Corriere della Sera - La Lettura
C’è Pollicino tra Debussy e d’Annunzio
Il musicista e il Vate, 1910-17
L’atmosfera, più che la narrazione minuta. I dettagli restano sullo sfondo ma sentimenti e visioni affiorano vibranti, nella corrispondenza tra Gabriele d’Annunzio e Claude Debussy, nel carteggio Mon cher ami, riproposto da Passigli nella compilazione del 1993. Sono le lettere che i due si scambiano tra il 1910 e il ’17, quando insieme danno vita a Le martyre de Saint-Sébastien, intreccio di misticismo cristiano e pagana sensualità; 4 mila versi francesi del Vate, musiche di scena di Debussy; debutto nel 1911 a Parigi, protagonista Ida Rubinstein. L’epistolario ci restituisce lo spirito del singolare binomio, più che la genesi dell’opera, discussa di persona. Esclusi, ovvio, i retroscena: d’Annunzio in fuga dai creditori, d’Annunzio che colleziona amanti nello chalet di Arcachon, fino alla «scoperta» delle gambe di Ida, nel suo camerino, quando il poeta le accarezza, dal piede all’inguine, esclamando: «Saint Sébastien!».
Dietro il velo dell’iperbolico, che in altri chiameremmo piaggeria, nelle lettere di d’Annunzio avvertiamo sensi di ammirazione ed esaltazione poetica. L’Immaginifico cerca di compiacere il compositore. Fa lui il primo passo, l’invita, l’elogia, lo chiama «Claudio re», «fratello maggiore». Lo lusinga: «Vi offro l’arco di Sebastiano, ma voi riuscireste a tendere anche quello di Ulisse»; «penso con profonda emozione all’ora santa in cui scriverete la prima nota dell’opera». Debussy risponde con una sorta di soggezione: «Qualsiasi musica mi sembra inutile accanto allo splendore continuamente cangiante della vostra fantasia»; «quando siete qui con me ascolto la musica che le vostre parole mi suggeriscono», tra le quali si sente «come Pollicino».
Una curiosa tenerezza d’Annunzio mostra per la figlia di Debussy, Chouchou, che nel ’10 ha 5 anni. Nelle lettere al compositore, la chiama «la fanciulla che è la melodia più fresca del vostro cuore», «figlia della vostra anima panica»; «senza dubbio abita in lei una delle vostre anime più aeree». Quando scrive a lei, si firma
«Il mago dal pizzetto giallo». A illuminare di verità questi scambi sono le lettere successive al Martyre: piene di rimpianto per il sodalizio. I due sognano nuovi progetti. Trasformare il Martyre in opera, addirittura in film. Debussy: «Non chiedo di meglio che rivivere quei tempi di ardente fervore». D’Annunzio: «I giorni del nostro lavoro sono sicuramente il ricordo più ricco che ho». Ma scoppia la guerra. Il poeta abbandona Parigi, la salute di Debussy declina. «Da settimane la musica di Claude è la mia unica consolazione», scrive il Vate nell’aprile 1916. E «porto sempre dentro di me la vostra musica divina»: firmato, «Capitano d’Annunzio». È il settembre ’17. A Debussy restano 6 mesi di vita, a Chouchou meno di 2 anni. Il fuoco creativo è diventato nostalgia, epitaffio di un’epoca che in un lampo svanisce.