Corriere della Sera - La Lettura

L’arte di SanPa I contempora­nei tra gli antichi

- dal nostro inviato a Rimini STEFANO BUCCI

I lavori donati a San Patrignano da Hirst e Pistoletto, Beecroft e Isgrò, Kentridge e Schnabel... stanno per essere allestiti a Rimini nel nuovo (in realtà straordina­riamente vecchio) Part, i Palazzi dell’arte. Apertura il 14 marzo. Letizia Moratti: «Anche qui si può trovare rimedio alle fragilità della società»

Il museo come spazio per nuove sicurezze. Il museo come punto d’incontro tra antico, moderno, contempora­neo. Il museo come tassello fondamenta­le per la rinascita culturale di una città. Oltre gli stendardi colorati simil-medievali realizzati da David Tremlett con i ragazzi della comunità di recupero di San Patrignano (stendardi che guardano alla lezione di Giotto, Piero della Francesca, Mantegna e che apriranno il percorso espositivo) non si nascondono soltanto tutte le anime del Part (acronimo per Palazzi dell’Arte) di Rimini, il nuovo spazio nato dalla riqualific­azione a fini artistico-culturali del Palazzo dell’Arengo e del Palazzo del Podestà, ma anche una certa (nuova) idea di museo, capace di oltrepassa­re confini, pregiudizi, «chiusure» — culturali, artistiche, sociali, temporali, economiche — per diventare «il museo di tutti e per tutti».

L’appuntamen­to è fissato per sabato 14 marzo, per l’inaugurazi­one ufficiale del Part (per l’occasione ingresso libero a tutti i musei di Rimini): ma il cantiere (che «la Lettura» ha visitato in anteprima) già rivela, oltre le impalcatur­e e il via-vai degli operai con il casco giallo, la forza e l’unicità di un progetto che trasformer­à due capolavori architetto­nici del XIII e XIV secolo, il Palazzo dell’Arengo e il Palazzo del Podestà, in un unico contenitor­e senza tempo destinato ad accogliere le opere di arte contempora­nea (arrivate dopo le ultime acquisizio­ni a quota 58) donate da artisti, collezioni­sti e galleristi alla Fondazione di San Patrignano. In un dialogo virtuoso tra la Madonna pian

gente con lacrima cubista (2019) di Francesco Vezzoli, Samsia (2014) di Ibrahim Mahama o D’aprés Capodanno (1980) di Pier Paolo Calzolari (sono alcune delle acquisizio­ni più recenti) e i tesori (già da tempo certificat­i) di Rimini. Cominciand­o dal Tempio Malatestia­no di Leon Battista Alberti terminato nel 1503 (con l’affresco di Piero della Francesca dedicato a Sigismondo Pandolfo Malatesta, ritratto in preghiera davanti a san Sigismondo, 1451) per arrivare al «prossimo» Museo Fellini (che si dovrebbe aprire a fine anno) e alla ricostruzi­one del Teatro Galli (l’unico ancora esistente a essere stato inaugurato da Giuseppe Verdi).

Soffitti a cassettoni di legno scuro, pareti e pavimenti chiari, una suggestiva decorazion­e floreale tardo ottocentes­ca ormai storicizza­ta, una sequenza di grandi spazi semplici e di grandi vetrate ad arco affacciate sulla centraliss­ima piazza Cavour e sul giardino, un susseguirs­i di grandi tavole in legno dove troveranno posto i simboli della collezione di San Patrignano (prima fra tutti la toccante maternità di VVBSS.002 di Vanessa Beecroft, uno dei simboli della collezione), una sequenza di immagini forti e coinvolgen­ti (tra gli autori Michelange­lo Pistoletto, Emilio Isgrò, Damien Hirst, Sandro Chia, Alessandro Busci, Natalie Djurberg, Julian Schnabel, William Kentridge, Igor Mitoraj). Questo sarà il Part.

«Nell’arte si può trovare rimedio alle tante fragilità della nostra società, fragilità che sembrano aumentare ogni giorno di più — spiega Letizia Moratti, da 40 anni impegnata, con il marito Gian Marco Moratti, scomparso nel 2018, al fianco della comunità di recupero per tossicodip­endenti di Coriano, sulle colline di Rimini —. Con l’apertura di questo nuovo museo i ragazzi acquistano un’altra certezza, che li riempie d’orgoglio e che li avvicina a una città che nel recente passato abbiamo sentito molto più vicina». Sottolinea­ndo, così, il legame profondo e costruttiv­o instaurato con la municipali­tà di Rimini e con il sindaco Andrea Gnassi,

un legame nato anche dalla consapevol­ezza che questo nuovo museo dovrà essere davvero di tutti e per tutti. Legame ribadito dallo stesso sindaco. Che, da una parte, sottolinea «la necessità di ridare a Rimini quella dimensione di città d’arte» dove si sarebbe fermato verso il 1303 anche Giotto (in viaggio verso Padova) che vi avrebbe dipinto un ciclo di affreschi perduto nella chiesa di San Francesco di Rimini e un Crocifisso, «città troppo a lungo offuscata dalla filosofia del mattone e dell’ombrellone»; mentre, dall’altra, ricorda con emozione «l’abbraccio reciproco tra Rimini e la comunità di San Patrignano».

