Corriere della Sera - La Lettura
La madre, la figlia, la suora. Insieme
Passato che torna/1 Nel suo secondo romanzo, Emanuela Canepa immagina tre donne dai destini ora paralleli ora opposti sullo sfondo di scelte radicali e delusioni esistenziali. Con una figura maschile capace di equilibrio e affetto
Nella riuscita prova d’esordio L’animale femmina, Emanuela Canepa ha raccontato un personaggio femminile e le sue ombre, una vicenda di fuga da un ambiente familiare asfittico, di manipolazione e maschilismo. Nel secondo e molto atteso Insegnami la tempesta, la scrittrice romana, bibliotecaria a Padova, conferma la vena felice con un romanzo che parla ancora di relazioni familiari non attraverso una, ma tre protagoniste, unite (e divise) fra loro da legami complicati, spesso irrisolti.
Emma, voce narrante, a 22 anni, incinta, ha dovuto abbandonare gli amati studi di storia dell’arte, di cui conserva segretamente solo «il piacere della fuga occasionale in un museo o in una chiesa», sulle orme dell’amato Caravaggio. Matilde, la figlia adolescente, dalla volontà granitica e le idee molto chiare, ogni giorno più distante, le rimprovera una vita di rinunce; Irene, l’amica di gioventù, è sparita all’improvviso fra le mura di un convento di clausura, l’ha abbandonata in un giorno cruciale cambiando il corso della sua vita e ora riemerge dal passato grazie alla stessa Matilde. Fra di loro un solo uomo, personaggio mite ma capace, sulla lunga distanza, di una tenace resistenza, che ha offerto a Emma, priva di sostegno da parte dei rigidi genitori, la tranquillità del matrimonio e una figura paterna presente e affettuosa per la figlia.
Intorno a loro Emanuela Canepa costruisce con stile piano una storia di fughe, distanze, tradimenti, conflitti che ancora una volta parlano di una famiglia infelice «a modo suo», di relazioni faticose segnate dall’egoismo. Emma è divorata dall’ansia di controllo sulla figlia, incapace di accettarne la crescita, le uscite in compagnia e le prime vacanze fra amici. Ma fra loro due, del resto, sono sempre mancati il gioco di sguardi, il contatto fisico, gli slanci che coglieva con invidia nelle altre madri e di cui lei non è mai stata capace. Matilde, in passato bambina tranquilla e obbediente, silenziosa in casa ma socievole fuori con gelosia e stupore di Emma, è ora un’adolescente «puntuale, precisa, una studentessa capace», dalle amicizie tranquille e si sta inevitabilmente staccando dall’ombelico materno. E anche dopo aver saputo che non si tratta del proprio padre biologico riserva quegli slanci che la madre vorrebbe per sé a Fausto, il solo fra i due genitori capace di rispettarne il bisogno di autonomia ma a cui Emma, invidiosa del loro legame, rinfaccia più volte di non poter vantare pienamente il titolo di padre, costringendolo a fare un passo indietro.
Di tutto ciò il lettore viene a conoscenza attraverso lunghi flashback: il romanzo si apre infatti alle porte del convento nella campagna aretina dove si è rifugiata, quasi vent’anni prima, Irene. Qualche giorno prima Matilde ha rivelato ai genitori di essere incinta: Emma, terrorizzata che la figlia riviva ciò che è toccato a lei, si lascia sfuggire un riferimento al suo aborto mancato e il coinvolgimento di Irene nella faccenda. Matilde, che sta affrontando la gravidanza con una maturità superiore ai suoi 18 anni, parte sulle tracce dell’amica della madre. Anche Emma si precipita al convento «come un pugile prima di un incontro». Non trova la figlia, ma Irene è lì, a distanza di 18 anni, davanti a lei, con i capelli neri tagliati corti e una ruga che le attraversa la fronte, un’amica nemica alla resa dei conti.
Il ritmo accelera intorno alle storie di tre personaggi in cerca della propria strada: Emma di madre, donna e moglie all’inseguimento di una figlia che deve imparare a lasciare andare e di fronte ai conti con il proprio passato; Matilde del suo futuro nel campus di Cesena in costruzione, dove ha intenzione di andare a studiare ingegneria biomedica; Irene del chiarimento con l’amica, abbandonata nel momento di maggior bisogno, che le consenta di tornare alla pace del convento. Dietro l’apparente centralità del rapporto madre-figlia, filone particolarmente fortunato nella narrativa italiana degli ultimi anni e qui però declinato su più piani (quello di Emma con Matilde, ma anche di Emma con la propria madre, del tutto anaffettiva, e di Irene con la badessa che l’ha accolta e che è stata per lei figura materna), Insegnami la tempesta è un romanzo complesso sulle relazioni, quasi sempre aggrovigliate e conflittuali perfino quando la soluzione sarebbe a portata di mano. E tocca con delicatezza, ma senza equivoci, il tema della genitorialità: il personaggio di Fausto insegna che si può essere bravi genitori anche senza esserlo biologicamente. In mezzo, una reclusione in convento di manzoniana memoria, la storia nella storia di Irene, speculare ma opposta a quella dell’amica, in cui la rinuncia si fa scelta, appagante, di vita.