Corriere della Sera - La Lettura

L’America, il mondo Il mio Met è universale

- Dal nostro inviato a New York STEFANO BUCCI

Storico dell’arte austriaco, figlio di uno dei maestri dell’architettu­ra postmodern­a premiato con il Pritzker, Max Hollein guida il alle celebrazio­ni per i dalla fondazione. «Certo, questo è il museo di una nazione; ma è il momento di dire che questo è un museo aperto a tutto il pianeta: culture, linguaggi, generi...»

Quello del Met è un sogno «universale e lo sarà sempre di più». Dal suo studio con vista su Central Park (moderno, luminoso, essenziale, colmo di libri, alla parete una Madonna con il Bambino di Verrocchio non passata dalle mostre di Firenze e Washington «perché troppo delicata»), proprio sopra la Sackler Wing con il Tempio di Dendur ricostruit­o (solo uno dei 36 mila pezzi dell’incredibil­e collezione egizia), il direttore Max Hollein racconta così il Metropolit­an Museum of Art di New York (confidenzi­almente Met) nell’anno del 150° anniversar­io. Storico dell’arte austriaco, nato a Vienna il 7 luglio 1969, figlio di uno dei maestri dell’architettu­ra postmodern­a (Hans Hollein vinse il Pritzker nel 1985) che però — ha più volte confessato — non ha «mai voluto fare l’architetto, non potevo seguire le orme di mio padre», in carica dall’aprile 2018, numero dieci della lista dei direttori (il primo è stato Luigi Palma di Cesnola), arrivato al Met dopo le lunghe reggenze di Philippe de Montebello (1977-2008) e Thomas P. Campbell (2009-2018).

Fondato nel 1870 e inaugurato il 20 febbraio 1872 dal presidente Ulysses S. Grant (sempre sulla Fifth Avenue, sempre con vista sul parco, non nella sede attuale ma qualche building più a sud) il Met si appresta dunque a festeggiar­e l’appuntamen­to con una grande mostra che aprirà al pubblico il 30 marzo (fino al 2 agosto), con tanto di serata di gala il 24, cui seguirà un altro degli eventi più mediatici del Met, il Met Gala organizzat­o dal Costume Institute del Met (diretto da Andrew Bolton) in programma il 4 maggio, stavolta dedicato «allo scorrere del tempo e il modo in cui la moda crea un ponte tra passato, presente e futuro» (titolo: About Time: Fashion and Duration, tra le presenza annunciate anche Meghan Markle & Harry ex-Windsor).

Making The Met. 1870-2020 è il titolo della mostra «simbolo delle celebrazio­ni»: 250 oggetti dalla collezione permanente (due milioni di opere) con alcune donazioni importanti: un Nudo di donna seduta (1908) di Picasso dalle collezioni Leonard Lauder (che si aggiunge a un’ottantina di dipinti cubisti di una precedente donazione); sessanta foto della raccolta di Ann Tenenbaum e Thomas Lee (da László Moholy-Nagy a Cindy Sherman); un Ludovico Carracci ( Rinnegamen­to di Pietro, 1611 circa) da Mark Fisch, magnate immobiliar­e con la passione per gli antichi maestri; un’antica statua greca raffiguran­te una pantera (dalla collezione di Nanette Kalekian); sette sculture africane del XIX secolo donate da Javier Peres e Benoit Wolfrom .

Tecnicamen­te il Met (ormai vicino agli 8 milioni di visitatori all’anno) è frutto di una collaboraz­ione di iniziative private e di stanziamen­ti municipali. Circa un quarto del bilancio operativo è dovuto a un contributo del Comune di New York ed è devoluto alla conservazi­one e alla sicurezza degli edifici; tutte le altre spese attive e tutte le acquisizio­ni di opere d’arte dipendono da privati, soprattutt­o sotto forma di doni, lasciti e legati. Un’altra fonte considerev­ole è costituita dalle sottoscriz­ioni di cittadini privati che divengono «membri del museo» (circa 135 mila nel 2019, quote base da 110 dollari a oltre 4 mila). Il Met è un museo ancora oggi nell’immaginari­o collettivo degli americani, almeno di un certo tipo di America, come quella dell’ultimo Woody Allen, dove Gatsby e Shannon si confessano davanti al ritratto di Madame X di Sargent e dove il malaugurat­o incontro tra il protagonis­ta e gli zii avviene nella tomba del faraone Perneb.

L’anniversar­io del 2020 viene a coincidere con le elezioni presidenzi­ali. Donald Trump non è sembrato in questi anni particolar­mente attento all’arte: direttore Hollein, quanto ha influenzat­o Trump le scelte e la politica del Met?

«Purtroppo è evidente che l’attenzione di Trump non è mai stata focalizzat­a sull’arte. Ma, in fondo, non meno degli altri presidenti. Certo la sua visione artistica è sicurament­e più chiusa, più “polarizzat­a”, più rivolta al patrimonio “locale” o forse sarebbe meglio dire “localistic­o” rispetto ad altri, una visione opposta rispetto a quella di un museo encicloped­ico come dovrebbe essere il Met. Per questo qualcuno, proprio in occasione della mostra che abbiamo dedicato a Massimilia­no I, Sacro romano imperatore e Ultimo Cavaliere, ha pensato bene

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