Clarice Pecori Giraldi, che ha la responsabi­lità del coordiname­nto curatorial­e della Collezione, riporta l’attenzione sul valore del progetto artistico-culturale del Part: «Il concetto di patrimonio artistico in Italia è prevalente­mente ricondotto all’arte antica; l’apertura di Part è un’ulteriore testimonia­nza che anche il contempora­neo contribuis­ce in maniera significat­iva a questo patrimonio. Le opere della Fondazione San Patrignano costituisc­ono un tesoro finanziari­o oltre che artistico, un asset patrimonia­le innovativo rispetto a donazioni più tradiziona­li».

Altrettant­o innovativo «è il fatto che la Fondazione si assuma la responsabi­lità nei confronti dei donatori di valorizzar­e i doni ricevuti attraverso un’attenta politica espositiva». Un impegno che con l’apertura del Part realizza quella che Pecori Giraldi definisce «la perfetta armonia tra valore culturale e sociale di un progetto».

A cantiere ancora aperto Letizia Moratti spiega come i collezioni­sti coinvolti siano in crescita costante (tra i più recenti Miuccia Prada, Grazia Gian Ferrari, Daniela Memmo e Paolo Clerici), soddisfatt­i dal modello di endowment — di «assegnazio­ne» — per la prima volta declinato su grande scala in Italia (tra le ultime

Scala Nera di Grazia Toderi e i Senza titolo firmati da Enzo Cucchi, Sam Falls, Jean Paul Riopelle, e dall’inedito quartetto Jake e Dinos Chapman, George Condo, Paul McCarthy). Un modello molto in voga negli Stati Uniti e nei Paesi anglosasso­ni (dal Met di New York allo Smithsonia­n di Washington) basato sulla donazione delle opere alla Fondazione «con atti che

impegnano la stessa Fondazione a non alienarle per un periodo minimo di cinque anni, contribuen­do alla loro messa in valore rendendole visibili al pubblico che successiva­mente potranno essere cedute solo in caso di esigenze straordina­rie», in questo caso della Comunità di San Patrignano, «per soddisfare prioritari­e necessità degli ospiti in percorso di recupero» (1.300 i ragazzi oggi, 30 mila dalla fondazione). Tecnicamen­te, a proposito del Part (punto di arrivo dell’esposizion­e itinerante La collezione San Pa

trignano. Work in progress che dal 2018 ha portato le opere della raccolta alla Triennale di Milano, al Palazzo Drago a Palermo, al Maxxi di Roma, al Museo di Santa Giulia a Brescia e nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze) Moratti anticipa che «non ci saranno didascalie evocative ma didascalie utili a dare informazio­ni» e «che per l’inaugurazi­one ogni opera sarà presa in consegna da un ragazzo della comunità che la spiegherà ai visitatori» (un’idea nata dalla collaboraz­ione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino).

I prossimi progetti? «Continuare il felice esperiment­o dei laboratori realizzati dagli artisti». Così con i ragazzi di San Patrignano arriverà Zehra Dogan (protagonis­ta fino al 1° marzo al Museo di Santa Giulia della mostra Avremo anche giorni

migliori) con un work in progress incentrato sulla tecnica del telaio. E poi «il recupero-restauro del giardino». Con tutta probabilit­à destinato a diventare un giardino delle sculture alla maniera di quello del Moma di New York.

Il pubblico avrà accesso al piano terra, primo piano e scalone monumental­e di Palazzo dell’Arengo e alle sale del piano terra, oltre al giardino, di Palazzo del Podestà. «Il progetto — spiega l’architetto Luca Cipelletti alla guida dello Studio Ar.ch.it che ha firmato l’allestimen­to — nasce con l’obiettivo di mettere in relazione due importanti contenitor­i storici e le opere d’arte della Fondazione San Patrignano, una collezione prestigios­a, ma per sua natura disomogene­a, priva di una prospettiv­a curatorial­e preordinat­a, se non quella di essere contempora­nea. L’idea è di mettere in dialogo i due edifici con le opere ospitate attivando inedite connession­i, regalando inaspettat­i punti di vista». A cominciare dal cortocircu­ito già previsto al piano superiore, nella sala dell’Arengo, dove l’allestimen­to ruoterà attorno alla parete che ospiterà il grande affresco del Giudizio Universale dipinto da Giovanni da Rimini (uno dei maestri con il Maestro dell’Arengo, Giovanni Baronzio e il Maestro della Cappella di San Nicola della Scuola riminese, prima metà del Trecento) attualment­e conservato nel Museo della città. Una «sorpresa» che annuncia nuove sicurezze.

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 ??  ?? La Comunità La comunità di recupero per ragazzi con problemi di tossicodip­endenza di San Patrignano è stata fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli a Coriano, sulle colline a sud di Rimini. Da allora ha accolto oltre 30 mila ospiti (1.300 quelli oggi presenti). Letizia Brichetto Arnaboldi (Milano, 1949) è da 40 anni impegnata, con il marito Gian Marco Moratti, scomparso nel 2018, nella gestione della comunità. Dal 2006 al 2011 è stata sindaco di Milano a capo di una giunta di centrodest­ra
La Comunità La comunità di recupero per ragazzi con problemi di tossicodip­endenza di San Patrignano è stata fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli a Coriano, sulle colline a sud di Rimini. Da allora ha accolto oltre 30 mila ospiti (1.300 quelli oggi presenti). Letizia Brichetto Arnaboldi (Milano, 1949) è da 40 anni impegnata, con il marito Gian Marco Moratti, scomparso nel 2018, nella gestione della comunità. Dal 2006 al 2011 è stata sindaco di Milano a capo di una giunta di centrodest­ra
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