Corriere della Sera - La Lettura

IL VIRUS SONO IO

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Due estati fa otto romanzieri scrissero per «la Lettura» un romanzo a puntate: uno scrittore, una puntata. Un racconto a staffetta di pura invenzione: quello che fa un autore di mestiere. Oggi la realtà sembra avere preso il sopravvent­o. Non è tempo, non ancora, di un racconto di fantasia. Forse meglio si addice a questi giorni di dolore e sospension­e la forma del diario. Perciò «la Lettura» inizia la pubblicazi­one di un diario a staffetta: otto puntate, otto narratori. Comincia, come già due anni fa, Sandro Veronesi. La prossima settimana toccherà a Mauro Covacich. Nella speranza che queste pagine di diario possano accompagna­re anche la rinascita

Giovedì 19 marzo

Oggi sono morte 427 persone. 427 è un numero mostruoso. Più o meno come se morissero tutti insieme i calciatori delle 20 squadre di serie A, titolari, riserve, allenatori, massaggiat­ori e pure gli arbitri. Proviamo a pensare a come l’avremmo vissuta, a come la vivremmo. Bene, oggi è successo esattament­e questo. Ed è successo anche ieri, solo che ieri i morti sono stati di più, 475, quindi vanno contati anche i giocatori di una partita di serie B. E l’altro ieri. E l’altro ieri ancora. E domani. E dopodomani.

È la Caporetto della scienza quella che stiamo vivendo — e come per ogni Caporetto la colpa viene data ai soldati semplici, vigliacchi e disertori. Fucilateli, i bastardi. Fucilateli tutti. In Lombardia più della metà degli ospedali è infettata (cioè sono infettati i medici e gli infermieri, ai quali non viene fatto il tampone perché non è previsto dai dannati protocolli dell’Oms, e per questa ragione probabilme­nte moriranno in parecchi, non prima però di avere a loro volta contagiato i pazienti di tutti i reparti, sofferenti di altre patologie, che infatti stanno morendo come mosche), ma lo sdegno collettivo viene indirizzat­o su quelli che vanno a correre nei parchi. Cadornismo, si chiama — per l’appunto. Scaricare la responsabi­lità sui sottoposti. Cadornismo.

Oggi era la festa del papà. La mia festa. Gianni se n’è ricordato subito, ieri a mezzanotte e sette, e da Prato, dov’è in isolamento insieme alla fidanzata, mi ha mandato un messaggio: auguri, babbo. Gli altri se ne sono dimenticat­i — ma hanno tutte le giustifica­zioni. Umberto da solo, a Londra, dove si stanno accingendo a fare ancora peggio di noi, almeno in termini di arroganza e di doppiezza del messaggio: rintanato nella sua casuccia, con la sua piccola riserva di cibo e di prodotti per la casa, i suoi libri, il suo telelavoro con l’università, lo stendino in soggiorno con la roba ad asciugare. Cosa sta per succederti, figlio mio? Come passerai le prossime settimane? E tu Lucio, incastrato in quella che doveva essere la vacanza più bella della tua vita, in Australia con la tua ragazza, con il volo di ritorno per Londra che ti è già stato cancellato e un’infinità di domande che chiedono risposta. Soprattutt­o una: è meglio che trovi riparo laggiù, in Australia, e ci resti finché qui in Europa l’emergenza sarà passata, oppure è meglio comprare altri biglietti per tornare in Europa? Oggi ci saremo mandati mille messaggi, mille vocali, saremo stati al telefono mille minuti, ma non ne siamo venuti a capo. Vediamo domani, abbiamo detto. Qui ormai ogni giorno cambia il mondo, e con il mondo cambia il senso delle cose, delle scelte, del rapporto con gli altri. Vediamo domani. Ripenso ai versi di River Phoenix citati da suo fratello Joachim mentre prendeva l’Oscar: corri in soccorso con amore, la pace seguirà.

Venerdì 20 marzo

Ieri era la festa del papà, e alla fine gli auguri me li hanno fatti anche Umberto e Lucio, con un giorno di ritardo. Ma oggi il numero è 637, e io non sono riuscito a non saperlo...

Però il tema di oggi è un altro, per me. Il tema di oggi è ciò che ho detto l’altro ieri in un’intervista video via Zoom a un programma televisivo olandese — e che oggi dev’essere andata in onda, perché me ne sono arrivati gli echi via Twitter. L’ho detto in inglese, ora che mi ve

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