Corriere della Sera - La Lettura
Giochi o non giochi? Il bivio delle sorelle
Parentele Sono orfane perché la madre si è suicidata, sono «orfane» perché il padre è scappato: sono gemelle — Mora e Bionda — unite da un rapporto esclusivo, quasi morboso. «Farfalle» è uno spettacolo teatrale scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi, in scena a Reggio Emilia e poi a Modena, Milano, Napoli, Firenze... Indaga la singolarità di un rapporto familiare. Ad altre due sorelle — trascurate eppure sorprendenti — sono dedicati gli altri articoli di queste pagine
Mora e Bionda sono due sorelle orfane. La madre muore suicida quando sono piccole; il padre le abbandona per scappare all’estero con una donna, salvo comparire nelle loro vite solo per farsi aiutare con i debiti. Le sorelle crescono in simbiosi in un rapporto unico, quasi morboso, reso esclusivo da un gioco che le unisce per tutta la vita: un ciondolo a forma di farfalla che quando è indossato, a turno, può obbligare l’altra a fare qualsiasi cosa. «Giochi o non giochi?» introduce ogni divertente — e spesso crudele — sfida. Pena: la fine del gioco. O forse la fine del loro rapporto.
Sul filo della realtà e della favola nera è costruito Farfalle, lo spettacolo teatrale scritto nel 2013 dal drammaturgo, regista e sceneggiatore Emanuele Aldrovandi (1985) che mercoledì 26, con repliche fino a sabato 29, va in scena in prima nazionale al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia (segue un tour che lo porterà, tra le varie città, a Modena, Milano, Napoli, Firenze), con la regia dello stesso Aldrovandi. Il testo, vincitore del premio Hystrio 2015 e del Mario Fratti Award 2016, è stato rappresentato al The Tank Theater di New York la scorsa estate, Jay Stern alla regia, e ora arriva in Italia con l’Associazione teatrale autori vivi (ne è direttore artistico Aldrovandi) in coproduzione con Teatro Elfo Puccini di Milano e Ert — Emilia-Romagna Teatro Fondazione.
«Quando ho scritto Farfalle volevo mettermi alla prova con personaggi femminili — spiega a “la Lettura” Aldrovandi —, uscire da me, conoscere qualcosa di altro. Ho studiato le donne delle novelle di Pirandello, ho letto romanzi e saggi, come Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés. Così sono nate le sorelle, che all’inizio della storia hanno tra di loro molti punti in comune, poi arrivano a percorsi opposti».
«Io e mia sorella non siamo cretine come le nostre coetanee. Tutte sciacquette fatte con lo stampino che si credono speciali (...). Noi abbiamo sofferto»: è Bionda (l’attrice Giorgia Senesi) ad aprire la scena e presentarsi per entrambe. Le sorelle hanno 21 anni (non è mai reso esplicito che siano gemelle, ma così le ha pensate l’autore) e la vicenda va avanti fino ai loro (circa) 40 anni. Prosegue Mora, in scena Bruna Rossi: «Però abbiamo lottato. E abbiamo imparato a cavarcela da sole». «E lei è tutta mia — ancora Bionda — la sola persona a cui voglio bene». A salvarle dal dolore per il terribile lutto materno sarà il «loro» gioco, «un po’ cattivo, ma coinvolgente».
Mentre Mora lavora in un bar, studia Architettura e sogna di affermarsi come fotografa, Bionda lavora in una libreria e studia Scienze politiche, ma ancora non conosce la sua strada: «Tutte e due la troveremo. Gli anni peggiori sono passati e noi siamo sopravvissute. Perché nella solitudine non eravamo sole. Ognuna aveva l’altra: lei è tutta la mia famiglia», dice Mora. Fino a quando le loro strade si dividono. Bionda accetta un matrimonio combinato con uno sconosciuto, un ricco cinquantenne ritardato, che il padre le propone per estinguere un debito. «È una cosa vintage », pensa, un modo di «emanciparsi dall’emancipazione». Da Milano, parte per Palermo dove costruirà la sua famiglia e avrà due figli. Le scelte di Mora sono opposte: segue il suo sogno, diventa una fotografa, non ha figli, gira il mondo. Ma
quando vent’anni dopo si ritrovano sono entrambe insoddisfatte dalle decisioni prese da giovani. Come se la felicità risiedesse nelle scelte dell’altra. «Questa non è una storia che parla solo di donne — sottolinea l’autore — è universale, al centro c’è il tema dell’esperienza, del cercare quello che ci rende felici, per poi scoprire, magari anni dopo, di avere sbagliato tutto».
«Quella roba che abbiamo dentro e che ci fa essere una cosa sola. Quella non si rompe. Anche se stiamo lontane, non si romperà mai. Io e te saremo unite sempre, o no?». Il legame di Mora e Bionda s’inclina con la distanza e le diverse scelte di vita. Solo il loro gioco sembra tenerle unite, portandole a compiere scommesse divertenti e al limite del bizzarro: tatuaggi indecenti, abbuffate di cibo che odiano, viaggi senza senso. E tutti i protagonisti della loro vita (Padre, Matrigna, Marito, Becchino, Medico...) sono interpretati dalle stesse attrici. «C’è un doppio gioco — dice il regista — quello che fanno le sorelle tra di loro, e quello teatrale di interpretare altri personaggi», alternando un registro realistico (il loro legame) a uno grottesco-simbolico. Anche la scenografia gioca su questo doppio: tutta dello stesso colore, come i vestiti e gli oggetti, «come se dietro ci fosse la realtà, coperta però da una colata di colore che la fa diventare simbolica, magica, archetipica».
« Farfalle parla anche del bisogno di amore, di non sentirsi soli, ma di avere un’anima gemella, che sia una sorella, un’amicizia, un amore. La nostra società ci inculca che dobbiamo realizzare noi stessi, non solo a livello economico o lavorativo. Dietro, però, c’è il dolore del doverlo fare da soli. La solitudine è il problema della nostra generazione, quasi un paradigma culturale».
Mora e Bionda («come i loro nomi, i miei personaggi sono al confine tra essere reali ed essere dei “tipi”») provano, a quarant’anni, a fare l’opposto di quello che avevano scelto da giovani. Ma invertendo i loro sogni, spezzano il loro legame, non si capiscono più: vedendo i suoi nipoti, Mora sente che sarà felice solo lasciando un segno di sé nel mondo: un figlio. Dopo aver saputo di avere un tumore maligno, Bionda abbandona i figli per fare quello a cui ha rinunciato, e girare il mondo. Entrambe cercano di dissuadere l’altra dal farlo, provando a salvarsi dalle loro stesse esperienze. Così crollano davanti alla diversità, «vittime» delle loro scelte, della vita, dell’età adulta che le ha cambiate. E di fronte all’ultimo, e questa volta tragico, passaggio di farfalla, si porranno un’ultima domanda: «Giochi o non giochi?».