impulsivo e reticente che incontriam­o all’inizio della storia, sulla prima pagina, nella prima riga, nell’atto di voltare le spalle per andarsene. Sta assistendo al funerale del fratello minore, trovato morto, suicida, nell’abitacolo della sua auto ma, sopraffatt­o dal vuoto e del nulla, sotto un cielo invernale in cui aleggia un «odore di neve», da cui grava «lo sguardo morto di Dio», su cui «incombe», pesantissi­mo, l’imminente Natale, abbandona il camposanto prima che la bara venga calata nella terra e si ritira nella desolata fattoria di famiglia. I genitori, si evince da una narrazione composta per tasselli, indizi, rapide evocazioni di ricordi, sono morti in un incidente stradale quasi vent’anni prima. Dan è appena uscito di galera, dove ha scontato due anni per traffico di droga. E quella che l’aspetta nel paesello dove, sin da ragazzo, non sognava altro che di scappare, non è propriamen­te la sensazione di un ritorno a casa.

Gli occhi dei compaesani si appuntano su di lui più sospettosi che compassion­evoli. Perché non è rimasto fino alla fine delle esequie? Perché, indosso ancora completo e soprabito, è corso alla porcilaia a macellare e scuoiare due maiali? E perché subito dopo ha bruciato i suoi vestiti intrisi di sangue? Tra l’altro, durante la funzione, il possidente più vecchio e più ricco della cittadina rurale è stato malmenato in casa sua, e guarda caso si tratta del nonno del rampollo che aveva ingaggiato Dan per il trasporto di hashish oltreconfi­ne e che, denunciato vigliaccam­ente il suo complice, era uscito dal processo incensurat­o.

Il contesto ha tutta l’aria di essere quello di un giallo. Ma è solo un pretesto. C’è il morto, sì. C’è il movente della vendetta e dell’odio. C’è un inaspettat­o — e non rivelabile — colpo di scena nel finale. Ma la voglia di indagare e di scoprire, l’intrigata curiosità del lettore intento a voltare le pagine del libro con smania crescente non sono tanto dirette alla soluzione del caso, quanto all’esplorazio­ne dell’animo di Dan, il fratello solo, il figlio orfano, il Figliol Prodigo, Caino nostalgico per la scomparsa di Abele e tormentato da un inespiabil­e senso di colpa.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy