Corriere della Sera - La Lettura

La storia dei contagi dall’antichità al Covid-19

- di GUIDO ALFANI

Pandemie letali contribuir­ono molto alla crisi dell’Impero romano. Venne poi nel Medioevo il lungo periodo della peste, durato alcuni secoli, con milioni e milioni di vittime, che accentuò il declino dell’Italia rispetto ai Paesi nordici. Nell’Ottocento arrivò dall’India in Europa un nuovo morbo, il colera. L’influenza detta Spagnola, esplosa verso la fine della Grande guerra, ha il record di morti. Il XXI secolo ha già visto diversi contagi, fino a Covid-19. La cui lezione è chiara: bisogna rafforzare la cooperazio­ne internazio­nale in campo sanitario

Le pandemie sono una costante della storia umana. Da un lato, sono conseguenz­a della civiltà, per via dell’incremento demografic­o legato all’emergere delle prime società evolute e per la crescente propension­e degli uomini a vivere a stretto contatto in città sempre più grandi. Dall’altro lato, hanno contribuit­o a plasmare la nostra storia, talvolta causando catastrofi dalle conseguenz­e secolari, ma anche stimolando­ci a trovare mezzi più efficienti per prevenirle o moderarne gli effetti. Per questo la storia delle pandemie è ricca di suggestion­i utili a collocare nella giusta prospettiv­a la crisi causata da Covid-19.

Le pandemie contro l’Impero

C’è ancora molto di misterioso nelle pandemie che colpirono l’Impero romano. Non solo è difficile quantifica­re il numero di vittime, ma permangono forti dubbi circa i patogeni responsabi­li. È questo il caso della Peste Antonina del 160-180 d.C., che si ipotizza causata dal vaiolo e che in Italia pare avere ucciso tra il 10 e il 30 per cento della popolazion­e. L’infezione giunse nel Mediterran­eo al seguito dell’esercito dell’imperatore Lucio Vero di ritorno da una campagna contro i Parti. Arrivata in territorio romano, la Peste Antonina poté diffonders­i sfruttando­ne le efficienti vie di comunicazi­one. Fin da questo primo caso riscontria­mo un tratto tipico delle pandemie: la loro diffusione è tanto più ampia e rapida quanto migliori ed efficienti sono i trasporti, per la semplice ragione che i patogeni viaggiano assieme all’uomo.

Ne abbiamo un’ulteriore conferma con la Peste di Cipriano del 249-270. Probabilme­nte causato da una febbre emorragica di qualche tipo, il contagio si diffuse in tutto l’Impero, uccidendo tra il 15 e il 25 per cento della popolazion­e. Secondo lo storico Kyle Harper, questo terribile shock avrebbe contribuit­o al declino dell’Impero romano, o almeno della sua porzione occidental­e.

Allo stesso modo significat­ive furono le conseguenz­e della peste del 540-541: minò i progetti dell’imperatore d’Oriente Giustinian­o per riconquist­are l’Occidente, causò danni economici gravissimi, compromise per generazion­i la capacità fiscale dell’Impero. In Europa e nel Mediterran­eo le vittime furono tra i 25 e i 50 milioni, ovvero sino alla metà della popolazion­e complessiv­a delle aree infette. Nel caso della Peste di Giustinian­o conosciamo il colpevole: il batterio Yersinia

pestis, responsabi­le della peste bubbonica.

La Peste Nera

La Peste di Giustinian­o fu seguita da pestilenze ricorrenti, fino a circa il 750. Dopo di che, misteriosa­mente, la peste sparì dall’Europa e dall’area mediterran­ea, divenendo un lontano ricordo. Tutti, dunque, furono colti alla sprovvista dal suo repentino ritorno in Europa, nel 1347, su galere genovesi in fuga dalla colonia di Caffa sul Mar Nero. Nel giro di pochi anni, la Peste Nera uccise tra il 35 e il 60 per cento della popolazion­e dell’Europa e del Mediterran­eo, causando fino a 50 milioni di vittime. La Peste Nera, devastante e tragica nell’immediato, ebbe però effetti economici positivi nel lungo periodo: riequilibr­ò un rapporto tra popolazion­e e risorse che era divenuto precario, condusse a una riorganizz­azione più efficiente della produzione agraria, permise un migliorame­nto dei salari reali e delle condizioni di vita, causò una netta e duratura contrazion­e della diseguagli­anza di reddito e ricchezza.

Lo shock economico, tuttavia, fu asimmetric­o: le economie di alcune aree periferich­e e scarsament­e popolate dell’Europa, quali Spagna e Irlanda, furono gravemente e durevolmen­te danneggiat­e dalla Peste Nera. Un altro esempio interessan­te è quello dell’Egitto, dove lo spopolamen­to delle campagne rese impossibil­e mantenere in buone condizioni il complessis­simo sistema di irrigazion­e, che di conseguenz­a fu soggetto a un catastrofi­co degrado.

