Corriere della Sera - La Lettura
Anche Tristano si finge pazzo per amore
Medioevo Un testo anonimo e un frammento danno una versione alternativa della leggenda
Non c’è lettore che non senta il fascino dei materiali narrativi legati a Tristano e al suo amore per Isotta, materiali che hanno avuto non per caso amplissima e variegata fortuna nel corso di molti secoli. Ricostruire i rapporti tra le diverse versioni e testimonianze della leggenda è stato a lungo il lavoro dei filologi, che si sono confrontati con questa matassa di narrazioni in antico francese e con le sue riprese: un bosco narrativo, come avrebbe detto Umberto Eco, in cui passeggiare cercando di riconoscere origine e statuto dei vari motivi della vicenda. Se essa è affidata nella sua ampiezza ad alcune grandi esecuzioni, sia in versi, il Roman di Thomas e quello di Béroul (frammentari), sia in prosa, il più tardo Tristan en prose, ci sono pure rivoli paralleli, che con innesti e contaminazioni si segnalano per la singolarità del loro taglio.
Possediamo infatti due poemetti anonimi, tra loro correlati, scritti in distici di octosyllabes monorimi, che raccontano di un Tristano che si finge folle e che con questo stratagemma torna alla corte di re Marco, per rivedere Isotta. Databili al pieno XII secolo, sono trasmessi l’uno da un manoscritto di Berna, l’altro da uno di Oxford, più un frammento di 61 versi che si conserva a Cambridge e si avvicina alla variante bernese. Tra gli studiosi che hanno approfondito questi testi è da ricordare Cesare Segre, che ha proposto una loro possibile collocazione nella galassia della leggenda, rilevandone alcuni tratti di modernità: in particolare la follia esibita da Tristano, che sembra addirittura anticipare soluzioni shakespeariane (Amleto). Anche sulla scia degli studi di Segre, oltre che di varie edizioni precedenti, Chiara Concina ha ripubblicato la versione bernese (572 versi, più il frammento di Cambridge), traducendola e arricchendola di un’ampia nota introduttiva e di un commento ( La follia di Tristano. Redazione del manoscritto di Berna, Carocci).
E dunque: la pazzia come trovata. Tristano si fa chiamare col nome anagrammato di Tantris, assume i connotati del folle, si travisa e, protetto da questa finzione, può raccontare impunemente davanti al re e alla regina Isotta i fatti salienti del suo amore adultero per lei e infine farsi riconoscere dall’ancella e poi da Isotta stessa (ma prima dal fedele cane Husdent,
tratto narrativo di lunghissima tradizione, se non altro omerica).
Un’agnizione in piena regola, dunque, gia, che rende gestita questo da un’abile racconto real della tempo narrazione stesso uno principale sviluppo e una sua condensazione. Ecco i versi 538-542 in traduzione: «Riconobbe l’anello, Isotta,/ vide le feste che il bracchetto/ faceva e quasi perde il senno./ Ora si accorge nel suo cuore/ che quello a cui parla è Tristano». Leggenda di una passione fatale, la storia dei due amanti si trova singolarmente ritessuta in questa esecuzione laterale, nient’affatto ingrata all’orecchio contemporaneo. Leggere per credere.