Corriere della Sera - La Lettura
L’arte di SanPa I contemporanei tra gli antichi
I lavori donati a San Patrignano da Hirst e Pistoletto, Beecroft e Isgrò, Kentridge e Schnabel... stanno per essere allestiti a Rimini nel nuovo (in realtà straordinariamente vecchio) Part, i Palazzi dell’arte. Apertura il 14 marzo. Letizia Moratti: «Anche qui si può trovare rimedio alle fragilità della società»
Il museo come spazio per nuove sicurezze. Il museo come punto d’incontro tra antico, moderno, contemporaneo. Il museo come tassello fondamentale per la rinascita culturale di una città. Oltre gli stendardi colorati simil-medievali realizzati da David Tremlett con i ragazzi della comunità di recupero di San Patrignano (stendardi che guardano alla lezione di Giotto, Piero della Francesca, Mantegna e che apriranno il percorso espositivo) non si nascondono soltanto tutte le anime del Part (acronimo per Palazzi dell’Arte) di Rimini, il nuovo spazio nato dalla riqualificazione a fini artistico-culturali del Palazzo dell’Arengo e del Palazzo del Podestà, ma anche una certa (nuova) idea di museo, capace di oltrepassare confini, pregiudizi, «chiusure» — culturali, artistiche, sociali, temporali, economiche — per diventare «il museo di tutti e per tutti».
L’appuntamento è fissato per sabato 14 marzo, per l’inaugurazione ufficiale del Part (per l’occasione ingresso libero a tutti i musei di Rimini): ma il cantiere (che «la Lettura» ha visitato in anteprima) già rivela, oltre le impalcature e il via-vai degli operai con il casco giallo, la forza e l’unicità di un progetto che trasformerà due capolavori architettonici del XIII e XIV secolo, il Palazzo dell’Arengo e il Palazzo del Podestà, in un unico contenitore senza tempo destinato ad accogliere le opere di arte contemporanea (arrivate dopo le ultime acquisizioni a quota 58) donate da artisti, collezionisti e galleristi alla Fondazione di San Patrignano. In un dialogo virtuoso tra la Madonna pian
gente con lacrima cubista (2019) di Francesco Vezzoli, Samsia (2014) di Ibrahim Mahama o D’aprés Capodanno (1980) di Pier Paolo Calzolari (sono alcune delle acquisizioni più recenti) e i tesori (già da tempo certificati) di Rimini. Cominciando dal Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti terminato nel 1503 (con l’affresco di Piero della Francesca dedicato a Sigismondo Pandolfo Malatesta, ritratto in preghiera davanti a san Sigismondo, 1451) per arrivare al «prossimo» Museo Fellini (che si dovrebbe aprire a fine anno) e alla ricostruzione del Teatro Galli (l’unico ancora esistente a essere stato inaugurato da Giuseppe Verdi).
Soffitti a cassettoni di legno scuro, pareti e pavimenti chiari, una suggestiva decorazione floreale tardo ottocentesca ormai storicizzata, una sequenza di grandi spazi semplici e di grandi vetrate ad arco affacciate sulla centralissima piazza Cavour e sul giardino, un susseguirsi di grandi tavole in legno dove troveranno posto i simboli della collezione di San Patrignano (prima fra tutti la toccante maternità di VVBSS.002 di Vanessa Beecroft, uno dei simboli della collezione), una sequenza di immagini forti e coinvolgenti (tra gli autori Michelangelo Pistoletto, Emilio Isgrò, Damien Hirst, Sandro Chia, Alessandro Busci, Natalie Djurberg, Julian Schnabel, William Kentridge, Igor Mitoraj). Questo sarà il Part.
«Nell’arte si può trovare rimedio alle tante fragilità della nostra società, fragilità che sembrano aumentare ogni giorno di più — spiega Letizia Moratti, da 40 anni impegnata, con il marito Gian Marco Moratti, scomparso nel 2018, al fianco della comunità di recupero per tossicodipendenti di Coriano, sulle colline di Rimini —. Con l’apertura di questo nuovo museo i ragazzi acquistano un’altra certezza, che li riempie d’orgoglio e che li avvicina a una città che nel recente passato abbiamo sentito molto più vicina». Sottolineando, così, il legame profondo e costruttivo instaurato con la municipalità di Rimini e con il sindaco Andrea Gnassi,
un legame nato anche dalla consapevolezza che questo nuovo museo dovrà essere davvero di tutti e per tutti. Legame ribadito dallo stesso sindaco. Che, da una parte, sottolinea «la necessità di ridare a Rimini quella dimensione di città d’arte» dove si sarebbe fermato verso il 1303 anche Giotto (in viaggio verso Padova) che vi avrebbe dipinto un ciclo di affreschi perduto nella chiesa di San Francesco di Rimini e un Crocifisso, «città troppo a lungo offuscata dalla filosofia del mattone e dell’ombrellone»; mentre, dall’altra, ricorda con emozione «l’abbraccio reciproco tra Rimini e la comunità di San Patrignano».