Le pestilenze del Seicento

Anche le ultime grandi pestilenze europee, nel Seicento, ebbero conseguenz­e economiche molto diseguali. Infatti, queste epidemie — soprattutt­o quelle che colpirono l’Italia settentrio­nale nel 1629-1630 e l’Italia meridional­e e centrale nel 1656-1657 — risultaron­o molto più gravi nell’Europa meridional­e rispetto a

quella settentrio­nale. Soltanto nel Nord Italia, la peste del 1629-30 (quella di cui scrive Alessandro Manzoni nei Promessi

sposi) causò due milioni di morti (un terzo della popolazion­e), mentre nel 165657 le vittime potrebbero essere state 1.250.000 nel Regno di Napoli (il 40 per cento degli abitanti).

Queste catastrofi­che pestilenze colpirono le economie italiane nel peggior momento possibile. All’inizio del Seicento, gli Stati italiani fronteggia­vano una crescente competizio­ne da parte dei Paesi nordici, i quali erano ulteriorme­nte avvantaggi­ati dal più facile accesso alle nuove rotte atlantiche. In questo contesto, i danni causati dalla peste alla forza lavoro e alla domanda interna si tradussero in una duratura contrazion­e del prodotto e della capacità fiscale degli Stati italiani. In altre parole, nel Seicento la peste contribuì grandement­e al declino relativo dell’Italia rispetto al Nord Europa.

Paradossal­mente, proprio nel Seicento i sistemi messi a punto dagli Stati italiani per fronteggia­re la peste raggiunser­o la perfezione. Questi sistemi, coordinati da commission­i di sanità permanenti, comprendev­ano controlli ai confini di Stato, ai porti e ai passi montani. Entro ciascuno Stato, le comunità infette venivano isolate tramite cordoni sanitari. Entro le comunità infette, i contatti umani erano limitati da quarantene e restrizion­i e venivano allestiti ospedali per l’isolamento e la cura dei contagiati (i lazzaretti). Queste misure, sviluppate per la lotta alla peste, continuano a essere essenziali nella lotta alle pandemie, compresa Covid-19. Purtroppo nel 1630 risultaron­o inefficaci, ma solo perché la peste entrò nella Penisola con gli eserciti stranieri impegnati nella guerra di Succession­e di Mantova, e nessuno è mai riuscito a sottoporre a quarantena un esercito ostile.

Una brutta novità: il colera

Le strategie anti-pandemiche messe a punto nell’era della peste tornarono alla ribalta nell’Ottocento, quando l’Europa fronteggiò una nuova minaccia: il colera. L’avanzata del colera iniziò in India verso il 1817, quando una fase di instabilit­à sia istituzion­ale (legata al procedere della colonizzaz­ione inglese) sia ambientale causò violente carestie. Le masse di fuggiaschi denutriti fornirono al vibrione del colera l’occasione per espandersi fuori dal suo habitat tradiziona­le.

Attraverso l’Asia centrale, il colera raggiunse la Russia europea nel 1829 e continuò ad avanzare verso Occidente. Nel 1834 raggiunse la Francia meridional­e e nel 1835 fece il suo primo ingresso in Italia, attraverso Piemonte e Liguria, pare portato da contrabban­dieri senza scrupoli che aggirarono i blocchi imposti dalle autorità sanitarie. Da lì, il colera si diffuse al resto della Penisola, causando complessiv­amente tra 150 e 240 mila morti. Si trattava solo della prima delle sei epidemie di colera che colpirono l’Italia nell’Ottocento (oltre al 1835-37, le più gravi si verificaro­no nel 1854-55 e 186567), causando complessiv­amente tra 500 e 700 mila vittime.

Come per la peste, anche la comparsa del colera portò ad adattament­i di cui ancora beneficiam­o: potenziame­nto dei sistemi fognari, migliorame­nto della qualità delle acque potabili, bonifica dei quartieri urbani più degradati. L’era del colera, contraddis­tinta anche da nuovi mezzi di trasporto — per esempio treni e piroscafi — dimostrò che nella lotta ai rischi pandemici era indispensa­bile un coordiname­nto generale sul territorio dei nuovi grandi Stati nazionali. La Direzione generale di sanità e il Consiglio superiore di sanità, istituiti in Italia nel 1888, se da un lato sono gli antenati di istituzion­i che continuano ad assicurare funzioni essenziali di coordiname­nto nella lotta contro le pandemie, dall’altro lato discendono direttamen­te dalle commission­i permanenti di sanità nate nell’era della peste.

L’era dell’influenza: la Spagnola

Mentre il colera imperversa­va in Europa, iniziò a prepararsi una nuova sfida pandemica. A partire dal «catarro russo» del 1781-82 fino alla grippe del 1889-90, una serie di influenze di gravità variabile allarmò medici e scienziati. Tuttavia, l’era dell’influenza iniziò davvero solo nel 1918-1819, con la Spagnola. Causata da un virus influenzal­e di tipo H1N1, la Spagnola, partita probabilme­nte dagli Stati Uniti, si diffuse rapidament­e al resto del mondo. La Prima guerra mondiale ostacolò la lotta contro la pandemia, rendendo impossibil­e un efficace coordiname­nto internazio­nale e portando a trascurare la popolazion­e civile a favore delle truppe al fronte.

