Corriere della Sera - La Lettura
I pesci che non sanno che cosa sia l’acqua
L’americano Patrick Dempsey, Alessandro Borghi e Kasia Smutniak nel cast della produzione italiana girata in inglese
trilioni di cartamoneta nelle arterie di un sistema esangue, i cui effetti ambivalenti cominciamo a comprendere solo adesso. Alcuni dei fatti narrati nelle pieghe del verosimile alla fine sono accaduti.
La rabbia è esplosa nelle strade di Parigi assumendo il colorito itterico dei gilet gialli. La fragilità di un’antica banca italiana è stata l’epicentro di un terremoto devastante. Gli interventi dei banchieri centrali hanno mostrato la loro natura politica colmando il vuoto pneumatico lasciato dalle istituzioni. Lo spread è stato una parentesi che si è chiusa lasciando aperta la questione dell’endemica debolezza del nostro sistema bancario. L’Europa unita seguita a non esistere e nuove spinte, dall’Inghilterra della Brexit all’emergere del sovranismo internazionale, ne stanno minando le deboli fondamenta.
A ripensarci oggi, a guardarsi indietro, questi frammenti di futuro passato sembrano scandire l’età di un mutamento brusco e repentino, di un’accelerazione inarrestabile, di trasformazioni radicali. E invece sono solo le forme molteplici di una gattopardesca continuità. La finanza che ho cercato di restituire ha smesso di essere arte del possibile per diventare il più raffinato, pervasivo strumento di condizionamento delle vite, di manipolazione della realtà, di difesa dell’esistente, di congelamento del fluire di giorni, mesi, anni in un eterno presente. Gli uomini che ne incarnano l’essenza sono diversi dai trader della vecchia scuola tutti bretelle, sigaro in bocca e banconota nella narice. La finanza non è neanche più quella frontiera selvaggia, lontana dalla legge e battuta da avventurieri pronti a tutto pur di alzare plusvalenze miliardarie. La stagione di Gordon Gekko, della New York reaganiana e del suo lato più show off — coca, donne, eccessi, big bluff e insider trading — è preistoria.
I guardiani dell’esistente hanno eletto l’invisibilità a norma inderogabile, odiano gli eccessi, apprezzano il rigore, non sono devoti al profitto per il profitto, bensì alla supremazia di un mondo e non violano la legge perché hanno dalla loro la forza per scriverla. Non sono neppure i «cattivi» in senso stretto. Fuori dalla logica manichea che oppone il bene al male ho cercato di restituire la complessità psicologica, i molteplici intenti e i controversi moventi di quanti tessono i destini del pianeta Terra per scongiurare — dal loro punto di vista — il compiersi della catastrofe.
Ho chiamato questi monaci-guerrieri i Diavoli. Il loro universo è andato dilatandosi tra il web e la serialità televisiva, e così i personaggi del romanzo hanno vissuto molte vite, allontanandosi da me e dalle pagine che li avevano tenuti a battesimo. È stata un’ulteriore occasione per tornare a frugare nella scatola nera dei dispositivi di controllo e svelarne gli arcani, perché nella finanza siamo immersi tutti, come i pesci di quella storia raccontata da David Foster Wallace che non hanno consapevolezza dell’elemento che li circonda.
Dicono che le buone storie siano costruite sul periodo ipotetico della possibilità anche quando sono scritte al presente indicativo, che debbano confutare l’impressione retrospettiva di inevitabilità (non poteva andare se non così) e ricordare come il domani sia tutto da inventare. Altrimenti non sono buone storie, altrimenti sono solo gli imperativi di una realtà immutabile.
Per una vita ho cercato di stare un passo avanti al futuro, di misurare le incognite, di trovare l’attimo giusto; in queste pagine ho provato a ricordare che il futuro è solo di chi ha il coraggio per scriverlo. Del resto, è sempre una questione di tempo. O di tempi. In finanza, come in letteratura.
Roma, febbraio 2020
«Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: “Che cavolo è l’acqua?”». Se a pronunciare la storiella, raccontata da David Foster Wallace al Kenyon College in Ohio nel 2005, è Dominic Morgan, ceo di una delle più grandi banche d’investimento al mondo (nella finzione televisiva), quell’acqua è la finanza, nella quale le nostre vite sono immerse: «Non si vede, non ha odore e per molte persone è impercettibile; ma noi siamo il pesce che sa».
