Corriere della Sera - La Lettura
I detenuti sono elettori di serie B
Il caso Il diritto di voto negli Usa non è uguale per tutti e colpisce soprattutto gli afroamericani Perciò democratici e repubblicani litigano
Dawn Harrington è una signora 39enne di Nashville che da più di dieci anni combatte inutilmente con la burocrazia del suo Stato, il Tennessee, per riavere il diritto di voto. Nel 2008, mentre era a New York, venne fermata e trovata in possesso di una pistola regolarmente registrata in Tennessee. Ma New York non riconosce il porto d’armi di altri Stati: Dawn finì in prigione. Quando fu scarcerata riacquistò la libertà, ma non il diritto di andare alle urne. In molti Stati dell’Unione, infatti, i pregiudicati non possono votare: in alcuni casi finché hanno conti aperti con la giustizia, in altri anche dopo.
Milioni di ex detenuti (l’America è il Paese con il tasso di incarcerazioni più alto al mondo: quasi l’1 per cento della popolazione dietro le sbarre, ai domiciliari o rilasciata su cauzione) che diventano elettori-fantasma. Norme durissime, molto diverse da quelle in vigore in Europa, spesso introdotte fin dall’Ottocento. Leggi a sfondo razziale: dopo la Guerra civile, finito lo schiavismo, questo era uno dei modi per evitare che i neri esercitassero in massa il diritto di voto, quando era loro riconosciuto (negli Usa gran parte delle persone che hanno problemi con la giustizia sono afroamericani e, in misura minore, ispanici).
Negli ultimi decenni in vari Stati sono emerse tendenze più garantiste che hanno portato a una modifica di queste legislazioni. È il caso del referendum del 2018 nel quale una larga maggioranza della popolazione della Florida ha deciso di restituire il diritto di voto a un milione e 400 mila cittadini dello Stato che hanno ormai saldato il loro debito con la giustizia. L’attuazione di questa misura è stata, però, ostacolata in vari modi (e conflitti analoghi si sono prodotti anche in altri Stati) con la conseguente esplosione di dispute in sede giudiziaria che minano ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e rischiano di mettere in dubbio la credibilità del responso delle urne.
A volte queste situazioni caotiche nascono da insolubili rebus burocratici. Come nel caso di Dawn alla quale le autorità
che dovrebbero restituirle il certificato elettorale chiedono gli originali dei documenti dello Stato di New York sulla fine delle procedure penali nei suoi confronti. E pretendono anche che i funzionari della Grande Mela firmino una dichiarazione all’interno di un documento dello Stato del Tennessee. Nel caso della Florida, invece, è stato lo stesso governatore, il repubblicano Ron DeSantis, a far varare, subito dopo il referendum, una leggina che condiziona il rilascio del certificato elettorale all’avvenuto pagamento di multe, indennizzi e altre pene pecuniarie accessorie.
Per i conservatori è una misura giusta: se il diritto di votare va restituito a chi ha saldato i conti con la giustizia, è bene che si tenga conto di tutti i capitoli sospesi, pene pecuniarie comprese. Per i progressisti, invece, quella introdotta in Florida è una specie di tassa per l’esercizio dei diritti politici. Un tributo che taglia fuori gran parte del popolo degli ex detenuti visto che, stando alle indagini condotte dalle associazioni per i diritti civili, il 70 per cento non è in grado di saldare il debito: uscito dal carcere e senza un lavoro, non ha i mezzi per pagare le multe.
Il conflitto politico è divenuto ben presto battaglia legale: un giudice ha riconosciuto a chi è stato riabilitato il diritto di partecipare al voto anche se non ha saldato le pene pecuniarie, ma ha applicato la sua sentenza solo ai 17 ex detenuti che avevano fatto ricorso in sede giudiziaria. Per lo stesso motivo un tribunale federale, quello di Atlanta, in Georgia, ha dichiarato incostituzionale la norma votata dal Parlamento della Florida. Che ha fatto subito ricorso alla Corte Suprema dello Stato.
Il rischio di arrivare alle presidenziali di novembre in una situazione giuridica ancora confusa, senza una vera certezza su chi ha diritto di votare e chi non ce l’ha, è rilevante. E la Florida non è un posto qualunque: è uno Stato ricco e popoloso la cui conquista è essenziale per arrivare alla Casa Bianca. Ed è uno Stato in bilico: basta pensare a quello che accadde vent’anni fa quando proprio lo stallo della Florida lasciò per giorni e giorni la presidenza in bilico tra George Bush e Al Gore. Poi, nel bel mezzo di un riconteggio dei voti, con una differenza di meno di 300 schede a favore di Bush su sei milioni di voti espressi e i democratici che chiedevano una revisione dei criteri usati per individuare le schede nulle, la Corte Suprema improvvisamente assegnò la vittoria al candidato repubblicano. E quattro anni fa la Florida, pur non essendo uno dei tre Stati (Pennsylvania, Wisconsin e Michigan) conquistati da Trump per un pugno di voti (meno di 80 mila in tutto), andò a The Donald con un margine di poco più di centomila suffragi: mettere in pista più di un milione di nuovi elettori sarebbe una scossa non da poco.
Questo della Florida è il caso più grosso e politicamente significativo, ma il fenomeno soprannominato voter suppres
sion crea incertezza e confusione in vari Stati. In America solo Vermont e Maine riconoscono, come da noi, il diritto di voto anche ai detenuti. Poi ci sono 16 Stati (dall’Illinois all’Ohio, passando per la
Pennsylvania e la città di Washington) che restituiscono automaticamente il certificato elettorale a chi ha saldato i conti con la giustizia. In altri 21 Stati (tra i quali i più importanti: California, Texas e New York), il diritto di voto viene restituito, ma solo dopo che l’interessato avrà completato tutte le procedure di riabilitazione. Infine gli 11 Stati (tra essi Florida, Alabama e Arizona) che tolgono i diritti politici agli ex detenuti a tempo indeterminato, anche dopo che tutti i conti sono stati saldati.
L’atteggiamento nei confronti degli ex detenuti è il principale fattore di distorsione dell’elettorato, ma non l’unico: i trucchi per tenere lontani dalle urne i gruppi sociali più deboli (e sgraditi a chi fa le regole) sono tanti: seggi elettorali spostati senza preavviso, trasferiti in luoghi difficili da raggiungere o addirittura soppressi, norme cervellotiche sul documento da presentare per farsi identificare e altro ancora. Anche qui con una coda di ricorsi all’autorità giudiziaria che mina la credibilità dell’impianto elettorale.