Corriere della Sera - La Lettura

1540, prove di Brexit E intorno cadono teste

- Di ANNACHIARA SACCHI

«Ripensaci, non farlo, ti puoi ancora salvare, fai attenzione». È strano, e assai piacevole, ritrovarsi a voler dare consigli a Thomas Cromwell, di cui sono stranote l’astuzia strategica e la morte (decapitato per tradimento ed eresia nel 1540). Seguire trepidanti le sue mosse, dall’ascesa a primo ministro di re Enrico VIII fino all’esecuzione. Immergersi in complotti che furono decisivi per disegnare l’Europa di oggi. Procedere nelle pagine immaginand­o — vedendo — il fantasma di Anna Bolena nella Torre di Londra. Ma è proprio questa la magia di Hilary Mantel: rendere il romanzo storico più avvincente di un thriller, iniettare suspence a vicende cruciali che la storiograf­ia ha cristalliz­zato e, per questo, opacizzato. Dare pensieri, più che mai vividi, alle azioni. Ci è riuscita. Ancora. Lo ha fatto con i primi due volumi della saga sui Tudor ( Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia) che le sono valsi, prima donna in assoluto, due Booker Prize. Lo fa con The Mirror and the Light, te r zo e ul t i mo ca pi to l o: l a ca duta di Cromwell, la psicologia di un regno.

Anna Bolena e i suoi cinque presunti amanti sono morti. Si apre così il libro, nel maggio 1536; Enrico può finalmente sposare l’incolore Jane Seymour; gli sforzi di Cromwell sono ripagati, i nemici annientati, ogni tassello sembra essere andato al suo posto. Sembra. Chi siede a fianco del re deve sempre stare in guardia, sottolinea Eustache Chapuys, l’ambasciato­re imperiale di Carlo V rivolgendo­si a Cromwell: «Ricordati che la tua vita dipende dal prossimo battito del cuore di Enrico, il tuo futuro dal suo sorriso o da un’alzata di sopraccigl­io». Ed è proprio così: pagina dopo pagina l’autrice accompagna il suo protagonis­ta in una discesa sofferta, popolata da lupi e da spettri. Da donne. Vive e morte. Caterina d’Aragona, la cattolica. La cocciuta figlia Mary, che reclama un posto nella succession­e al trono (formidabil­e il suo rapporto con Cromwell). La piccola Eliza (Elisabetta), bambina selvaggia dai capelli rossi, My Lady Bastard. Anna Bolena, che con la sua testa mozzata («tutti l’abbiamo uccisa») affolla i pensieri del primo ministro, lo tiene sveglio, lo spaventa con la scritta Speculum justiciae, ora pro nobis incisa sulla lama del boia, lo tormenta. C’è poi Jane Seymour, docile e sperduta, alla quale Cromwell chiede dettagli sulla prima notte di nozze. La luterana Anna di Cleves, l’errore fatale, la quarta moglie che Cremuel (Cromwell alla francese) procura a Enrico VIII e che, secondo la lectio comune, il re trova molto diversa rispetto al ritratto che gli era stato spedito: l’autrice, però, con quella certa dose di ironia che scorre in tutte le sue opere, aggiunge alla vulgata il punto di vista di «lei», sconvolta (dopo averlo visto) all’idea di unirsi a un vecchio grassone.

L’età della consapevol­ezza. E della sconfitta. Spesso Cromwell, diventato nel frattempo conte di Essex, si trova a ragionare sul suo ruolo: «Sono i consiglier­i che si fanno carico dei peccati del re, accettano di essere peggiori per rendere migliore Enrico». L’ex ragazzo venuto dal nulla, amante dell’Italia (dove ha vissuto gli anni della giovinezza, dove ha affinato i suoi saperi grazie alla vicinanza con i banchieri fiorentini) e dei suoi poeti, il popolano di talento che scala la corte diventa un tragico padre della nuova Inghilterr­a.

«Mi hanno ferito, ma non farà male fino a domani», dice Cromwell appena dopo l’arresto. «Si mette una mano sul cuore, lo sente alieno, come se avesse perso la sua forma, stirato in un punto, schiacciat­o in un altro». Le parole di Hilary Mantel hanno sempre qualcosa di contrastat­o, l’autrice intervalla i «pesanti» pensieri di Lord Cromwell ( he, lui) alle descrizion­i delle stagioni, al balzo di un gatto scappato nel giardino, a un’immagine del cielo di Londra, afflitto quasi sempre da una spessa pioggia grigia ma che di tanto in tanto si apre e, con un «lampo di blu celestiale, ci ricorda come è fatto il paradiso».

Caravagges­co e shakespear­iano, lo stile dell’autrice avanza trai contrasti. Di luci, di colori, dica ratteri. Cromwell, il figlio geniale espi etatodelf ab brodiPutne­y, detestato e invidiato, diventa sempre più potente (« è il governo e la Chiesa»). La sua ambizione cresce come la sua idea di Paese, riformato, lontano dagli artigli di Roma in una sorta di Brexit anticipata di oltre quattro secoli e mezzo. Ma la sua parabola è in discesa, Mantel ce lo fa amare e odiare e ancora amare, ci fa tifare per lui, per il Lord Privy

Seal (custode del sigillo privato) che tiene sempre nascosto un coltello vicino al cuore, dorme pochissime ore e a Enrico, quando ancora è nelle sue grazie, dice: «Voi siete l’unico principe. Siete lo specchio e la luce degli altri re». The Mirror and the Light.

Il gioco del potere è violento, tragico. Anche per un uomo intelligen­tissimo e fiero come Thomas Cromwell, «un avventurie­ro, un riformista», così lo descrive l’autrice che per anni ha studiato a fondo la storia dei Tudor. «Specchio» e «Luce» s’intitolano gli ultimi capitoli del libro. E nonostante la (enorme) quantità di parole scritte, di personaggi e di dialoghi affrontati fino a quel punto, nonostante il finale prevedibil­e, sono queste le pagine più emozionant­i del libro. Dove ancora una volta a tenere in sospeso il lettore è un avveniment­o scolpito nella storia. «Cromwell, sei ancora in tempo!», viene da pensare. No, non è vero.

Hilary Mantel segue i ragionamen­ti dell’ex primo ministro ormai in disgrazia, recluso nella Torre di Londra: speranza, disperazio­ne, calcolo. «Ora che non gli servo più, sono polvere per Enrico», pensa. Poi scrive al suo re chiedendog­li per tre volte misericord­ia, mercy.

Piega la lettera in due, non ha più neanche il sigillo. Si guarda attorno, cerca il fantasma di Anna Bolena. Non dorme, a volte sogna. Passano così 48 giorni di prigionia, fino all’appuntamen­to con il patibolo, drammatico, la mente lucida, il corpo tremante, il freddo che arriva subito («ecco l’inverno»), il volto del boia, non il francese espertissi­mo chiamato a tagliare la testa di Anna Bolena — ancora lei —, non la scritta sulla lama Speculum justiciae, ora pro nobis.

Cromwell muore e al lettore, dopo questa galoppata storica tesa e appassiona­nte, non resta che riemergere dal 1540, dalle acque del Tamigi «che lampeggia grigio», da quella cupa Inghilterr­a che Hilary Mantel ricostruis­ce così bene. E che potrebbe farle vincere il terzo Booker Prize. I bookmaker — inglesi, naturalmen­te — stanno già accettando le scommesse.

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