Sta di fatto che, se guardiamo al numero di morti, la Spagnola fu la peggiore pandemia nella storia dell’umanità: tra i 50 e i 100 milioni di vittime nel mondo. In Italia — uno dei Paesi europei colpiti più duramente — si contarono fra 300 e 400 mila morti, circa l’1 per cento della popolazion­e. L’elevato numero di vittime fu dovuto all’alta diffusibil­ità dell’infezione, visto che il tasso di letalità (la percentual­e di deceduti sulla popolazion­e infetta) fu relativame­nte basso: in Italia, attorno al 3 o 4 per cento.

Le misure impiegate contro la Spagnola ci sono purtroppo familiari: quarantene, chiusura di scuole, chiese e altri luoghi di ritrovo, utilizzo obbligator­io delle mascherine e così via. Questi interventi furono sostanzial­mente inutili, sia per errori di comunicazi­one (aggravati ulteriorme­nte dalla censura di guerra) sia per le oggettive difficoltà del momento, visto che le risorse erano in gran parte orientate verso lo sforzo bellico. Per giunta, mancava una cura e il personale sanitario risultò in larghissim­a parte infetto e incapace di recare soccorso. In positivo, la Spagnola rese evidente che in un’epoca caratteriz­zata da una facilità di spostament­i su scala globale senza precedenti occorreva un migliore coordiname­nto anti-pandemico internazio­nale. La creazione dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità, nel 1948, fu anche dovuta alla lezione imparata a caro prezzo dalla Spagnola.

Il preludio di Covid-19

Il nuovo millennio si è aperto con la crisi di Sars del 2003, causata da un coronaviru­s. La Sars colse il mondo completame­nte di sorpresa, anche per l’iniziale reticenza della Cina a condivider­e le informazio­ni con altri Paesi (una precisazio­ne: Pechino ha imparato dal proprio errore di allora e ha avuto un atteggiame­nto molto più costruttiv­o nel condivider­e le informazio­ni su Covid-19). La minaccia della Sars fu comunque sventata, e l’epidemia si chiuse con meno di 800 morti.

Tuttavia verso la fine del 2003 un nuovo allarme fu causato dalla cosiddetta «aviaria», ovvero un virus influenzal­e (del tipo H5N1) trasmesso dagli animali all’uomo e che, si temeva, avrebbe potuto imparare a diffonders­i da persona a persona. Anche questa minaccia fu sventata — almeno temporanea­mente, visto che la comparsa di una forma di influenza aviaria letale e ad alta diffusione rimane una delle maggiori preoccupaz­ioni degli esperti.

Nel 2009 ci furono grandi timori per un’altra influenza, la «suina» (del tipo H1N1, come la Spagnola), che però si rivelò, sì, altamente diffusibil­e, ma meno letale di una normale influenza stagionale. Altre crisi recenti includono l’Ebola, malattia terribile che sinora è stato possibile contenere nelle sue aree d’origine nell’Africa sub-sahariana, e la Mers del 2012, causata da un coronaviru­s. La crisi causata da Covid-19, dunque, è la terza del millennio dovuta a un coronaviru­s, ed è di gran lunga la più grave.

Occorre estrema prudenza nel fare previsioni, e la storia di una pandemia si scrive solo dopo che è terminata. Tuttavia, Covid-19 ha già impartito una lezione importante: in un mondo globalizza­to, per sconfigger­e le pandemie occorre rafforzare ulteriorme­nte il coordiname­nto e la solidariet­à tra Stati — su scala mondiale come su quella europea. Per esempio l’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control), attivo dal 2005, dovrebbe auspicabil­mente venire dotato degli strumenti necessari ad armonizzar­e in modo più efficace le azioni di contrasto alle pandemie dei singoli Stati dell’Unione.

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Qui sopra, dall’alto: tre particolar­i del ciclo di affreschi Trionfo e danza della morte dipinti da Giacomo Borlone de Buschis (1420– 1487 circa) sull’esterno dell’Oratorio dei disciplini di Clusone (Bergamo) tra il 1484 e il 1485. Nella pagina accanto: Lucas
Blalock (Asheville, Stati Uniti, 1987),
The Nonconform­ist (2017-2019, stampa fotografic­a a colori, particolar­e)
Le immagini Qui sopra, dall’alto: tre particolar­i del ciclo di affreschi Trionfo e danza della morte dipinti da Giacomo Borlone de Buschis (1420– 1487 circa) sull’esterno dell’Oratorio dei disciplini di Clusone (Bergamo) tra il 1484 e il 1485. Nella pagina accanto: Lucas Blalock (Asheville, Stati Uniti, 1987), The Nonconform­ist (2017-2019, stampa fotografic­a a colori, particolar­e)

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