Corriere della Sera - La Lettura
Sognano o son desti? Genitori e figli gemelli alla guerra dell’Eta
Valentina Maini monta su più piani, anche geografici, una storia dove il terrorismo è lo sfondo
Trovare un’identità può essere un movimento simbolico, di ascesa e fuga da una storia di sangue come quella degli attentati terroristici degli indipendentisti baschi dell’Eta. Accade, in un modo complesso e volutamente non lineare ne La mischia, ambizioso romanzo d’esordio di Valentina Maini che fa risuonare, più che narrare, le vicende e i caratteri di due gemelli venticinquenni, Gorane e Jokin, figli di una coppia di militanti dell’organizzazione armata.
Il terrorismo non è mai in primo piano ma è lo sfondo traumatico da cui parte la vicenda dei due protagonisti. Il lettore, nel primo capitolo, incontra la giovane Gorane a Bilbao nel 2007, in crisi perché il fratello è fuggito e ossessionata dalla presenza dei genitori. Sembrano malati e difficili da gestire, mentre sono in realtà frutto di uno stato allucinatorio che il dottor Jaspersen, con cui lei è in analisi, annota come irrisolto. La prima apparente realtà si scioglie in un’allucinazione e l’effetto sarà simile nel secondo capitolo, intitolato al fratello Jokin che si racconta in prima persona, musicista e eroinomane, in fuga a Parigi: «Ero io il ragazzo con gli occhi bucati: non vuoti, non allucinati. Tagliati, come le vene». Il giovane lavora per una nota artista, Agata Gil, ne segue una performance sensuale al museo Pompidou e finisce poi per suonare in un gruppo e avere una relazione con Ginevra, «una donna impegnata nel proprio annullamento, una bella ragazza che cerca in tutti i modi la stortura perturbante». La droga, la musica, l’amore si legano in una storia tormentata che nel finale del capitolo, a sorpresa, si svela come un’altra e diversa allucinazione, frutto della penna di uno scrittore, tale Dominique Luque, che ha rimescolato le vicende di sua figlia Germana e di un suo fidanzato.
Il piano della realtà, quello che potremmo considerare affidabile in una narrazione romanzesca, viene nuovamente smontato e dissolto, dando l’intonazione al terzo e ultimo capitolo della prima parte in cui a prendere parola sono i genitori dei Gorane e Jokin. Si intitola ovvero «uovo» in basco, ed è volutamente una parola che indica l’origine, anche in modo ancestrale: i genitori raccontano in prima persona plurale, al presente, la loro passione politica e i loro figli in una sintassi che si spezza d’errori studiati. Parlano da un altrove che non esiste se non sulla pagina e spiegano, in fondo, la prima divisione tra i caratteri dei due gemelli: Gorane li ha sempre rifiutati, Jokin li ha seguiti nel terrorismo.
Il rapporto tra le voci dei tre capitoli della prima parte è affascinante ed enigmatico e l’autrice è brava nell’architettarla come un nucleo unico, appunto come un uovo, che si spezzerà nelle due parti successive, con un’intenzione che ha del narrativo e del musicale. I due «movimenti» della seconda parte sciolgono e chiariscono le menzogne e i giochi di specchi dei protagonisti della prima, mentre la terza parte le risolve in modo inatteso sia sul piano sentimentale e identitario, con la nuova e vera vita di Gorane, che su quello della speranza.
Per farlo, in precedenza, avremo seguito la gemella in viaggio a Parigi in cerca del fratello che nel frattempo è stato arrestato e mandato in Spagna. La prima persona di Gorane e l’indagine per scoprire la via con cui ritrovarlo, chiarendo le mezze verità nascoste nel romanzo Entangled, «Intrecciati», che raccontava di suo fratello, si alternano ai verbali della polizia ascolta testimoni vicini a Jokin in prigione. Gorane non lo incontra e non saprà, in un certo senso, della sua estradizione, rimanendo a Parigi, mentre Jokin in carcere in Spagna, colpevole di tanti attentati, incontra un’altra figura cara alla sorella, l’analista. È in un sogno la chiave del rapporto tra i gemelli: non si incontrano mai sulla pagina, ma nella bella e studiata circolarità del romanzo camminano insieme, inscindibili, nelle mente del lettore.