Corriere della Sera - La Lettura
I crimini sono cavalli di Troia
L’intervista «Nello scrivere storie gialle non è la violenza il mio obiettivo, ma indagare sentimenti e relazioni». Che la canadese Louise Penny osserva nel paese fittizio di Three Pines, dove indaga il suo pacato detective Armand Gamache
Three Pines è ideale per famiglie: bistrot, supermercato, panettiere, tantissima neve e natura incontaminata. A pochi chilometri da Montréal, un villaggio tranquillo dove sopravvive lo spirito di comunità. Luogo fantastico che attrae i turisti, persone che arrivano sulla statale vicino al confine del Canada col Vermont e poi vagano un po’ persi, senza giungere alla meta. Perché Three Pines non esiste, neanche Google Maps può aiutare. Il paese è stato inventato, in tutti i suoi dettagli, da Louise Penny, scrittrice canadese che ha pubblicato 15 gialli ambientati proprio in questa località. Tutti con protagonista il commissario Armand Gamache. Talmente amati dal pubblico da creare turismo letterario di gente entusiasta che arriva nei pressi di Lac-Brome nel Québec, dove vive l’autrice, sperando di vedere da vicino la realtà descritta nei romanzi.
Nella finzione narrativa, a Three Pines vive appunto Gamache, capo della squadra omicidi della Sûreté du Québec, in una community di personaggi protagonisti di tutti i gialli dell’autrice. Romanzi tradotti in 26 Paesi, più volte bestseller del «New York Times», che le hanno fatto vincere prestigiosi premi: tra questi 7 Agatha Awards e 5 Anthony Awards (Anthony Boucher è stato il fondatore dell’associazione Mistery Writers of America). Le storie di Louise Penny iniziano lente, in un’atmosfera sorniona, ovattata dalla neve. Anestetizzano il lettore in una comoda routine, scandita dai legami di amici e famiglia. Poi di colpo avviluppano nelle spire del thriller, obbligando ad arrivare con ansia febbrile all’epilogo. È appena arrivato nelle nostre librerie
Il regno delle ombre (Einaudi Stile libero), 14° libro della serie delle indagini di Gamache. Il commissario in questa storia, a sorpresa, viene nominato esecutore testamentario di una donna sconosciuta mentre deve risolvere l’emergenza di una partita di droga letale che sta diffondendosi nelle strade di Montréal.
L’indiscutibile talento dell’autrice deve probabilmente molto all’originalità della sua biografia. Penny, infatti, ha lavorato fino a 35 anni come giornalista radiofonica alla Cbc, l’emittente radiotelevisiva canadese, ma è scivolata nell’alcolismo e ha coltivato pensieri di suicidio. Solo dopo una lunga terapia di disintossicazione ha ritrovato un equilibrio. Si è sposata, ha lasciato il lavoro e cominciato a scrivere. Da allora non si è più fermata e in quest’intervista telefonica con «la Lettura» racconta come scrivere si sia dimostrato salvifico.
Tutto cominciò con il romanzo «Still Life», che nel 2005 le fece vincere il concorso inglese Debut Dagger, dedicato ai giallisti anglofoni esordienti. S’immaginava una svolta così?
«No di certo. Ho impiegato 5 anni a scrivere la prima storia di Gamache, ero molto insicura e pensavo fosse interessante solo per mio marito, che mi ha mantenuta e sostenuta durante la stesura, e qualche caro amico usato come primo lettore. Va detto che non ho vinto quel concorso, anche se su qualche sito c’è scritto così: sono arrivata seconda, e mi ero anche piuttosto seccata. Ma poi sono stata notata dal mio futuro agente ed è iniziata l’avventura».
È vero che per i primi 4 romanzi della serie aveva un rituale: scrivere sempre con lo stesso computer, sulla medesima sedia, senza cambiare niente?
«Sì, avere raggiunto il successo pensavo fosse una magia. Non riuscivo a crederci; quindi per non rovinare l’incantesimo tendevo a riproporre la stessa situazione. Mi chiedevano un romanzo all’anno e temevo che se fossi diventata troppo presuntuosa e sicura avrei perso l’ispirazione. Solo al quinto romanzo pubblicato mi sono rilassata un po’ e ho cambiato computer».
