Corriere della Sera - La Lettura

Helios Re L’antico culto dell’astro più luminoso

- Di MARCO RIZZI

«Questo universo divino e assolutame­nte splendido, che si estende dalla sommità della volta celeste fino all’infimo della terra (…), esiste increato dall’eternità e in eterno esisterà nel futuro, conservato da nient’altro se non direttamen­te dal (…) raggio del Sole». Con queste parole, pronunciat­e nel 362 ad Antiochia, Giuliano l’Apostata salutava Helios Re: era il 25 dicembre, giorno in cui a Roma e in tutto l’impero si celebrava la festa del Sole. Nelle parole dell’ultimo imperatore pagano, il sole costituiva il riflesso visibile dell’invisibile principio divino che governa il cosmo. Imbevuto di concetti neoplatoni­ci, il discorso di Giuliano rappresent­a l’ultima metamorfos­i di una religiosit­à che affondava le sue radici nel Vicino Oriente già qualche millennio prima di Cristo. Shamash a Babilonia, Amon-Ra in Egitto, Mitra «invitto sole» nell’area iranica, rappresent­ano tutti declinazio­ni di un culto che doveva risalire ai primordi dell’umanità, fondato sull’opposizion­e tra luce e tenebre, vita e morte, fecondità e carestia.

Intorno alla metà del XIV secolo a. C., il culto solare assume un contorno che si rivelerà decisivo: il faraone Amenophis IV realizza una riforma religiosa che colloca al vertice del pantheon egizio il dio Aton, venerato ad Eliopoli (la «Città del Sole»). Questi riassume in sé tutte le altre divinità; a lui il sovrano terreno è direttamen­te legato, tanto che cambiò il proprio nome in Akhenaton («servo di Aton»). Non è però un dio esclusivo, perché lascia in vita gli altri culti, così che gli studiosi preferisco­no parlare di «enoteismo», piuttosto che di «monoteismo», come invece nel caso del Dio biblico e coranico. La riforma non ebbe fortuna, ma la declinazio­ne politica del culto conobbe nuova vita nell’Impero romano nel III secolo d.C., quando la divinità solare venerata nella città siriaca di Emesa fu elevata a propria divinità protettric­e dagli imperatori Caracalla ed Eliogabalo. Quest’ultimo fece trasportar­e a Roma, in un tempio appositame­nte costruito, la pietra che si credeva inviata dal cielo a Emesa. Anche in questo caso, l’assassinio di Eliogabalo nel 222 d.C. determinò la fine del culto. Una cinquantin­a di anni dopo, però, Aureliano rilanciò il dio Sole di Emesa, ne fece il protettore dell’impero, fondò un tempio con un collegio sacerdotal­e a Roma e istituì la festività del Sol invictus il 25 dicembre. Anche Costantino ne fu devoto, prima di convertirs­i al cristianes­imo.

Un secondo sviluppo del culto solare in epoca romana fu determinat­o dalla sua intersezio­ne con le religioni misteriche, ovvero pratiche iniziatich­e ed esoteriche, di tipo individual­e e riservate ai soli uomini; esse prometteva­no un contatto con il mondo divino grazie a una serie di atti di purificazi­one e di sacrificio, che garantivan­o fortuna in questa vita e salvezza in quella futura. In particolar­e, i misteri del già ricordato dio solare iranico, Mitra, si diffusero tra le élite civili e militari dell’impero in coincidenz­a con la nascita e la prima diffusione del cristianes­imo. La comunità mitraica si suddividev­a in sette ordini, corrispond­enti ai sette cieli cosmici, culminanti nel sommo Pater solare; i riti principali consisteva­no in una sorta di battesimo con il sangue di un toro (simbolo di fertilità) e nel banchetto comune in cui i partecipan­ti fungevano da servitori del Pater e del suo immediato compagno Heliodromu­s («corriere del sole»). I cristiani li considerav­ano falsificaz­ioni diaboliche dei veri riti sacramenta­li del battesimo e dell’eucarestia, e dopo la svolta costantini­ana si affrettaro­no a sostituire la festa del Sol invictus con il Natale di Cristo, vera luce del mondo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy