Corriere della Sera - La Lettura
Dobbiamo essere patrioti e cosmopoliti
L’autrice turca, naturalizzata britannica, avverte: siamo al bivio, i populisti ci negano lo slancio internazionalista
Èuna narratrice a cavallo di due mondi, Elif Shafak: Oriente e Occidente, la Turchia da cui proviene e la Gran Bretagna in cui si è stabilita e di cui è diventata cittadina. E forse per questo è in grado, più di altri, di riflettere sulle conseguenze globali della pandemia in corso.
La diffusione del virus e le misure adottate dai governi in tutto il mondo stanno cambiando le nostre abitudini e hanno introdotto il concetto di «distanziamento sociale». Quali saranno le ripercussioni sulla nostra idea del vivere assieme?
«Nulla sarà lo stesso d’ora in poi. La pandemia e le sue conseguenze sociali, politiche ed economiche sono così massicce che il vecchio mondo è finito. Ma non sappiamo ancora come sarà il nuovo. Siamo in quel “tempo di mezzo” in cui l’ordine precedente è andato in crisi e il nuovo ordine non è ancora nato. Facciamo un passo indietro e riflettiamo: l’ascesa del populismo ci ha mostrato la fragilità della democrazia, e faceva paura. Improvvisamente, perfino nei Paesi occidentali sviluppati, la gente ha compreso che la democrazia può essere spezzata. Adesso la pandemia ci rammenta la nostra mortalità e la fragilità dell’ordine sociale, e fa paura a un livello esistenziale. Da qui in poi abbiamo due possibilità di fronte a noi: questa pandemia porterà alla luce il meglio o il peggio di noi. Diventeremo più auto-riferiti, isolazionisti e tribali e aperti alla retorica
incendiaria dei demagoghi oppure diventeremo più compassionevoli, umili, connessi, avremo più a cuore l’eguaglianza e impareremo a prenderci più cura degli altri. Siamo di fronte a questo bivio».
La crisi provocata dal coronavirus è anche una crisi della globalizzazione, che era già in ritirata. Siamo testimoni del colpo finale?
«Di fronte a una pandemia globale non assistiamo a una risposta globale. Al momento ogni Stato-nazione sta provando ad affrontare il problema da solo, volgendosi sempre più verso l’interno. Ovviamente è normale preoccuparsi dei propri connazionali e avvertire un senso di solidarietà patriottica in tempi simili. È comprensibile, umano: è una testimonianza del nostro senso di appartenenza. Ma mentre ci prendiamo cura dei cittadini nel nostro Paese, regione o città, non possiamo abbandonare l’umanesimo. I problemi globali non possono essere risolti con le forze del nazionalismo populista. Questo è il momento in cui abbiamo bisogno di un revival dell’internazionalismo e della solidarietà globale. I populisti ci dicono che non possiamo abbracciare il patriottismo e l’umanesimo allo stesso tempo: è una menzogna. Ci dicono che dobbiamo fare una scelta e dare priorità al “noi” rispetto al “loro”: è una menzogna. Non dobbiamo credere alla loro falsa dicotomia: si può essere patrioti e umanisti allo stesso tempo. Le pandemie ci hanno mostrato che abbiamo bisogno della cooperazione internazionale. Non sto parlando del neoliberismo globale, che ha creato enormi problemi di diseguaglianza: sto parlando di un internazionalismo e un umanesimo che è necessario di fronte a problemi globali come le pandemie, il terrorismo, le crisi finanziarie, i monopoli tecnologici. Con i grandi problemi globali serve un nuovo approccio che vada al di là delle frontiere».
La diffusione del coronavirus ha anche facilitato la diffusione delle fake news.
«Fake news, teorie cospirative: la pandemia ha fatto luce sui pericoli del nazionalismo e autoritarismo populisti. Ad esempio, per giorni i media e i social media filogovernativi in Turchia hanno fatto finta che non ci fossero casi di contagio nel Paese: le informazioni sono state soppresse finché è stato possibile. Poi, quando è stato chiaro che non potevano essere più nascoste, hanno cominciato a dire che c’erano dei casi ma solo perché certe persone avevano portato la malattia dall’estero: gli outsider. Negli Stati Uniti, la prima risposta dell’amministrazione Trump è stata enfatizzare che era un “virus straniero”, cioè colpa di qualcun altro. Coincideva con la retorica sui “barbari” che irrompono alle nostre frontiere, portando pericoli, malattie e disastri.
Le teorie cospirative sono andate fuori controllo. In Cina, il portavoce del ministero degli Esteri ha sostenuto che poteva essere stato l’esercito americano a portare il virus a Wuhan. E così proseguendo, puntando il dito verso qualcun altro. Ma non esiste un virus straniero: ci siamo dentro tutti assieme, come umanità».
Qui in Gran Bretagna, come altrove, abbiamo assistito a segnali di panico collettivo: per esempio la corsa all’accaparramento di cibo. Quali sono le radici di queste paure?
«Dobbiamo capire che gli essere umani sono creature emotive. Se non teniamo conto delle emozioni non potremo mai comprendere le società, specialmente in tempi di rottura. Nel momento in cui tutto cambia e nulla appare solido, l’istinto di sopravvivenza si fa sentire come se ci fosse una competizione per beni limitati: noi tutti abbiamo questo egoismo, ma dobbiamo domarlo. La pandemia ha sottolineato le ineguaglianze del sistema: e colpirà i poveri più duramente».
Le persone, durante l’isolamento, hanno molto più tempo a disposizione: è il momento di riscoprire il potere redentivo della lettura e della letteratura?
«Credo che sia il momento di costruire il nostro giardino interiore. Andiamo dentro, rallentiamo, leggiamo. È il potere della letteratura: può e deve portarci al di là dei nostri spazi limitati e dei nostri recinti».