Corriere della Sera - La Lettura

Una passione bruciante per la scrittura

- Di SIMONA VICIANI

Il 16 agosto saranno cent’anni dalla sua nascita. Esce in questi giorni una raccolta di lettere ad amici, agenti, direttori di riviste, mentori e miti. Sono tradotte da Simona Viciani, alla quale abbiamo chiesto questo testo: «Credo che gli sarebbe piaciuto — dice — finire nelle mani di una donna»

Nel centenario della nascita di Charles Bukowski (Andernach, Germania, 16 agosto 1920Los Angeles, Usa, 9 marzo 1994) si ha il piacere di riscoprirl­o attraverso la pubblicazi­one del carteggio inedito che va dagli anni Quaranta ai Novanta ( Sulla scrittura, Guanda). Le quarte di copertina del fiume di libri di Bukowski ci dicono che era emigrato con la famiglia a tre anni in California, che era uno scrittore maledetto e controvers­o, che dovette affrontare infiniti lavori umili prima di approdare alla scrittura e coronare la sua passione. Bukowski era un poeta dall’anima fragile corazzata dietro un’immagine da duro costruita negli anni, una scorza apparentem­ente inattaccab­ile dalle brutture della vita che sconfiggev­a grazie a una pervicace ironia ribelle e alla sua macchina per scrivere sempre carica.

Le lettere pubblicate in questo volume ci offrono l’opportunit­à di conoscere un lato meno esplorato di Bukowski. Quello che sarebbe diventato il suo motto in età matura e che ha voluto venisse scolpito sulla sua lapide — don’t try («non provarci») — non è che il sunto finale, l’accettazio­ne di una verità che ha dovuto sperimenta­re di prima mano. All’età di ventiquatt­ro anni la rivista letteraria «Story» curata da Whit Burnett pubblicò il suo primo racconto. Una vera perla, per ironia e stile di scrittura. Dalle interviste apparse nel corso degli anni l’impression e c h e s i e r a s e mpre a v u t a e r a c h e Bukowski dopo questo felice esordio per un decennio avesse appeso la macchina per scrivere al chiodo, dedicandos­i unicamente alla bottiglia e alle donne. Al contrario, dalle lettere pubblicate in questo nuovo volume, si scopre che così non è stato: Bukowski ha continuato ad azzannare pagine buttando giù parole con o senza macchina per scrivere, quando fu costretto a portarla al banco dei pegni, inviando e sottoponen­do alle riviste poesie e racconti scritti a mano. Le cose capitano a dispetto e a prescinder­e dai tentativi. Una grande verità che Bukowski imparò su un campo minato di lettere di rifiuto.

Nella raccolta epistolare ci sono lettere indirizzat­e a scrittori, redattori, direttori di riviste letterarie; tra questi ricordiamo: Caresse Crosby, poetessa ed editrice; Jon Webb, il primo a pubblicare due sue raccolte di poesie; una missiva totalmente sbronza a Henry Miller; diverse lettere a Lawrence Ferlinghet­ti, ai poeti Harold Norse e Steve Richmond; una molto irriverent­e a Paloma Picasso, e poi al suo editore John Martin, all’indimentic­ato Carl Weissner, amico, agente europeo e traduttore tedesco (una la pubblichia­mo nell’altra pagina); una lettera molto tenera e colma di ammirazion­e a John Fante, suo mentore e mito letterario; e anche a William Packard (1933-2002), scrittore, fondatore ed editore della rivista di poesia «New York Quarterly» (ce n’è una nella pagina accanto).

Qui si mette a fuoco la personalit­à dello scrittore che anche nei momenti più disperati manteneva il suo sereno cinismo ponendo sempre al primo posto una passione ardente per lo scrivere. Ad esempio da una lettera del 1955 a Whit Burnett, direttore della rivista «Story»: «Be’, adesso ne ho 34 di anni. Se non ce la farò per quando ne avrò 60, mi concederò solo altri 10 anni». E ancora, da una lettera del 1959 a James Boyer May, poeta e direttore della rivista minore «Trace»: «Ho spesso abbracciat­o la posizione isolazioni­sta per cui l’unica cosa che conta è la creazione della poesia, la pura forma d’arte. È ininfluent­e chi io sia, o in quante prigioni abbia soggiornat­o, o corsie d’ospedale, chiuso in una stanza da solo o gozzovigli­ando alle feste, quanti reading per cuori solitari abbia schivato. L’anima di un uomo o la sua mancanza sarà evidente in base a ciò che quell’uomo sa incidere su un foglio bianco».

Su quel foglio bianco Bukowski ha inciso parole che ispirano e arrivano dritte al cuore. La ragione del suo successo, se proprio la si deve trovare, oltre alla sua maniacale disciplina — scriveva fino a notte fonda tutte le sere dalle 18.18, ora di timbratura del cartellino del suo ex lavoro impiegatiz­io all’ufficio postale — forse sta nel fatto che la sua scrittura nasceva spontanea, da una passione bruciante che lo inchiodava alla macchina per scrivere e gli faceva sfornare quelle poesie, quei racconti e quei romanzi che tanto amiamo.

Ora devo parlare un po’ di me. Grazie alla fortuna ma anche alla lungimiran­za dei miei genitori, alla fine degli anni Ottanta ho accettato un lavoro in California. Non avrei mai immaginato che mi sarei fermata negli Stati Uniti per quasi dodici anni, ma invece sapevo benissimo che Palos Verdes, dove abitavo, era a pochi chilometri da San Pedro, dove viveva Bukowski. Tutte le mattine lavoravo alla costituzio­ne dell’archivio del tenore italoameri­cano Mario Lanza (Lanza morì a 38 anni nel 1959 a Roma) e tutti i pomeriggi li dedicavo a visitare i luoghi che Bukowski descrive nei suoi libri, sperando di incontrarl­o. Sapevo dove abitava, ma sapevo anche quanto lo infastidis­sero le visite dei lettori. Bukowski purtroppo non l’ho mai conosciuto, ma a pochi mesi dalla sua scomparsa ho conosciuto la moglie Linda Lee. Insieme abbiamo dato vita all’archivio dello scrittore, che sarebb e i n s e g u i to s fo c i a to ne l l a Char l e s Bukowski Foundation.

Abitavo ancora negli Stati Uniti e venni contattata da Fernanda Pivano. Mi venne affidata la ri-traduzione (dall’italiano all’americano) dell’intervista che Nanda fece a Bukowski negli anni Ottanta, uscita in Italia per Feltrinell­i, Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle. Qualche anno dopo mi fu affidata la traduzione italiana dell’opera omnia dello scrittore. Quando si pensa a Bukowski si pensa al maschile: la tendenza era di volere un uomo come traduttore della sua opera. Del resto, come amo spesso ricordare, a Bukowski sarebbe piaciuto finire nelle mani di una donna.

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