Corriere della Sera - La Lettura
PUTIN E DITTATURA, IL MODELLO GROZNY
Dove meno di vent’anni fa dominavano le macerie oggi fioriscono grattacieli, centri commerciali, boutique e moschee. Dimenticate la Grozny rasa al suolo come Dresda nel 1945. Tra il 1994 e il 2005 in due guerre di secessione dalla Russia morirono oltre 160 mila persone: più di un decimo di tutti i ceceni. Della loro memoria quasi non c’è più traccia nel Paese. Il successo di Ramzan Kadyrov, padre-padrone della Cecenia dal 2007, sta anche nella normalità industriosa della capitale ricostruita con il pieno sostegno di Mosca.
Kadyrov non tollera i gay, imprigiona e tortura gli oppositori, allontana la stampa libera. Però il reddito medio migliora e i negozi finalmente sono ben forniti. Miracoli della dittatura, dell’efficienza burocratica e dispotica del regime voluto da Mosca per riguadagnare il pieno controllo sulla Cecenia. Una formula che Vladimir Putin, fuori dai propri confini, oggi applica anche al regime di Bashar Assad: la Siria rinasce forte e ricca grazie ai russi a spese degli oppositori.
È anche alla piccola regione montagnosa del Caucaso del nord che l’Europa deve guardare per capire i principi della politica di Putin. Per secoli le popolazioni locali avevano visto nell’islam un pilastro di resistenza contro l’espansionismo russo. Inguscezia, Daghestan e Cecenia provarono a rendersi indipendenti da Mosca dopo la Rivoluzione del 1917, ma la repressione bolscevica fu implacabile. Ci riprovarono dopo lo sfascio dell’Urss nel 1991: Mosca rispose con i carri armati. I ceceni replicarono con terribili attentati, divennero qaedisti, a migliaia si unirono all’Isis. Nonostante l’apparente normalità di Grozny, la sfida continua.