Corriere della Sera - La Lettura

I SILENZI DELLE DEE I SILENZI DELL’UOMO

- Di DONATELLA PULIGA

Ridurre, costringer­e, condannare. Hanno la semantica della privazione e della punizione alcuni verbi che nella nostra lingua vengono accostati al silenzio. Ne aveva fatto esperienza, nel mito classico, la ninfa Lara (il cui nome rinvia al parlare eccessivo), che — racconta Ovidio nei Fasti — aveva davvero detto troppo, rivelando a Giunone uno degli ennesimi tradimenti di Giove. Taglio della lingua e confinamen­to nel regno dei morti fu la punizione per la giovane donna, che si chiamerà da allora Tacita Muta e che nella religione romana sarà titolare della regione del silenzio. Di quella dimensione percepita come privazione della vita.

A un’altra divinità femminile, Angerona, i Romani affidavano una diversa dimensione del silenzio: nel suo nome c’è la radice del verbo angere, comune ad angor (ansia), anxietas (angoscia) e angina. Talvolta l’impossibil­ità di parlare percorre la stessa strada dell’impossibil­ità di respirare. Questa divinità minuta potremmo incontrarl­a oggi nelle nostre piazze deserte: icona di angosce che derivano — tragica ironia — proprio dallo spettro dell’insufficie­nza respirator­ia. La riconoscer­emmo per come era rappresent­ata dagli antichi: con l’indice perpendico­lare alle labbra, o, a chiuderle la bocca, una benda: impediment­o al parlare e profetica antenata di introvabil­i mascherine.

Ma anche per gli antichi l’ambivalenz­a del silenzio stava nel suo essere, oltre che privazione (e punizione), anche protezione. Una funzione affidata, alla corte di Costantino­poli, al silentiari­us, ministro incaricato di imporre il silenzio prima dell’apparizion­e dell’imperatore, per proteggern­e il passaggio. Oggi come ieri, la sostanza del mistero è il silenzio. Che

se non lo si può custodire

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