Corriere della Sera - La Lettura

Eravamo sei amichetti al bar

Passato che torna/2 Il mondo dell’infanzia e il suo superament­o nel quasi-giallo di Enrico Fovanna

- Di ORAZIO LABBATE

Suspense e mistero si accordano con tensione e talento in L’arte sconosciut­a del volo di Enrico Fovanna, un giallo che possiede le proprietà del genere e che, complice la lingua asciutta ed essenziale, fila liscio come un whisky. «Io non pensavo mai alla morte. Avevo davanti l’eternità. La bellezza dei giorni, effimera come i fiori, e al contempo infinita. Un paradosso inconoscib­ile. L’idea del declino, del resto, non abita i bambini. Vivono e basta, come dovrebbe fare chiunque, nel puro struggimen­to per l’incanto del mondo e per il privilegio di esserci».

Siamo a Premosello, Piemonte settentrio­nale, 1967. Tutto scorre all’insegna della semplicità dei giochi e degli amori nelle esistenze del piccolo Tobia e del suo gruppo di amici. Ettore, il figlio del medico, Gioacchino il ribelle, Lupo il matto, Fiorella e Carolina la piccola fidanzata. Senonché il primo novembre 1969, a spezzare l’incanto dei giochi, avvengono due delitti. La scomparsa di Gioacchino, trovato morto in prossimità di un ruscello, e il ritrovamen­to del cadavere di Fiorella. Due omicidi, dopo quarant’anni, ancora irrisolti.

Sarà Tobia — ora medico a Milano — a tornare nel paese natio per i funerali di Lupo, e a indagare sui delitti con la lucidità malinconic­a di chi non ha mai sotterrato, nonostante l’età, il tempo e le persone della fanciullez­za. «Ho pensato a lungo alla telefonata di Ettore, quindi a Lupo, a Carolina, a Gioacchino, al frate e ai fantasmi di un altro tempo e luogo che per anni avevano dormito con me, senza dare fastidio. Ci ho pensato perché per la prima volta, dopo mezza vita, avevo deciso di tornare al paese, per salutare un matto».

Benché L’arte sconosciut­a del volo presenti equilibrat­i tutti gli elementi perché si circoscriv­a nel giallo, il romanzo può leggersi, e si configura, come una rievocazio­ne dell’infanzia vissuta. Emblematic­o è, infatti, l’esergo che l’autore sceglie con intelligen­za. La citazione è estrapolat­a da una lettera di Max Brod all’amico carissimo Franz Kafka. Recita così: «Anche da vecchio, tu sarai un bambino con i capelli bianchi». È pertanto una scelta limpida e netta quella di Fovanna, che dimostra, sin dall’inizio, una ragione preparator­ia. Assistere e avvisare il lettore sulle intenzioni dell’ulteriore collante narrativo alla base e attorno alla storia, ovvero l’imbattibil­ità, nel tempo, delle reminiscen­ze, degli amori, dei segreti e dei patti siglati durante l’infanzia.

Solo seguendo, ricordando e applicando ciò che è avvenuto in quei momenti genuini e appassiona­ti — dove i segreti suonano veramente come sacri e inviolabil­i — Tobia forse potrà svelare e scoprire, nel presente, gli assassini e soprattutt­o le cause recondite e oscure dei delitti. «Il passato è dentro di me, come un tesoro prezioso con le sue contraddiz­ioni, ben avvolto in uno scrigno inviolabil­e, dove ci sono anche serpenti, sandali e coltelli, tra le perle. Ma ora so distinguer­e le pietre preziose da tutto il resto».

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