Armande Gamache non ha l’aggressività e la spavalderia di un detective convenzionale, è un signore cinquantenne piuttosto pacato. Perché ha deciso di crearlo così?
«Perché scrivere storie gialle, parlare di omicidi e violenza non era il primo obiettivo. Nei miei libri il crimine è come il cavallo di Troia, un mezzo per entrare
nel cuore della storia e immettere altri significati. Raccontare i sentimenti che regolano le relazioni, scavare nella psicologia dei personaggi, nel bene e nel male. Gamache assomiglia forse a un professore universitario: un uomo maturo e saggio che ha visto molto e sa capire meglio di altri i suoi interlocutori».
Ne «Il regno delle ombre» il personaggio di Amelia è una giovane poliziotta che è stata tossicodipendente. Le descrizioni delle sue ricadute e sofferenze sono molto crude e drammatiche. Hanno radici autobiografiche?
«Il programma di disintossicazione che seguii per liberarmi dall’alcol prevedeva, successivamente, anche il supporto ad altre persone vittime di dipendenze. Così ho aiutato una ragazza che si drogava e il personaggio di Amelia è ispirato a lei. Ci sono voluti molti anni per riuscire a scrivere di questi argomenti, in un primo tempo erano ricordi troppo dolorosi e coinvolgenti. Poi non mi permetterei mai di affrontare temi così delicati solo attraverso cliché, senza conoscerne il vero significato».
Dopo l’insicurezza iniziale è diventata veloce a scrivere, pubblica un romanzo all’anno. Dove trova l’ispirazione per creare sempre nuove avventure del suo commissario?
«È diventato più facile inventare storie perché ho davanti a me tutta la serie dei personaggi di Three Pines: i proprietari del bistrot, la poetessa pazza, i familiari di Gamache, la libraia... Quindi mi diverto a fare casting mentali per adattarli alle varie situazioni. Poi devo ammettere che per compensare la solitudine della scrittura, sono curiosa e socievole nelle altre situazioni. Non mi lascio scappare nessun dettaglio della vita che potrebbe essere riciclato in una storia. Per esempio, alla lettura di un testamento ho scoperto che si può nominare chiunque, anche estranei, addirittura il papa o la regina d’Inghilterra, in qualità di esecutori testamentari. Da questa rivelazione è nata l’ispirazione per la trama de Il regno delle ombre ».
Attraverso il suo sito lei mantiene un rapporto molto vivo e premuroso con i lettori. Consigli per aspiranti scrittori, dritte sulla pronuncia di alcune parole usate nei romanzi e anche supporto alle piccole librerie...
«Mi sembra importante far sentire gratitudine verso chi compra e legge i miei libri. Vivendo nel Québec francofono lascio spesso nelle mie storie parole francesi anche nella traduzione. Così per dare la possibilità agli anglofoni di pronunciarle nel modo corretto, sul sito si può scaricare, via Mp3, la dizione giusta. Poi mi sembra fondamentale aiutare le librerie indipendenti a sopravvivere: in un motore di ricerca inserendo la propria area di residenza si scopre dove trovare un mio romanzo in una piccola libreria di zona».
«Il profumo dei croissant appena sfornati. Stringere Reine-Marie tra le braccia. Vedere lo skyline di Montréal»... Quando Gamache è in difficoltà, per farsi forza stila la lista di tutte le cose che lo fanno sentire bene. Non è un meccanismo troppo romantico per un detective?
«Forse, ma lo rende più umano. Un vezzo letterario ispirato a una poesia che ho amato molto, l’ho scoperta tanto tempo fa, a vent’anni. Scritta dall’inglese Rupert Brooke, in trincea durante la Prima guerra mondiale, s’intitola These I Have Loved, “Questi che ho amato”. Un trucco per stare meglio che uso anch’io se ho paura. Ad esempio, quando mi tocca guidare in una tempesta di neve».