Inizia così la serie Diavoli che venerdì 17 aprile (ore 21.15) arriva su Sky Atlantic (e in streaming su Now Tv). Un thriller finanziario in 10 puntate, trasmesse in 5 serate, targato Sky Original e prodotto da Sky Italia e Lux Vide (casa di tante serie Rai e Mediaset). Produzione guidata dall’Italia che coinvolge anche Regno Unito e Francia (realizzata in collaborazione con Sky Studios, Orange Studio e Ocs) e un cast internazionale, per portare sullo schermo la storia tratta dal romanzo bestseller I Diavoli di Guido Maria Brera uscito nel 2014 per Rizzoli e ora riproposto in una nuova edizione (accanto ne anticipiamo la prefazione).
A interpretare uno degli uomini più potenti della finanza mondiale, il ceo che cita David Foster Wallace, è l’attore americano Patrick Dempsey, volto del medical drama Grey’s Anatomy e della miniserie La verità sul caso Harry Quebert. Ma il vero protagonista è l’italiano Massimo Ruggero, self-made man, appena eletto a capo degli investimenti della banca guidata da Morgan. Ruggero è interpretato da Alessandro Borghi, tra i più talentuosi attori italiani, David di Donatello per Sulla mia pelle (su Stefano Cucchi) e tra i protagonisti di Suburra. La serie. Con loro Kasia Smutniak ( Perfetti sconosciuti, Loro) ovvero Nina, sofisticata e determinata moglie di Dominic Morgan. Tra Ruggero e Morgan c’è un legame profondo, quello tra un allievo e il suo maestro. Ma una (mancata?) promozione e un misterioso suicidio fanno emergere conflitti e inganni. Ruggero, nella City di Londra, si trova allora coinvolto in una guerra finanziaria intercontinentale con l’America che vuole attaccare i debiti pubblici degli Stati più poveri dell’Eurozona; e dovrà scegliere se fidarsi del suo mentore o provare a fermarlo. I personaggi creati da Brera trovano nuova vita nella serie dopo il romanzo, imperniato su un mondo che l’autore, finanziere lui stesso, conosce da vicino. E dopo il sito web idiavoli.com, esperimento di narrazione collettiva, dove finanza e geopolitica sono restituite attraverso gli sguardi diversi dei protagonisti del romanzo.
I Diavoli sono figure emerse dalla crisi del 2008, «monaci-guerrieri» che — come il diavoletto immaginato dal fisico scozzese James Clerk Maxwell — mettono ordine al caos, creato dai vuoti della politica che negli ultimi trent’anni ha lasciato solo l’individuo con la sua libertà. «La finanza — dice Brera — diventa strumento politico o biopolitico, che incide cioè nelle vite delle persone». I Diavoli «quasi ricordano il Grande inquisitore di Dostoevskij che si faceva carico della libertà altrui, levandola, perché tutti potessero stare in una condizione di quasi felicità». Generando effetti collaterali enormi, squilibri, disuguaglianze. Diavoli non racconta l’avidità della finanza (come tanto cinema americano ha fatto) e «in gioco non ci sono i soldi o il potere personale, ma una guerra geopolitica».
Non si evidenziano buoni o cattivi, gli eventi sono letti per illuminare i coni d’ombra della storia.
Brera ha curato (con altri) la sceneggiatura. Produzione, attori e registi — il britannico Nick Hurran ( Sherlock, Altered Carbon) e l’italiano Jan Michelini ( I Medici) — hanno sposato la filosofia del romanzo. Ad attrarre Dempsey (nel libro il suo personaggio si chiama Derek, come il neurochirurgo di Gray’s Anatomy, ma nella serie diventa Dominic) è stato questo: «È una storia autentica». E Borghi ha confessato: «Ho dovuto imparare tutto sulla finanza» (per gli spettatori, brevi clip spiegano i termini da sapere).
«Lavorare con Dempsey è stato un onore», sottolinea Brera: «Borghi è riuscito a entrare nelle pieghe del protagonista, scavandone le ragioni ideologiche, da artista e intellettuale». Diavoli, girata tra Roma e Londra, è recitata in inglese. Sarà anche doppiata, ma lo stesso Borghi su Instagram consiglia di vederla in lingua originale. La serie si svolge tra il 2011 e il 2012. Quando è stata girata nessuno si sarebbe aspettato la crisi legata al coronavirus. Ma, confessa Brera, « Diavoli potrebbe essere ambientata anche in questi giorni. Lo spread, un’Europa disunita, una strenua difesa del dollaro come bene rifugio. Allora, come adesso».