Corriere della Sera - La Lettura

Asiaticoam­ericani Anche il sogno

- Di ALESSIA RASTELLI

«No n ho f re quent a to Harvard né le università prestigios­e che di solito formano gli s c r i t to r i . Vengo da una zona povera di Hartford, nel Connecticu­t. Sono figlio di una madre rifugiata dal Vietnam che ha passato la vita a fare manicure, a lavare i piedi dei clienti in un centro estetico. È vero, sono diventato uno scrittore, ma questo non vuol dire che il “sogno americano” esista. È un mito, una bugia. Io ho avuto fortuna ma, per uno come me, ce ne sono migliaia che consumano la vita nelle fabbriche, per i quali l’esistenza è una lotta quotidiana».

Ocean Vuong, nato nel 1988 nella città di Ho Chi Minh (già Saigon), è arrivato a due anni in America, passando per un campo profughi nelle Filippine. Sua madre dovette scappare dal regime comunista perché figlia di una vietnamita e di uno statuniten­se incontrati­si negli anni Cinquanta.

Lo scorso giugno proprio alla madre Rose, il figlio, divenuto un poeta noto al mondo, ha indirizzat­o una lettera che lei, semianalfa­beta e scomparsa pochi mesi dopo, non ha potuto mai leggere. È questa lettera — un racconto della vita di Ocean, che in famiglia chiamavano Little Dog («cagnolino») — la prima intensa e riuscita opera narrativa dello scrittore: Brevemente risplendia­mo sulla terra, che ora esce da La nave di Teseo nell’accurata traduzione di Claudia Durastanti, abile a rendere in italiano il sottile lavoro sulla lingua che Vuong compie anche nella prosa.

Perché, dopo il successo della raccolta poetica «Cielo notturno con fori d’ us c i t a » , ha s e nt i to i l b i s o g no di un’opera narrativa?

«Non sono mai stato ancorato alla mia identità di poeta. Sono uno scrittore, mi interessa prima di tutto lavorare sulla singola frase. E poi sulle storie. Così mi sono voluto mettere alla prova nella forma lunga, che coniuga questi due aspetti e mi obbliga a seguire i personaggi giorno dopo giorno».

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