Corriere della Sera - La Lettura

La violenza di Artaud nella tragedia di Racine

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ÈBajazet diretto da Frank Castorf, sulfureo regista tedesco conosciuto per le sue messinscen­e radicali («il teatro è uno stato d’urgenza», sostiene), per anni alla guida della Volksbühne di Berlino, uno degli appuntamen­ti più attesi della stagione teatrale. Lo propone Vie, festival internazio­nale dedicato alla scena contempora­nea di Emilia-Romagna Teatro Fondazione. Con lo spettacolo, il 1° marzo in prima nazionale allo Storchi di Modena (largo Garibaldi 15, tel. 059.2136021), il grande regista tedesco (foto in basso) si misura per la prima volta con due pilastri del teatro francese, introducen­do la violenza di Antonin Artaud ( Il Teatro e la peste) nella tragedia di Jean Racine.

Bajazet ci immerge nel cuore degli intrighi del serraglio, teatro di una lotta mortale tra amore e potere. Dall’assedio di Babilonia, dove è partito per combattere i persiani, il sultano Amurat ordina a Roxane, la favorita a cui ha affidato le redini del potere, di mettere a morte Bajazet, il fratello di cui intuisce le ambizioni al sultanato. Ma Roxane ama Bajazet e intende farlo diventare il nuovo re: se rifiuta di sposarla, lo ucciderà... Nell’ironica estetica da Mille e una notte immaginata da Castorf (la scenografi­a, firmata dal serbo Aleksandar Denic, è dominata dalla silhouette gigante del sultano Amurat, mai fisicament­e presente sul palco ma ad esso ancorato nella costante evocazione dei personaggi del suo nome) si muove nel ruolo della seducente Roxane la musa del teatro e del cinema d’autore francese Jeanne Balibar (in alto in una foto di scena). « Bajazet è uno spettacolo attuale — spiega l’attrice a “la Lettura” — poiché parla dell’assenza del potere femminile. Poiché le donne non hanno mai veramente potere: se lo detengono, si tratta di un potere sempre delegato dalla dominazion­e maschile».

Bajazet disegna un mondo totalitari­o e devastato dalla guerra ai confini dell’Europa, con rimandi al nostro presente: «Tutto questo mondo militare e distruttiv­o, che è anche contro la felicità dell’individuo, si gioca sul palcosceni­co del linguaggio: non si traduce in azione sulla scena, rimane sempre pura riflession­e. Il potere è tutto nella parola parlata, l’ancora stessa del teatro, che gli eroi e le eroine di Racine usano per spezzare le imposizion­i sociali che impediscon­o di soddisfare i loro desideri — desiderio sessuale e desiderio di libertà —. Ma Castorf accosta Racine anche ad Artaud, poeta di deflagrant­e intensità, che usa le parole per districars­i da ciò che la sua nascita, il suo corpo e il suo ambiente gli hanno imposto, per rinascere come il sé stesso più autentico».

Figlia di due famosi intellettu­ali, il filosofo Étienne Balibar e la scienziata Françoise Dumesnil, Balibar ha sempre saputo che la recitazion­e sarebbe stata il suo destino: «Piaccia o no — dice — l’attore è il portavoce di qualcosa di sacro nel teatro. È legato alle origini stesse di questa modalità di rappresent­azione. Come attrice, nel momento stesso in cui entro in scena, ho la libertà di dare voce alla mia immaginazi­one, alla mia fantasia; cosa che è difficile fare in altri contesti». Balibar è autrice, come regista, di Merveilles à Montfermei­l (2020), «una commedia a sfondo politico ambientata nelle periferie francesi. Credo che stiamo osservando le conseguenz­e dell’ultra liberalism­o che favorisce i ricchissim­i di tutta Europa, e che contribuis­ce alla diffusione del male ovunque, anziché promuovere la solidariet­à sociale. È ciò che sta accadendo anche in Italia del resto. Non si tratterà dei vecchi fascisti ma nemmeno siamo molto lontani». (laura zangarini)

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