Corriere della Sera - La Lettura
I VERSI CI DANNO LE PAROLE CHE NON ABBIAMO
Da tempo la crisi è una condizione più che un fenomeno. Le sue ramificazioni sono molteplici: parliamo di crisi umanitarie, sociali, politiche, ambientali. Alcune rievocate, altre dimenticate. A volte avvenimenti inattesi ci costringono ad affrontarle con i nostri strumenti umani. Nella necessaria immobilità dei giorni che viviamo, cerchiamo risposte e speranza dove sappiamo di trovarle: nelle parole dei poeti, degli «inconsolabili consolatori del mondo», come li definì Ghiannis Ritsos. E così si moltiplicano le iniziative che riguardano la poesia: in rete fioriscono letture di autori famosi e no, mentre si avvicinano la Giornata mondiale della poesia (21) e il Dantedì, giorno celebrativo di Dante Alighieri (25). È come se, soprattutto in tempi di miseria, nel nostro smarrimento, la poesia, che per sua natura cerca di esprimere la verità, ci fornisse il timone in grado di guidarci fuori dalla tempesta emotiva in cui ci mancano le parole necessarie. Perciò ricorriamo alle parole della poesia come incantesimi capaci di annientare il male.
Perché la poesia rappresenta il valore della durata, è la lingua della resistenza. Nasce e si rivolge a quel luogo interiore che Pierluigi Cappello chiama «la parte soleggiata di noi stessi», simile «a una pietra/ che il tempo abbia sepolta/ nel fondo profondo di noi/ (…) dove io si dice per dire/ — per essere — noi». Ci consente di preservare la forza della nostra immaginazione, di resistere alla pressione del reale, di scrivere un futuro e creare un mondo nuovo, in cui si può viaggiare sulle ali del «vento Nord-Sud/ (lo so che non esiste,/ ma se serve — esiste!)», come scrive Marina Cvetaeva. L’attuale riscoperta della poesia potrebbe, dunque, dipendere dalla sua forza che non arretra, da una grandezza che cerca soltanto lettori e ascoltatori attenti e partecipi, come forse ora siamo noi.