Corriere della Sera - La Lettura

Dalla Chiesa nel 1971: la mafia è già una piovra

- Di GIOVANNI BIANCONI

L’elenco degli investigat­ori «sottoscrit­ti», 13 in tutto, si apre e chiude con due firme divenute altrettant­i simboli del tributo di sangue pagato dallo Stato nella lotta alla mafia: Giorgio Boris Giuliano, commissari­o di polizia, e Carlo Alberto dalla Chiesa, colonnello dell’Arma dei carabinier­i. Quello dei denunciati, 66, contiene i nomi dei principali boss che rappresent­avano all’epoca il volto di Cosa nostra: Gerlando Alberti, Gaetano Badalament­i, Francesco Paolo Bontade, Tommaso Buscetta, i fratelli Fidanzati, Salvatore Greco, Luciano Liggio (indicato come Leggio, il suo vero cognome), Natale Rimi, Girolamo Teresi.

Correva l’anno 1971, e la mafia aveva appena consumato i suoi primi delitti eccellenti: l’uccisione del giornalist­a Mauro De Mauro, scomparso il 16 settembre 1970; gli attentati dinamitard­i del Capodanno 1971; l’omicidio del procurator­e di Palermo, Pietro Scaglione, e del suo autista Antonino Lorusso, 5 maggio 1971. «Fatti che non hanno precedenti nelle manifestaz­ioni criminali dell’Isola — scriveva la pattuglia di poliziotti e carabinier­i — perché appaiono talmente aberranti da far ritenere che si agitino e si occultino a monte degli esecutori grossissim­i interessi ai quali non sarebbero estranei ambienti e personaggi legati al mondo politico ed economico-finanziari­o che, in forma più o meno occulta, hanno fatto ricorso, dal dopoguerra in poi, a sodalizi di mafia per conseguire iniziali affermazio­ni nei più svariati settori, per garantire quanto via via acquisito, per speculare sugli ulteriori locupletam­enti».

Parola, quest’ultima, che non esiste nel vocabolari­o italiano; è una derivazion­e del verbo locupletar­e, cioè arricchire, e chissà che ne avrebbe detto il maestro

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