Corriere della Sera - La Lettura

DOPO LADOCCIA

- Di MAHSA MOHEBALI

C’è l’amore, a E c’è il disamore.

E poi c’è la gelosia. E anche l’ira. Questo testo di Mahsa Mohebali è tratto da una raccolta che ha avuto grande successo in Iran e poi è stata ritirata dal mercato. Parla di sentimenti, di droga, di chimica. Qualcuno si è irritato

Avevi ragione. Che importa? Che importa quando puoi cancellare tutto con una doccia? Appena esce, rifaccio il letto: sfilo le lenzuola rosse e metto quelle azzurre. Poi mi butto sotto l’acqua. Voglio farmi trovare linda e pulita, nella vestaglia fucsia, sdraiata sul divano e con il bicchiere in mano. Come sottofondo scelgo un album di Alizadeh: Torkeman. Faccio partire il cd ed ecco che suoni il campanello.

Lo senti il profumo? È quello agli agrumi che mi hai regalato per il compleanno. Con i capelli bagnati è ancora meglio. Mi sembri Johnny Dollar. Perché fissi il posacenere? Già, io le sigarette col filtro giallo non le fumo.

Sorpreso? Pensavi che stessi ancora dormendo? Non ti aspettavi di trovarmi così?

Come vedi ho fatto la doccia, ho messo la vestaglia che ti piace tanto, ho raccolto i capelli e impugno il bicchiere. È tutto pronto. Bene, adesso chiedimi pure quella cosa che ti ha trascinato fin qui, a quest’ora del mattino. Quella cosa che ti frulla per la testa come un tarlo. Accenditi una sigaretta, la nicotina potrebbe aiutarti a trovare le parole giuste. O forse non serve. Per una manciata di insulti mica devi ragionare chissà quanto.

Seduto davanti a me, dondoli una gamba e rigiri la sigaretta nel posacenere. Aspetti che parli prima io? No caro, tocca a te. A dirla tutta adoro questi momenti, vorrei protrarli all’infinito. Come mai sei venuto qui? Non potevi restartene a casa tua a ripetere uno di quei mantra che prescrivi sempre ai tuoi discepoli? Così ti calmavi. A gambe incrociate, nudo, la finestra spalancata e i capelli sciolti sulle spalle.

Te li sei legati? Perché? Non hai fatto la doccia. Quando non li lavi hanno un aspetto orribile. Anche i tuoi occhi non sono gli stessi, sembrano i miei le volte che i tuoi amici venivano a trovarti per meditare e tu, guarda caso, dimenticav­i di riattaccar­e il telefono alla fine della seduta. Guarda caso, quella mattina c’era una ragazza che scendeva le scale del tuo palazzo. Quando sono entrata la presa del telefono era ancora a terra.

Hai gridato: «Fammi capire, ti devo delle spiegazion­i se per una notte ho staccato il telefono?».

Mi hai spiazzata. Non perdevi mai il controllo così. Comunque sono contenta di averla vista. È molto peggio se nei tuoi incubi incontri qualcuno che non ha volto. Vorrei potere almeno immaginare qualcosa, quando ti penso.

Ascolta. Che genio. È incredibil­e che cos’è capace di fare con quattro corde. Adoro questo passaggio, senti qua. Sembra che le corde stiano gridando o che ti ripetano lo stesso urlo nella testa per centinaia di volte. Quando mi ritrovo sdraiata così, con il bicchiere in mano e le urla che rimbombano, non vorrei più fare altro.

Una sera che non rispondevi al telefono, mi sono messa a dipingere. Ho mescolato i colori caldi e sferzato la tela con la punta del pennello, lasciando segni brevi e decisi. È stato inutile. Ho pensato che fosse colpa dei colori, così ho provato a usare quelli freddi e ho fatto dei tratti lenti e continui. Niente da fare. Il rosso, l’arancione e il rosa non hanno placato la mia rabbia. Nemmeno il verde e l’azzurro ci sono riusciti. Facevo il tuo numero di telefono ogni cinque minuti. Finché non si è fatto giorno. È stato inutile. Anzi, è stato stupido.

Se non rispondevi dopo mezzanotte, voleva dire che non l’avresti fatto fino alle nove del mattino. Mica potevi cacciare via la tipa nel cuore della notte, e in uno stato poi... Vi facevate tante di quelle canne da sentirvi levitare di mezzo metro, mentre io stavo proprio a terra, anche un po’ sprofondat­a a dire il vero. Una palla di piombo.

Cominciavo puntuale la serata. La tanica di vino da quattro litri a portata di mano, il ghiaccio. Proprio mentre i tuoi discepoli si preparavan­o ad uscire. Andavano via alla spicciolat­a, senza fretta. Ti stringevan­o la mano e ti salutavano a bassa voce, attenti a non fare rumore. Come se qualcuno si fosse addormenta­to nella stanza di fianco sotto l’effetto del mantra o una poesia del mistico Ruzbehan.

Ti ci vedo con il camicione, i pantaloni bianchi di lino, seduto in fondo alla stanza a gambe incrociate, davanti al leggio d’ebano, che sussurri versi d’amore mentre il tuo sguardo incontra gli occhioni di quella ragazza un po’ pallida. Che poi non sono così grandi, ma con l’eyeliner ci sa fare. Pure il fondotinta dev’essere di quelli che costano. È qualche tono più chiaro della sua pelle al naturale, funziona bene. Le piace sembrare un po’ pallida, le dà un’aria così... eterea, non credi?

Ti ci vedo che, su insistenza dei tuoi discepoli, tiri fuori da un vecchio raccoglito­re verde uno di quei fogli ingialliti e parti a leggere. Fino a un paio d’anni fa, certe cose le dicevi solo a me. «La mia piccola principess­a», «Regina delle nevi». A chi lo dici oggi non lo so. «Lady Brown» l’avrai detto a quella ragazza magrolina. Per me è bulimica, lo si capisce dagli occhi. Tanto le sai meglio tu, queste cose. Chissà come glieli guardavi, mentre le dedicavi una poesia. Proprio come facevi con me. I tuoi erano rossi e un po’ assonnati. Ti diventano sempre così al secondo giro d’erba. Languidi, ti piace questo aggettivo. Non che adesso lo siano. Sei stato sveglio tutta la notte? Ti sei messo a chiamare ogni cinque minuti come facevo io? Avanti, chiedi pure. Sputa il rospo.

Perché te ne stai lì davanti alla tela? Tutti quei colori non ti aiuteranno a ritrovare la calma, anzi potrebbe essere peggio. Chissà che cosa stai covando, dietro quella faccia impassibil­e. Magari mi scaraventi in testa il posacenere di cristallo oppure l’abat-jour. Per me fa lo stesso, scegli tu. Io non mi scompongo, resto zitta. Puoi prolungare questo momento del cavolo quanto ti pare, tanto non parlo.

Quindi te ne stai lì impalato? Non ti sei mai interessat­o così tanto ai miei lavori. Forse è per evitare di guardarmi. Da quando sei entrato, non mi hai rivolto uno sguardo, mentre io non ti tolgo gli occhi di dosso nemmeno

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