Clarice Pecori Giraldi, che ha la responsabilità del coordinamento curatoriale della Collezione, riporta l’attenzione sul valore del progetto artistico-culturale del Part: «Il concetto di patrimonio artistico in Italia è prevalentemente ricondotto all’arte antica; l’apertura di Part è un’ulteriore testimonianza che anche il contemporaneo contribuisce in maniera significativa a questo patrimonio. Le opere della Fondazione San Patrignano costituiscono un tesoro finanziario oltre che artistico, un asset patrimoniale innovativo rispetto a donazioni più tradizionali».
Altrettanto innovativo «è il fatto che la Fondazione si assuma la responsabilità nei confronti dei donatori di valorizzare i doni ricevuti attraverso un’attenta politica espositiva». Un impegno che con l’apertura del Part realizza quella che Pecori Giraldi definisce «la perfetta armonia tra valore culturale e sociale di un progetto».
A cantiere ancora aperto Letizia Moratti spiega come i collezionisti coinvolti siano in crescita costante (tra i più recenti Miuccia Prada, Grazia Gian Ferrari, Daniela Memmo e Paolo Clerici), soddisfatti dal modello di endowment — di «assegnazione» — per la prima volta declinato su grande scala in Italia (tra le ultime
Scala Nera di Grazia Toderi e i Senza titolo firmati da Enzo Cucchi, Sam Falls, Jean Paul Riopelle, e dall’inedito quartetto Jake e Dinos Chapman, George Condo, Paul McCarthy). Un modello molto in voga negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni (dal Met di New York allo Smithsonian di Washington) basato sulla donazione delle opere alla Fondazione «con atti che
impegnano la stessa Fondazione a non alienarle per un periodo minimo di cinque anni, contribuendo alla loro messa in valore rendendole visibili al pubblico che successivamente potranno essere cedute solo in caso di esigenze straordinarie», in questo caso della Comunità di San Patrignano, «per soddisfare prioritarie necessità degli ospiti in percorso di recupero» (1.300 i ragazzi oggi, 30 mila dalla fondazione). Tecnicamente, a proposito del Part (punto di arrivo dell’esposizione itinerante La collezione San Pa
trignano. Work in progress che dal 2018 ha portato le opere della raccolta alla Triennale di Milano, al Palazzo Drago a Palermo, al Maxxi di Roma, al Museo di Santa Giulia a Brescia e nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze) Moratti anticipa che «non ci saranno didascalie evocative ma didascalie utili a dare informazioni» e «che per l’inaugurazione ogni opera sarà presa in consegna da un ragazzo della comunità che la spiegherà ai visitatori» (un’idea nata dalla collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino).
I prossimi progetti? «Continuare il felice esperimento dei laboratori realizzati dagli artisti». Così con i ragazzi di San Patrignano arriverà Zehra Dogan (protagonista fino al 1° marzo al Museo di Santa Giulia della mostra Avremo anche giorni
migliori) con un work in progress incentrato sulla tecnica del telaio. E poi «il recupero-restauro del giardino». Con tutta probabilità destinato a diventare un giardino delle sculture alla maniera di quello del Moma di New York.
Il pubblico avrà accesso al piano terra, primo piano e scalone monumentale di Palazzo dell’Arengo e alle sale del piano terra, oltre al giardino, di Palazzo del Podestà. «Il progetto — spiega l’architetto Luca Cipelletti alla guida dello Studio Ar.ch.it che ha firmato l’allestimento — nasce con l’obiettivo di mettere in relazione due importanti contenitori storici e le opere d’arte della Fondazione San Patrignano, una collezione prestigiosa, ma per sua natura disomogenea, priva di una prospettiva curatoriale preordinata, se non quella di essere contemporanea. L’idea è di mettere in dialogo i due edifici con le opere ospitate attivando inedite connessioni, regalando inaspettati punti di vista». A cominciare dal cortocircuito già previsto al piano superiore, nella sala dell’Arengo, dove l’allestimento ruoterà attorno alla parete che ospiterà il grande affresco del Giudizio Universale dipinto da Giovanni da Rimini (uno dei maestri con il Maestro dell’Arengo, Giovanni Baronzio e il Maestro della Cappella di San Nicola della Scuola riminese, prima metà del Trecento) attualmente conservato nel Museo della città. Una «sorpresa» che annuncia nuove sicurezze.