Corriere della Sera - La Lettura
I SILENZI DELLE DEE I SILENZI DELL’UOMO
Ridurre, costringere, condannare. Hanno la semantica della privazione e della punizione alcuni verbi che nella nostra lingua vengono accostati al silenzio. Ne aveva fatto esperienza, nel mito classico, la ninfa Lara (il cui nome rinvia al parlare eccessivo), che — racconta Ovidio nei Fasti — aveva davvero detto troppo, rivelando a Giunone uno degli ennesimi tradimenti di Giove. Taglio della lingua e confinamento nel regno dei morti fu la punizione per la giovane donna, che si chiamerà da allora Tacita Muta e che nella religione romana sarà titolare della regione del silenzio. Di quella dimensione percepita come privazione della vita.
A un’altra divinità femminile, Angerona, i Romani affidavano una diversa dimensione del silenzio: nel suo nome c’è la radice del verbo angere, comune ad angor (ansia), anxietas (angoscia) e angina. Talvolta l’impossibilità di parlare percorre la stessa strada dell’impossibilità di respirare. Questa divinità minuta potremmo incontrarla oggi nelle nostre piazze deserte: icona di angosce che derivano — tragica ironia — proprio dallo spettro dell’insufficienza respiratoria. La riconosceremmo per come era rappresentata dagli antichi: con l’indice perpendicolare alle labbra, o, a chiuderle la bocca, una benda: impedimento al parlare e profetica antenata di introvabili mascherine.
Ma anche per gli antichi l’ambivalenza del silenzio stava nel suo essere, oltre che privazione (e punizione), anche protezione. Una funzione affidata, alla corte di Costantinopoli, al silentiarius, ministro incaricato di imporre il silenzio prima dell’apparizione dell’imperatore, per proteggerne il passaggio. Oggi come ieri, la sostanza del mistero è il silenzio. Che
se non lo si può custodire