Sei autori cantano i nostri giorni sospesi

Può la poesia dialogare con il presente? Sa dare voce a un oggi fatto di solitudine, dolore e speranza? Le domande sono state rivolte a sei poeti — Giuseppe Conte, Roberta Dapunt, Vivian Lamarque, Giovanna Rosadini, Francesco Targhetta e Giovanna Cristina Vivinetto — che, per «la Lettura», hanno affidato la risposta a testi inediti, 5 scritti per l’occasione; il sesto scelto dall’autore per la consonanza perfetta con questi giorni.

Nella varietà di stili e ispirazioni dei poeti c’è una parola che ricorre: presente in quattro poesie ed evocata nelle altre due. È il vocabolo tempo a sottolineare un idem sentire: secondi, minuti, ore, giorni... che scorrono uguali ma che sono riempiti in modi diversi. Giuseppe Conte (1945) poeta imperiese (di Porto Maurizio), di cui è uscita la raccolta Non finirò di scrivere sul mare (Mondadori, 2019), evoca l’immagine di «un tempo così tetro» per «chi continua a lavorare umilmente amando quello che fa». Roberta Dapunt (1970; tra i suoi lavori Sincope, Einaudi, 2018), voce altoatesina sia in lingua italiana sia ladina, ferma «questo istante del tempo» e lo rende «un racconto in assenza di pluralità». Vivian Lamarque (1943; autrice di Madre d’inverno, Mondadori, 2016) gioca con profonda leggerezza a fare un girotondo finale di parole («Era il primo tempo, il tempo d’oro del Prima») mentre nell’opera di Giovanna Rosadini (Genova, 1963; tra i suoi lavori Frammenti di felicità terrena, LietoColle, 2019) l’incipit è un «tempo/ che si allarga lento». Per Targhetta (Treviso, 1980), autore di reportage in versi anche per «la Lettura» (#197, 6 settembre 2015) e il cui inedito risale alla scorsa estate, il senso del tempo è in «quel vuoto strano» che riempie — oggi come mai — i luoghi della socialità. Infine per Giovanna Cristina Vivinetto (Siracusa, 1994; Dove non siamo stati, Bur, 2020) dal sapere che «in fondo duriamo niente» può nascere una preghiera.