Corriere della Sera - La Lettura
La sconfitta della sociologia
Lo studio basato sulle statistiche funziona quando i mutamenti hanno un ritmo piuttosto lento, ma perde efficacia dinanzi a svolte improvvise e radicali come quella in corso. D’un tratto hanno ripreso vigore gli Stati nazionali, che sembravano ormai impotenti, ed è entrato in crisi l’individualismo esasperato. Si riallacciano i legami trascurati, emerge un forte bisogno di comunicare, di vedersi. Così strumenti come Facebook e Twitter, tanto criticati anche a ragione, mostrano il loro lato buono come canali per rimanere in contatto nei giorni del forzato isolamento
Una delle considerazioni accessorie che si sentono ripetere in questi giorni di forzato isolamento è che dovremo cambiare le nostre abitudini di vita. Ciò che facevamo prima, la routine, le frequentazioni, il modo stesso di studiare o lavorare dovranno essere riformulati. In questa fase di adattamento, la domanda che si pone non è solo «quando finirà?», ma anche «che cosa cambierà nella nostra vita?». Allora la prima cosa che viene in mente al sociologo è che tutto il suo lavoro sia stato inutile. Non nel senso di un fallimento, ma di un superamento, tale da renderlo non più utilizzabile adesso. Che sia, insomma, da archiviare come un documento storico. Le analisi in corso sono bruscamente interrotte, bruciate, poiché non rispondono all’esigenza primaria di aiutare a comprendere la società in cui viviamo. E nell’attesa di cominciare a capire in quale direzione muoversi, si ha la radicale sensazione di inutilità per tutto ciò che è stato pensato, discusso, difeso. È stato tutto sbagliato?
Il lavoro del sociologo è basato sull’osservazione dei comportamenti, con l’utilizzo di dati quantitativi e qualitativi, sui quali operare una riflessione e dai quali ricavare costanti e tendenze significative. Non vere leggi, naturalmente, dal momento che l’oggetto dell’indagine, la società, è in continua evoluzione. È una pratica che funziona quando i mutamenti sono lenti e lasciano indizi sui quali investigare, ma inutile se il cambiamento è improvviso. Il sociologo non ha armi, l’esperienza passata non vale, le supposizioni sono prive di base scientifica. Il suo parere equivale a quello dell’uomo della strada, se per strada c’è ancora qualcuno.
La sociologia messa a tacere però può fare autocritica e rivedere i suoi giudizi. Non è un esercizio vano: aiuta a dotarsi di nuovi strumenti e maggiore rapidità di analisi. Segnali che la realtà corresse più velocemente di quanto il sociologo fosse in grado di rappresentare ve n’erano stati parecchi, ma adesso è il caso di ricorrere a una sociologia dell’emergenza che aiuti a fare le scelte giuste.
Siamo in una fase inedita, come se il 2020 avesse chiuso un’epoca e se ne fosse spalancata un’altra, completamente diversa, che richiede un linguaggio totalmente nuovo per renderla comprensibile. Diverse sono le questioni aperte, dalla crisi degli Stati-nazione all’individualismo esasperato, che giustificano le grandi narrazioni del presente.
La politica torna al potere
È da quando Arjun Appadurai denunciava la crisi degli Stati nazionali che si discute sul superamento degli apparati che delimitano un territorio e governano una popolazione unita da lingua, religione, cultura. Sembrava un processo inarrestabile e i presupposti c ’erano tutti: l’apertura delle frontiere, le ondate migratorie, la smaterializzazione della finanza, la devolution — cioè la delega di alcune funzioni dello Stato — e, infine, la separazione tra politica e potere, già denunciata da Zygmunt Bauman, cioè l’impossibilità di gestire flussi sovranazionali che sfuggono alle leggi nazionali.
Adesso tutto questo è temporaneamente sospeso in attesa di accertamenti, ritirato in fretta, se non archiviato tra le cose fruste che appartengono al passato e a cui guardare con fondati dubbi.
I sintomi di una revisione politico-sociale si osservano negli Stati-nazione che chiudono le frontiere, si arroccano, non per opporsi ai flussi migratori, ma per motivi sanitari. In nome della salute pubblica i governi riprendono il potere e lo rafforzano dentro quei confini che erano messi in discussione; dispiegano l’esercito e limitano la libertà di movimento dei cittadini, mentre l’Europa teme il venire meno degli accordi di Schengen ma li dovrà rimettere in discussione.
Le persone recuperano il senso di appartenenza alla nazione, espongono le bandiere, intonano inni che ripropongono la fratellanza e la vicinanza. Tornano a parlarsi, sia pure a distanza di sicurezza.
Cosa resta dell’individualismo
L’individuo è stato a lungo esaltato come il soggetto privilegiato di un mondo che ha perduto i caratteri della comunità.