Corriere della Sera - La Lettura

Il caos cerca l’ordine Voci della neo-epica

- Di ALBERTO CASADEI

In passato furono Gilgamesh e i poemi omerici. Poi la grande stagione del romanzo. Ma oggi, mentre siamo (tr)av(v)olti da informazio­ni e immagini di ogni tipo, ad alcuni la forma narrativa tradiziona­le sembra non bastare più e rinasce una forte domanda di senso. Così da McIntosh a Littell, da Bolaño a DeLillo a Houellebec­q, sorgono opere diverse ma accomunate da questo stesso anelito

Apriamo ilMistero.doc di Matthew McIntosh, un’opera del 2017 da qualche mese disponibil­e in italiano. Sono quasi 1 . 6 0 0 p a g i ne , molte d e l l e quali coperte di asterischi o di cancellatu­re in nero, con decine e decine di fotografie e immagini, spesso ricavate da film ma sfuocate. Non troviamo nessun legame evidente tra questi frammenti, viviamo in una condizione dissociata come lo stesso protagonis­ta Daniel, che non riconosce nemmeno la sua compagna e la sua casa, poi scopre un file che dovrebbe contenere l’opera che sta scrivendo, ma è vuoto... Non un romanzo tradiziona­le, dunque, ma in ogni caso un’opera vasta e grandiosa, frutto di una narrazione oggettiva e distaccata in cerca di un senso profondo e, appunto, misterioso. Elementi che hanno fatto pensare all’epica. L’accostamen­to forse non è del tutto azzardato, ma bisogna chiarire meglio che cosa possiamo intendere con «epica».

Epica e romanzo: una lunga storia

L’epica non è una forma narrativa primigenia e naturale. Per quanto possiamo ipotizzare oggi, sono esistiti, forse sin da una decina di migliaia di anni prima di Cristo, canti religiosi e mitologici che si sono concentrat­i progressiv­amente su un grande eroe, per esempio Gilgamesh in Mesopotami­a, del quale si esaltavano le imprese. Con l’avvento della scrittura, fu più facile raccoglier­e i canti e cominciare a cucirli: gli aedi o rapsodi, in molte parti del mondo, crearono un super-racconto, appunto un epos, che aveva un valore speciale per il popolo che lo aveva prodotto. L’epica degli eroi costruì un’idea di mondo, di come si potevano ricordare e narrare le vicende che fanno la storia.

Noi lettori del XXI secolo siamo però esperti di romanzo, non di epica. E il romanzo, in effetti, si distingue fortemente dall’altra forma narrativa antica. Certo, si parla di destini di uomini, ma sempre più vengono alla ribalta quelli comuni, i parigini di Balzac o i dublinesi di Joyce. Inoltre non c’è nessun obbligo di linearità, anzi l’intreccio diventa sempre più complicato. Interessa sempre più la specificit­à dell’individuo, benché non manchi spesso uno sfondo grandioso, come in Guerra e pace di Tolstoj o in Vita e destino di Vassilij Grossman, il più importante romanzo «classico» sulla Seconda guerra mondiale e sui totalitari­smi.

Oggi come oggi, tuttavia, avvolti da informazio­ni e immagini di tutti i tipi, può bastare un testo narrativo scritto a dare conto degli infiniti segni in cui siamo immersi? Nel nostro immaginari­o, rimangono molto più impresse le scene madri di grandi film, magari anch’essi a loro modo epici, come Via col vento o Guerre stellari, mentre la forma-romanzo sembra non bastare a racchiuder­e la realtà sempre più stratifica­ta che viviamo e che sentiamo sfuggente e magari oscura. La risposta della grande narrativa scritta è allora proprio quella di essere costanteme­nte ibrida, inclusiva, persino incoerente. È in queste forme, difficilme­nte definibili, che possiamo rintraccia­re l’epica di oggi.

Opere mondo e romanzi globali

Da circa venticinqu­e anni, ossia da quando è uscito il saggio Opere mondo di Franco Moretti (1994), si cerca di individuar­e opere che condensano un’idea complessiv­a e simbolicam­ente efficace dell’intera realtà: insomma nuove narrazioni epiche. Moretti partiva dal Faust di Goethe, scritto in quasi sessant’anni tra il 1772 e il 1831, e arrivava a Cent’anni di solitudine di García Márquez (1967): ma cosa è successo dopo?

Esce per esempio un testo elefantiac­o quale Gravity’s rainbow, quell’Arcobaleno della gravità in cui Thomas Pynchon, nel 1973, ripercorre in modi volutament­e strambi tutto lo scenario della Seconda guerra mondiale alla ricerca di un Rocket-Graal, una V2 tedesca indicata come 00000, che forse è stata lanciata e forse, con la sua parabola-arcobaleno, prima o poi ci colpirà. La lettura della realtà c’è ed è filtrata da paranoie esibite, da una presenza di personaggi grotteschi e quasi da cartone animato: non è certo un’opera realistica nel senso tradiziona­le, eppure aspira a fornire un’idea forte di quello che è avvenuto e avviene nella storia umana.

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