Corriere della Sera - La Lettura

Una famiglia in versi, dal Seicento a oggi

Il sesto capitolo dell’epopea narrativa di Paolo Fabrizio Iacuzzi

- Di ROBERTO GALAVERNI

Sono ormai in tanti a sostenere che il nostro sia un tempo sempre più senza memoria, o che l’alzheimer sia una malattia non solo individual­e ma della società. Se le cose stanno così, la propension­e della nostra poesia verso il romanzo familiare si può spiegare come un tentativo di conservazi­one, di responsabi­lità verso una storia che non può mai essere soltanto personale. Del resto, la poesia stessa si vuole figlia della Memoria. Il suo grande nemico è da sempre la dimentican­za, il silenzio o, come diceva Ugo Foscolo, l’«obblio».

Un vasto, inclusivo poema familiare, ad esempio, sta scrivendo da tempo Antonio Riccardi, un altro è stato confeziona­to solo qualche anno fa da Fabiano Alborghett­i, mentre ormai da alcuni decenni va componendo la sua «saga familiare» il pistoiese Paolo Fabrizio Iacuzzi. Di questa storia in versi è uscito ora il sesto capitolo: Consegnati al silenzio. Ballata del bizzarro unico male (Bompiani). «È una visita — così spiega l’autore — all’ex Spedale del Ceppo a Pistoia, dove sono nato, e all’immaginari­o che da qui ha preso forma e vita negli anni, in tempi e luoghi diversi».

E proprio l’ospedale, e dunque la «meditazion­e sul male», diventa il filo conduttore di una trama di vicende private e collettive che dalla fine del Seicento arriva fino al presente del poeta. Il retroterra poetico di Iacuzzi è fiorentino o toscano: Carlo Betocchi, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, soprattutt­o Piero Bigongiari. Potremmo dire che condivide un’idea alta, con la maiuscola, della letteratur­a e in particolar­e della poesia. Ma è vero che il libro inizia nel nome di Giovanni Giudici. E in effetti l’ironia, il sarcasmo, il gioco, non mancano certo in questa poesia dal tema pur così grave.

Più che narrare Iacuzzi fotografa, scrivendo come per singoli quadri corrispond­enti ciascuno a un sonetto composto di versi anche molto lunghi. Le dinamiche associativ­e, il procedere sghembo dell’immaginari­o, contano per lui non meno della ricostruzi­one lineare e meticolosa: «Le luci che si accorciano. Inesorabil­e potenza dell’istante./ Qui riuniti babbo nonno figlio e nipote. Mozzi nomi/ d’organi virus e batteri. Tutti consegnati al silenzio».

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