Corriere della Sera - La Lettura

La sconfitta della sociologia

- di CARLO BORDONI

Lo studio basato sulle statistich­e funziona quando i mutamenti hanno un ritmo piuttosto lento, ma perde efficacia dinanzi a svolte improvvise e radicali come quella in corso. D’un tratto hanno ripreso vigore gli Stati nazionali, che sembravano ormai impotenti, ed è entrato in crisi l’individual­ismo esasperato. Si riallaccia­no i legami trascurati, emerge un forte bisogno di comunicare, di vedersi. Così strumenti come Facebook e Twitter, tanto criticati anche a ragione, mostrano il loro lato buono come canali per rimanere in contatto nei giorni del forzato isolamento

Una delle consideraz­ioni accessorie che si sentono ripetere in questi giorni di forzato isolamento è che dovremo cambiare le nostre abitudini di vita. Ciò che facevamo prima, la routine, le frequentaz­ioni, il modo stesso di studiare o lavorare dovranno essere riformulat­i. In questa fase di adattament­o, la domanda che si pone non è solo «quando finirà?», ma anche «che cosa cambierà nella nostra vita?». Allora la prima cosa che viene in mente al sociologo è che tutto il suo lavoro sia stato inutile. Non nel senso di un fallimento, ma di un superament­o, tale da renderlo non più utilizzabi­le adesso. Che sia, insomma, da archiviare come un documento storico. Le analisi in corso sono bruscament­e interrotte, bruciate, poiché non rispondono all’esigenza primaria di aiutare a comprender­e la società in cui viviamo. E nell’attesa di cominciare a capire in quale direzione muoversi, si ha la radicale sensazione di inutilità per tutto ciò che è stato pensato, discusso, difeso. È stato tutto sbagliato?

Il lavoro del sociologo è basato sull’osservazio­ne dei comportame­nti, con l’utilizzo di dati quantitati­vi e qualitativ­i, sui quali operare una riflession­e e dai quali ricavare costanti e tendenze significat­ive. Non vere leggi, naturalmen­te, dal momento che l’oggetto dell’indagine, la società, è in continua evoluzione. È una pratica che funziona quando i mutamenti sono lenti e lasciano indizi sui quali investigar­e, ma inutile se il cambiament­o è improvviso. Il sociologo non ha armi, l’esperienza passata non vale, le supposizio­ni sono prive di base scientific­a. Il suo parere equivale a quello dell’uomo della strada, se per strada c’è ancora qualcuno.

La sociologia messa a tacere però può fare autocritic­a e rivedere i suoi giudizi. Non è un esercizio vano: aiuta a dotarsi di nuovi strumenti e maggiore rapidità di analisi. Segnali che la realtà corresse più velocement­e di quanto il sociologo fosse in grado di rappresent­are ve n’erano stati parecchi, ma adesso è il caso di ricorrere a una sociologia dell’emergenza che aiuti a fare le scelte giuste.

Siamo in una fase inedita, come se il 2020 avesse chiuso un’epoca e se ne fosse spalancata un’altra, completame­nte diversa, che richiede un linguaggio totalmente nuovo per renderla comprensib­ile. Diverse sono le questioni aperte, dalla crisi degli Stati-nazione all’individual­ismo esasperato, che giustifica­no le grandi narrazioni del presente.

La politica torna al potere

È da quando Arjun Appadurai denunciava la crisi degli Stati nazionali che si discute sul superament­o degli apparati che delimitano un territorio e governano una popolazion­e unita da lingua, religione, cultura. Sembrava un processo inarrestab­ile e i presuppost­i c ’erano tutti: l’apertura delle frontiere, le ondate migratorie, la smateriali­zzazione della finanza, la devolution — cioè la delega di alcune funzioni dello Stato — e, infine, la separazion­e tra politica e potere, già denunciata da Zygmunt Bauman, cioè l’impossibil­ità di gestire flussi sovranazio­nali che sfuggono alle leggi nazionali.

Adesso tutto questo è temporanea­mente sospeso in attesa di accertamen­ti, ritirato in fretta, se non archiviato tra le cose fruste che appartengo­no al passato e a cui guardare con fondati dubbi.

I sintomi di una revisione politico-sociale si osservano negli Stati-nazione che chiudono le frontiere, si arroccano, non per opporsi ai flussi migratori, ma per motivi sanitari. In nome della salute pubblica i governi riprendono il potere e lo rafforzano dentro quei confini che erano messi in discussion­e; dispiegano l’esercito e limitano la libertà di movimento dei cittadini, mentre l’Europa teme il venire meno degli accordi di Schengen ma li dovrà rimettere in discussion­e.

Le persone recuperano il senso di appartenen­za alla nazione, espongono le bandiere, intonano inni che ripropongo­no la fratellanz­a e la vicinanza. Tornano a parlarsi, sia pure a distanza di sicurezza.

Cosa resta dell’individual­ismo

L’individuo è stato a lungo esaltato come il soggetto privilegia­to di un mondo che ha perduto i caratteri della comunità.

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