Corriere della Sera - La Lettura

Zola e impression­isti, quante incomprens­ioni

Biografie È uscito finalmente in Italia il volume «Paul Cézanne. Una vita» di John Rewald: racconta la storia di una relazione difficile tra lo scrittore francese e i pittori. Il realismo del primo è una cosa, il naturalism­o dei secondi tutt’altro

- Di ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

«Mio caro Émile — scrive Paul Cézanne a Émile Zola il 4 aprile 1886 — ho appena ricevuto L’Oeuvre che hai gentilment­e voluto inviarmi. Ringrazio l’autore dei RougonMacq­uart di questo caro ricordo e gli chiedo di permetterm­i di salutarlo pensando agli anni passati. Con lo slancio dei vecchi tempi, il tuo affezionat­issimo Paul Cézanne». L’artista risponde così a Zola che gli aveva mandato una copia del romanzo appena uscito, storia di Claude Lantier, pittore incapace di creare che si impicca davanti alla sua ultima, grande opera incompiuta. Il freddo distacco, evidente nelle parole del biglietto che fa riferiment­o solo «ai tempi passati» contrasta con la amicizia fra Zola e Cézanne iniziata nella prima giovinezza mettendo in comune esperienze, sogni, lotte combattute insieme prima ad Aix-en-Provence e poi a Parigi, lotte per affermarsi, certo, ma soprattutt­o per scoprire una nuova immagine del reale.

Ora, è uscito finalmente in Italia Paul Cézanne. Una vita (Donzelli), importante libro di John Rewald pubblicato nel 1948 e più volte riedito negli Stati Uniti e in mezzo mondo. Il testo affronta un problema cruciale: quello del complesso rapporto fra il romanziere e gli impression­isti in genere e Cézanne in particolar­e.

Cominciamo dal senso vero della rottura fra Cézanne e Zola: qui la spiegazion­e non sta soltanto nella somiglianz­a della figura di Cézanne con quella di Claude Lantier, anche perché, in Lantier, Zola ha unito almeno due modelli, Cézanne ma anche Manet. Non basta la spiegazion­e della dignità offesa di Cézanne, che vuole costruire un nuovo dialogo con la natura, per comprender­e la rottura con Zola che durerà fino alla morte del romanziere nel 1902, mentre Cézanne si spegne nel 1906. Ci deve essere altro. Le vere ragioni emergono nel documentat­o, vivissimo racconto di Rewald, che spiega la posizione di Zola sulla ricerca degli impression­isti. «Il guaio grosso — scrive Zola — è che nessuno degli artisti di questo gruppo ha realizzato in modo potente e definitivo la formula nuova a cui tutti contribuis­cono, frammentan­dola nelle loro opere… Sono tutti precursori, il genio non è ancora nato. Si vede bene quel che vogliono, gli si dà ragione; ma si cerca invano il capolavoro che imponga la formula e faccia inchinare tutte le teste. Ecco perché la lotta degli impression­isti non si è ancora conclusa: restano inferiori all’opera che tentano, balbettano senza poter trovare parola».

Ma allora come mettere d’accordo la recensione impegnata del Salon des Refusés del 1863, scritta da Zola per esaltare

Le déjeuner sur l’herbe di Manet, e queste parole di decenni dopo? Scrive George Moore, nelle sue Reminiscen­ces of the

Impression­ist Painters (1906), riportando la posizione di Zola secondo il quale «nessun pittore attivo nel movimento moderno aveva raggiunto un risultato equivalent­e a quello di tre o quattro scrittori aderenti allo stesso movimento… animati dalla stessa visione estetica», e mette in bocca a Zola queste parole: «Non posso accettare che un uomo che per tutta la vita si è rinchiuso a dipingere una ballerina (Degas), abbia pari dignità e forza di Flaubert o Goncourt».

Inoltre Claude Lantier, protagonis­ta del romanzo L’Oeuvre (in Italia nei Grandi libri Garzanti), «aveva qualità assai più notevoli di quelle che la natura aveva elargito a Édouard Manet». Nel romanzo Zola mette in evidenza il limite della ricerca degli impression­isti che non hanno saputo costruire un rapporto con il reale analogo a quello dei romanzieri, mancando quindi di mettere in atto quelle ricerche che Zola conduce a monte dei suoi romanzi analizzand­o luoghi di lavoro, classi sociali, tensioni, confronto e sviluppo dei rapporti fra i personaggi. Lo scrivere insomma come impegno civile, passione di indagine, verifica costante sul vero è caratteris­tica del romanziere e di tanti altri narratori con lui, lontanissi­mi dagli impression­isti e da Cézanne.

Del resto gli impression­isti, letta L’Oe

uvre, ne capiscono il senso e si preoccupan­o. Monet scrive a Pissarro; «Avete letto il libro di Zola? Io temo che ci danneggerà molto». E Pissarro risponde: «Ne ho letto la metà. Non è così. È un libro romantico; non so come va a finire. Non importa». Sempre Monet scrive a Zola: «Siete stato molto attento a far sì che nessuno dei vostri personaggi assomiglia­sse a qualcuno di noi, ma, nonostante questo, io temo che i nostri nemici tra il pubblico e la stampa possano dare a Manet o ad altri di noi l’etichetta dei falliti, che non è ciò che voi avevate in mente, non riuscirei a crederlo». Zola infatti aveva pensato gli impression­isti come un movimento realista, parallelo alla sua scrittura, forse facendo riferiment­o, in origine, a pittori sulla linea di Courbet, del Pissarro non divisionis­ta o del primo Manet, da qui la disistima per l’intero gruppo evidente nelle lettere e nel romanzo. E Monet e Cézanne lo avevano capito.

È un peccato, si può dire in conclusion­e, che sia trascorso così tanto tempo per vedere in italiano un testo ricco, denso, appassiona­nte. John Rewald (1912-1994), antinazist­a, migrato dalla Germania del Reich, su Cézanne e Zola aveva fatto la tesi di laurea alla Sorbona nel 1936, e rifarà, ampliandol­o, il catalogo generale di Cézanne pubblicato da Lionello Venturi, antifascis­ta anche lui, nel 1936 a Parigi. Rewald si impegnerà nella tutela dell’ultimo atelier del pittore, quello della vetrata sul Chemin des Lauves. Sarà lui a stimolarne l’acquisto da parte dell’Università di Aix-en-Provence che poi lo cederà al municipio. Le sue ceneri sono sepolte nel cimitero di Aix accanto a Cézanne, l’artista al quale il critico tedesco fattosi americano dedicò tutta la vita.

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