Corriere della Sera - La Lettura
Il giallo dentro il giallo è molto giallo
Gennaro Serio si è divertito con una storia virtuosisticamente metaletteraria grazie alla quale ha vinto il Premio Italo Calvino
C’è sempre un tocco di giocosità nelle rivisitazioni parodiche di un genere. Nel boom del giallo era toccato a un geniale ex futurista come Luciano Folgore divertirsi e divertire con La trappola colorata. Romanzo extra
giallo umoristico (1932); anni dopo sarebbe avvenuto lo stesso per mano di Borges e Bioy Casares con un don Isidro a risolvere «i problemi» da una cella. Che è l’esatto contrario di quanto accade al protagonista maschile di questo esordio di Gennaro Serio,
Notturno di Gibilterra, che ai livelli sempre più consumistici del genere contrappone un romanzo di grande piacere e divertimento, oltre che di raffinata struttura e scrittura.
Una scoperta del Premio Calvino 2019, dov’era stato proposto col titolo solo apparentemente accademico, in quanto di parodica antifrasi, di L’attività letteraria a Gibilterra nel secolo XXI, e qui ribattezzato con un titolo per certi versi speculare, rinviando a quella «letteratura notturna» di Bolaño nella quale trovano casa i poeti segreti «senza opera» o dall’opera «sbilenca». Un giallo a tutti gli effetti, considerando che si apre col giovane Edmundo Murchison Eresgarulla, aspirante giornalista, assassinato con una scultura raffigurante Europa in declino nel corso d’una intervista allo scrittore, recente Premio Nobel, Enrique Vila-Matas, nel Grand Hotel Rodoreda di Barcellona, dalla quale questi riesce però misteriosamente a volatilizzarsi. E il romanzo, nel suo fil
rouge, consiste nel tenace inseguimento dello scrittore da parte di un detective senza nome, improvvisato e arruffone, apparentemente aiutato dalla sorella Soledad, inizialmente nelle vesti di medico-legale. Sennonché, dopo quell’iniziale funzione d’appoggio, non solo la sua querida
Soledad pare sempre più invischiata nella vicenda, ma anzi la sofisticata malvagità di lei va svelandosi sempre più come deus ex machina dell’intero ingranaggio.
Il disvelamento è reso possibile con calibratissima gradualità in quanto presente in prima persona nel romanzo anche come coautrice; anzi, addirittura come «editrice» (sua la epigrafe-racconto iniziale), considerando che dopo una prima parte con resoconto e relazione del fratello sull’indagine svolta e i materiali da lui ritrovati (la bozza dell’intervista), il romanzo procede con le «glosse» di Soledad nelle quali si susseguono, in alternanza, il racconto di sé come scrittrice, i suoi stessi racconti giovanili malamente rifiutati e le lettere
A Barcellona e Gibilterra
Si parte dall’intervista allo scrittore (vero) Enrique Vila-Matas e dall’assassinio dell’intervistatore
che egli le inviava dal suo vagare «come Odisseo» in tutta Europa all’inseguimento dello scrittore, al cui fianco figura spesso una misteriosa presenza caratterizzata dal soprabito di colore blu.
I viaggi sono a tutti gli effetti picareschi, con furti di barche, omicidi, sparizioni, riapparizioni, toccando molti luoghi canonici della letteratura, da Barcellona alle Fiandre, Amburgo e Lubecca, Danzica, Budapest, Trieste, Marsiglia, Buenos Aires e la Patagonia, per approdare infine a «gibilmonte», con la vicenda che si chiude nel nome di Molly Bloom; dopo che comunque anche la sorella ha conosciuto quegli stessi luoghi spingendosi sino alla Accademia svedese del Nobel. Di fatto disvelando la verità che sempre sfuggirà al detective: un intrigo necessitato da una a lungo nutrita volontà di vendetta di Soledad e attuata in nome della letteratura. Con i due fratelli su opposte sponde, se alla lettrice Soledad si contrappone il detective Nemico delle
Lettere, che si trova a un certo punto a confessarsi flaubertianamente: «Io soy Edmundo», in un processo di identificazione con la vittima.
È un giallo con un detective presente ma senza nome e un «forse» assassino che ha nome ma senza presenza, essendo sempre sfuggente: gestiti da una «fuori scena» come Soledad; per un narrare nel segno d’un gustoso gioco metaletterario, evidente sin dalle pagine introduttive, già di per sé racconto solo apparentemente a sé stante, così come sarà di altri racconti nel racconto, tra l’incrociarsi di più generi. Perché sul fondo giallo si muovono narrazione di viaggio pronta a tradursi in avventura e tingersi di picaresco, che si affida ora al genere epistolare (il detective), ora alla confessione (Soledad), ma pure referti, interviste, poesie, certo tono saggistico come l’analisi delle barzellette o il confronto tra traduzioni da «Giacomo Joyce» (bello ritrovarvi il nome di Juan Rodolfo Wilcock), con tanto di scrittura alla Finnegans wake.
In tutto questo si inserisce anche un campionato mondiale di detective letterari a sfidarsi su crimini letterari in una Arena, organizzato dalla E.A.P. (quindi senza Dupin), che vede agli ottavi Ingravallo-Montalbano; Maigret–Guglielmo da Baskerville; Croce–Carvalho; Holmes–Wolfe; PoirotMarple; Rouletabille–Beck; Matthäi– Montale; Marlowe–Padre Brown, e in finale Maigret-Brown (al lettore l’esito). Così come è anche bello ritrovare — ora chiamati, ora accennati, ora da riconoscere — tanti altri autori (anche di altre arti, come il regista svedese Roy Andersson), magari riconoscibili per un soprannome, o anche solo per una indiretta citazione (tipo «finale di partita»), distribuiti con abilità e giusta misura.