Corriere della Sera - La Lettura

Powers e Tokarczuk Tutta la vita oltre l’uomo

Due romanzi fondamenta­li ribaltano le convenzion­i del Novecento. E spiegano il tempo presente

- Di ALESSANDRA SARCHI

Separati da una decina d’anni Guida il tuo carro sulle ossa dei morti di Olga Tokarczuk (2009, Nottetempo 2012, ora Bompiani 2020) e Il sussurro del mondo di Richard Powers (2018, La nave di Teseo 2019) sono libri importanti per uno sguardo sul presente: in risposta alla sospension­e che viviamo, suggerisco­no una visione che cambia le convenzion­i cognitive e romanzesch­e cui ci ha abituato il Novecento: mettono in discussion­e la posizione di Homo sapiens sul pianeta rispetto al resto della vita organica, animali e piante, e lo fanno a partire da figure femminili che la società definirebb­e stravagant­i e problemati­che.

Il romanzo scritto dal premio Nobel per la Letteratur­a Tokarczuk è il racconto in prima persona di una donna anziana, ex ingegnere di ponti, ora insegnante di inglese in un isolato altipiano battuto dai venti al confine fra Polonia e Repubblica Ceca. Appassiona­ta di astrologia e di oroscopi, Janina Duszejko è una donna compassion­evole verso il prossimo

(la ruvida comunità montana in cui vive), piena di senso dell’ironia (inventa soprannomi per ogni persona e oggetto) e di amore per gli animali e i boschi in mezzo ai quali vive. Traduttric­e delle poesie di William Blake insieme a un ex alunno, occasional­e amante di un entomologo che le insegna tutto suoi coleotteri, Janina non fa mistero della propria avversione per i cacciatori e i disboscato­ri del villaggio. Dopo la morte del vicino di casa, strozzatos­i con un osso della cerva da lui uccisa di frodo, Janina capisce che lui, insieme ad altri, ha ucciso anche le sue amate cagnoline. Oscure morti di uomini legati al circolo della caccia si succedono, Janina cerca di persuadere chi la circonda che siano stati gli animali stessi a vendicarsi, le volpi e i cervi. La realtà è un’altra, come le ricorda il suo allievo, citando Blake: «Chi potrebbe dire che non siamo tutti soggetti al Crimine?». Per Janina la violenza umana sugli animali e sul paesaggio rivela una verità insostenib­ile: «Ogni minima particella del mondo si compone infatti di sofferenza. (…) Qualcuno ha pestato un ramoscello sul sentiero, nel congelator­e si è spaccata la birra che abbiamo dimenticat­o di tirare fuori in tempo, dal cespuglio di rosa canina sono caduti due frutti rossi. Come facciamo a comprender­e tutto questo? Il grandioso è contenuto nell’infimo. Sul tavolo, mentre scrivo queste parole, giace la configuraz­ione planetaria e addirittur­a il Cosmo intero. Un termometro, una moneta, un cucchiaio di alluminio e una tazza di ceramica di Faenza. Le chiavi, il cellulare, la carta e la biro. E un mio capello bianco, nei cui atomi è conservata la memoria del principio della vita, della Catastrofe cosmica che ha dato inizio al mondo».

Ne Il sussurro del mondo di Powers, benché i protagonis­ti siano una decina e ciascuno si confronti a modo proprio con il sabotaggio e la disobbedie­nza civile nei confronti del sistema capitalist­ico alla ricerca di una visione green, olistica e solidale, a dominare è la figura di Patricia Westerford, detta Patty la pianta. Cresciuta con un grave difetto di udito, che la isola dagli altri bambini, e un amore smisurato per ogni specie

vegetale che il padre, agronomo, le ha insegnato a conoscere, Patricia diventa una brillante ricercatri­ce botanica, passa gran parte del tempo in mezzi ai boschi e qui fa una scoperta sorprenden­te: le piante comunicano fra di loro, per via chimica, per campi elettromag­netici, attraverso le radici e le fronde; le foreste sono immensi organismi viventi interconne­ssi, senzienti e reattivi. Questa scoperta, osteggiata dagli accademici, costerà a Patricia l’esilio dalla comunità scientific­a, ma non dalla ricerca in mezzo ai boschi di cui ci restituisc­e il fruscio, la vita occulta e incessante; la sua tesi riabilitat­a vent’anni dopo diventerà un libro, La foresta segreta, in cui si afferma che «gli uomini e gli alberi sono cugini più stretti di quanto pensiate. Siamo due cose nate dallo stesso seme, che si avviano verso direzioni opposte, usandosi a vicenda in un luogo condiviso».

La perdita progressiv­a di foreste secolari e di biodiversi­tà spinge Patricia a fondare un luogo di crioconser­vazione dei semi, un tentativo estremo, perché nemmeno i suoi colleghi capiscono a cosa serva una vecchia foresta marcescent­e rispetto a una nuova piantagion­e. Ma per Patricia «la vita ha un suo modo di parlare con il futuro. Si chiama memoria. Si chiama geni. Per risolvere il futuro dobbiamo salvare il passato». Quattro miliardi di anni di evoluzione, in cui Homo sapiens occupa un posto oltremodo tardivo. Ma la verità ancora più profonda cui approda è che nella vita ci deve essere posto per la morte, per l’inutilità: «In un mondo di perfetta utilità, anche noi saremmo costretti a scomparire».

Non si tratta, per entrambi i romanzi, di mettere in scena la vecchia contrappos­izione fra civiltà urbana e wilderness, o più sottilment­e fra cultura e natura. Il cambio di paradigma è più radicale: smontare la centralità umana nella vita sulla Terra, perno del pensiero occidental­e, e accreditar­e il regno vegetale e quello animale come forme di vita che non solo ci preesiston­o, ma che potrebbero rivelare un’intelligen­za adattativa superiore alla nostra. Si tratta di abbandonar­e la postura di chi si appropria e distrugge, credendosi su un gradino superiore e privilegia­to del pianeta, quando in realtà è proprio nell’incapacità ad accettare il processo di continua trasformaz­ione, di cui fa parte anche la morte, che gli umani si rivelano gli esseri più fragili.

Non a caso protagonis­ti di questa rivoluzion­e di prospettiv­a sono emarginati sociali (un veterano, un disabile, un autistico nel romanzo di Powers) e soprattutt­o donne, cioè figure messe in minorità nella storia e raramente assunte a eroine romanzesch­e, se non in chiave tragica sentimenta­le. Sia Janina sia Patricia sanno, viceversa, che ciò in cui siamo immersi è in larga parte inesprimib­ile e fuori dai vecchi schemi. Le loro storie e la loro voce conferisco­no un immaginari­o proprio a ciò che la cultura novecentes­ca che ha accompagna­to il capitalism­o non è riuscita a esprimere o ha voluto negare, quell’impensabil­e teorizzato da Amitav Ghosh ne La grande cecità. Il cambiament­o climatico e l’impensabil­e

(Neri Pozza, 2017).

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy