Corriere della Sera - La Lettura
Una famiglia in versi, dal Seicento a oggi
Il sesto capitolo dell’epopea narrativa di Paolo Fabrizio Iacuzzi
Sono ormai in tanti a sostenere che il nostro sia un tempo sempre più senza memoria, o che l’alzheimer sia una malattia non solo individuale ma della società. Se le cose stanno così, la propensione della nostra poesia verso il romanzo familiare si può spiegare come un tentativo di conservazione, di responsabilità verso una storia che non può mai essere soltanto personale. Del resto, la poesia stessa si vuole figlia della Memoria. Il suo grande nemico è da sempre la dimenticanza, il silenzio o, come diceva Ugo Foscolo, l’«obblio».
Un vasto, inclusivo poema familiare, ad esempio, sta scrivendo da tempo Antonio Riccardi, un altro è stato confezionato solo qualche anno fa da Fabiano Alborghetti, mentre ormai da alcuni decenni va componendo la sua «saga familiare» il pistoiese Paolo Fabrizio Iacuzzi. Di questa storia in versi è uscito ora il sesto capitolo: Consegnati al silenzio. Ballata del bizzarro unico male (Bompiani). «È una visita — così spiega l’autore — all’ex Spedale del Ceppo a Pistoia, dove sono nato, e all’immaginario che da qui ha preso forma e vita negli anni, in tempi e luoghi diversi».
E proprio l’ospedale, e dunque la «meditazione sul male», diventa il filo conduttore di una trama di vicende private e collettive che dalla fine del Seicento arriva fino al presente del poeta. Il retroterra poetico di Iacuzzi è fiorentino o toscano: Carlo Betocchi, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, soprattutto Piero Bigongiari. Potremmo dire che condivide un’idea alta, con la maiuscola, della letteratura e in particolare della poesia. Ma è vero che il libro inizia nel nome di Giovanni Giudici. E in effetti l’ironia, il sarcasmo, il gioco, non mancano certo in questa poesia dal tema pur così grave.
Più che narrare Iacuzzi fotografa, scrivendo come per singoli quadri corrispondenti ciascuno a un sonetto composto di versi anche molto lunghi. Le dinamiche associative, il procedere sghembo dell’immaginario, contano per lui non meno della ricostruzione lineare e meticolosa: «Le luci che si accorciano. Inesorabile potenza dell’istante./ Qui riuniti babbo nonno figlio e nipote. Mozzi nomi/ d’organi virus e batteri. Tutti consegnati al silenzio».