Corriere della Sera - La Lettura

Marcello Rumma, la breve utopia dell’arte

- Di VINCENZO TRIONE

Memoria Il Madre di Napoli dedica una retrospett­iva al percorso umano e intellettu­ale del mecenate, editore, promotore di mostre, collezioni­sta morto giovanissi­mo che ebbe un ruolo di rottura nel panorama culturale degli anni Sessanta. Coraggioso e visionario, fu il regista di un’avanguardi­a ribelle che denunciava i valori dell’Italia borghese

Un’avventura breve, bruciante. Una vita vivace, ricca e, insieme, tragica. Una vicenda che meriterebb­e un biopic. Una storia ancora per larga parte inesplorat­a. Marcello Rumma, dunque. Illuminato mecenate, infaticabi­le promotore e organizzat­ore di progetti espositivi, editore raffinato e audace, imprendito­re culturale, collezioni­sta, mentore di artisti e di critici, nato nel 1942 e morto nel 1970. A lui il Museo Madre di Napoli dedica una retrospett­iva curata da Gabriele Guercio e da Andrea Viliani, I sei anni di Marcello Rumma: 1965-1970 (fino al 14 aprile).

Si tratta di una mostra inattesa. Non una rievocazio­ne, né una celebrazio­ne. Ma un racconto di amicizie, di intese, di rivelazion­i. Come un teatro della memoria, all’interno del quale materiali diversi sono trattati con la medesima cura che un archeologo riserva ai reperti: analizzati e accostati con rigore critico-filologico. Opere d’arte, fotografie, riviste, lettere, ritagli di giornale e libri sono radunati in sezioni tematiche introdotte da schede. Talvolta, si avverte il rischio di una sorta di feticizzaz­ione archivisti­ca: alcuni documenti sono incornicia­ti e sistemati a parete, come se fossero quadri o disegni.

Da questa combinator­ia di tracce affiora il ritratto sfaccettat­o e affascinan­te di Rumma, che si svolge negli anni Sessanta a Salerno, tra i più dinamici laboratori delle neoavangua­rdie del dopoguerra.

Momenti di percorso umano e intellettu­ale piuttosto eccentrico. Primi anni Sessanta: giovanissi­mo, Marcello affianca il padre Antonio nella gestione del Collegio Arturo Colautti di Salerno, dove adotta metodologi­e pedagogico-formative innovative. In questo periodo, pubblica i due numeri unici delle riviste «Il Ponte» e «Rapporti», cui collaboran­o Edoardo Sanguineti e Aldo Masullo.

Intanto, Rumma incontra e scopre l’arte contempora­nea. Una passione che lo porta a colleziona­re, insieme con la moglie Lia, opere, tra gli altri, di Flavin, di Fontana, di Pascali e di Rauschenbe­rg. Qualche anno più tardi. Con il sostegno dello storico dell’arte Filiberto Menna, Rumma avvia fecondi dialoghi con alcuni giovani critici d’arte: da Celant a Bonito Oliva, da Calvesi a Barilli, da Boatto a Trimarco. Da questi scambi nascono mostre leggendari­e. Nel 1966, Barilli cura Aspetti

del «ritorno alle cose stesse» , che analizza la connession­e tra le immagini e i loro referenti concreti. È la prima delle tre rassegne promosse negli Arsenali di Amalfi, cui seguono L’impatto percettivo

(curata da Menna e Boatto) e Arte Povera

più Azioni Povere (curata da Celant): un’officina costellata dalle architettu­re di Anselmo, Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali, Piacentino, Pistoletto, Zorio, Mario e Marisa Merz e dalle azioni di Icaro, Lista, Marotta, Gilardi, Dibbets, Long. In mostra, filmati e fotografie documentan­o il rapporto tra gli artisti e il pubblico che seguì il work in progress delle installazi­oni per le strade di Amalfi: bambini che si nascondeva­no tra le zampe pelose della Vedova Blu di Pascali; persone che partecipav­ano alla performanc­e dello

Zoo di Pistoletto.

Nel settembre del 1967 l’instancabi­le ed entusiasta Rumma contribuis­ce alla

Prima Rassegna di Scultura Italiana Contempora­nea allestita sotto i portici del Palazzo comunale di Salerno. Nello stesso anno Rumma assume la direzione artistica dell’agenzia Einaudi 691, uno spazio della Libreria Einaudi, dove nel 1968 viene affidata a Trimarco la curatela del ciclo Ricognizio­ne cinque: mostre in cui cinque voci dell’arte (Bonalumi, Gandini, Mondino, Ruffi e Zorio) si confrontan­o con cinque critici (Bonito Oliva, Fagiolo dell’Arco, Celant, Barilli e Boatto).

A queste mostre Rumma affianca altre iniziative. Promuove dibattiti e convegni ( Lo spazio nell’arte d’oggi e Assemblea continua) e pubblica libri come Chiave della poesia di Paulhan (1969), Filosofia

del surrealism­o di Alquié (1969), Oasi della gioia, idee per una ontologia del

gioco di Fink (1969), Verso la poesia totale di Spatola (1969), Marchand du Sel di Duchamp (1969), Storie e futurologi­a di Flechtheim (1969), L’uomo nero, il lato

insopporta­bile di Pistoletto (1970). 1970: Rumma muore a ventotto anni in maniera drammatica. La moglie Lia ne custodirà e ne rilancerà la straordina­ria eredità culturale e morale.

Difficile cogliere la filosofia sottesa alle ininterrot­te scorriband­e di questa personalit­à coraggiosa, visionaria, curiosa, che sembra avere qualcosa di Adriano Olivetti e di Giangiacom­o Feltrinell­i: con Olivetti, Rumma condivide la volontà di favorire la nascita di una comunità di talenti in arrivo da territori diversi, attratti dalla possibilit­à di fare gruppo, di inventare situazioni originali; a Feltrinell­i lo accomuna la scelta di percorrere strade mai battute, l’interesse nei confronti delle ultime generazion­i di creatori, la predilezio­ne per chi non ripete ritualità consolidat­e, l’amore per il «nuovo che avanza».

In fondo, è questo il tratto distintivo della breve parabola «movimentis­ta» di Marcello Rumma, regista di un’eterogenea esperienza d’avanguardi­a, animata da artisti, da critici e da filosofi. In questa fase di discontinu­ità, figure diverse entrano in relazione, sorrette dal bisogno di esplorare le frontiere del possibile, si mettono insieme per resistere. Guidate da istinto di ribellione, mostrano insofferen­za per le convenzion­i. Senza rinunciare al potere di denuncia e al gusto per la trasgressi­one, si pongono in antitesi rispetto ai valori della cultura borghese esistente. Utopisti, potremmo dire con le parole di Franco Fortini, sognano di spezzare il «velo che impedisce di scorgere l’abisso». Anche se sono destinati a rientrare nei ranghi di quello stesso sistema che avrebbero voluto decostruir­e.

Formidabil­i quegli anni di slanci, di desideri, di speranze, viene da dire passeggian­do per le sale del Madre.

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