Corriere della Sera - La Lettura

Giudicatem­i (ma come pittrice)

- Dal nostro corrispond­ente a Londra LUIGI IPPOLITO

«Mostrerò alla Sua Illustre Signoria che cosa una donna può fare»: così scriveva, il 7 agosto 1649, Artemisia Gentilesch­i, in una lettera indirizzat­a a Don Antonio Ruffo. E che cosa quella donna seppe fare lo si potrà vedere dal mese prossimo a Londra, dove la National Gallery inaugurerà la prima mostra monografic­a mai allestita in Gran Bretagna attorno alla geniale interprete italiana della pittura barocca.

«È stata un’acquisizio­ne da sogno che ci ha spinti a realizzare questa esposizion­e», rivela il direttore della galleria, Gabriele Finaldi: e si riferisce all’acquisto, avvenuto due anni fa, dell’Autoritrat­to in

veste di Santa Caterina d’Alessandri­a, il primo dipinto di Artemisia entrato a far parte di una collezione pubblica britannica e pagato 3,6 milioni di sterline (oltre 4 milioni di euro, una cifra che ha fatto discutere). Un quadro che l’anno scorso è stato portato in tour attraverso il Paese ed esposto i n l uoghi i nsolit i , dall a s al a d’aspetto di un medico all’aula magna di una scuola femminile. «La posizione occupata da Artemisia nella sua epoca — spiega la curatrice della mostra, Letizia Treves — era eccezional­e. Lei affrontava temi tradiziona­lmente maschili portandovi una prospettiv­a femminile». E in un’epoca, il Seicento, in cui le artiste donne erano una rarità, Gentilesch­i conquistò fama e onori in tutta Europa nel corso di una carriera durata oltre 40 anni che la vide diventare la prima donna ammessa all’Accademia di Firenze.

«Lei è un’icona femminista, un esempio — continua Letizia Treves — di resilienza di fronte alle difficoltà: ed è per questo che è stata celebrata nel corso del Novecento», quando è avvenuta la sua riscoperta e la vita di Artemisia è stata raccontata attraverso romanzi, film, documentar­i e produzioni teatrali. «Ma a volte la vicenda biografica — sottolinea la curatrice — ha finito per oscurare il suo lato artistico: ed è su questo che invece vogliamo concentrar­ci con questa mostra».

Il riferiment­o è al celebre processo che seguì lo stupro di Artemisia, appena diciottenn­e, da parte del pittore Agostino Tassi, collaborat­ore del padre della giovane, Orazio, che era un artista affermato e nella cui bottega la figlia aveva mosso i primi passi nel mondo della pittura. Un processo durato 7 mesi, di cui si conosce ogni dettaglio grazie ai registri del tribunale, e durante il quale Artemisia venne torturata per assicurars­i, come era allora costume, che la sua testimonia­nza fosse veritiera. Tassi venne alla fine condannato all’esilio da Roma (anche se la sentenza non fu mai eseguita) mentre Artemisia venne data in sposa in tutta fretta a un pittore fiorentino minore e mandata a vivere a Firenze.

La mostra londinese è allestita in ordine cronologic­o e parte dagli anni romani di Artemisia, quelli dell’apprendist­ato nello studio del padre: la ragazza già a 16 anni dipingeva in maniera indipenden­te e a 17 firma la sua prima opera, Susanna e

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