Corriere della Sera - La Lettura
Neon e trafficanti Milano macera nei bar
Carlo Monterossi, l’autore televisivo protagonista seriale dei romanzi di Alessandro Robecchi, stavolta sta fermo un giro: diverse trame si intrecciano nel nuovo libro e raccontano i lati oscuri di una città
Salta un giro Carlo Monterossi, protagonista seriale dei noir milanesi di Alessandro Robecchi. Stavolta ( I cerchi nell’acqua, Sellerio) non è lui al centro delle indagini ma si limita ad ascoltare il racconto di quello che hanno fatto i due amici di sempre, i poliziotti Tarcisio Ghezzi e Pasquale Carella. Lui, Monterossi, è in piena crisi di coscienza per il lavoro che fa, creatore e autore del programma tv Crazy Love che, nelle mani della perfida Flora De Pisis, si è trasformato in una macchina da audience.
Lui, è vero, guadagna molto però questo non basta a metterlo in pace. E l’amico Ghezzi, prima di cominciare il suo racconto, ribatte che quelle sono fisime da ricchi, che lui, Monterossi, non lo sa davvero che cos’è la vita fuori, in quel mondo che la gente come lui nemmeno s’immagina. Ed è nel mondo di fuori che si muove la storia del libro. Anzi, le storie, che sono tre: l’indagine della Questura sulla morte di un vecchio restauratore di oggetti d’antiquariato; la pista di Carella che si è messo in ferie per incontrare il magnaccia cocainomane che non ha pagato quanto doveva per il male fatto; e c’è infine la ricerca di Ghezzi chiamato dalla donna di un ladruncolo, la Franca, perché ritrovi il compagno misteriosamente sparito.
Ghezzi, in realtà, è incaricato pure dai superiori di contattare Carella che gli informatori hanno visto entrare nelle bische clandestine e frequentare i boss dello spaccio. Carella però non risponde, impegnato com’è a vendicare la ragazza che aveva testimoniato al processo e che, sapendo che Vinciguerra — questo il nome del magnaccia — sta par uscire di galera, per la paura ha tentato il suicidio e ora è in coma all’ospedale.
Gestire questo intreccio multiplo costituisce una prova di bravura, che Robecchi supera alla grande, giocando con abilità sui tempi di attesa del lettore che vorrebbe indovinare che cosa mai tenga insieme le tre piste. Ma le pagine più avvincenti sono quelle dedicate a Carella, che si avventura on the wild side (citazione da Lou Reed, inevitabile per un citazionista musicale come Robecchi): in territori selvaggi. Anzi, viene voglia di andarli a trovare i bar che restano aperti tutta la notte, i locali che i ragazzi della movida non sanno neppure che esistono, i posti dove tutto comincia quando la mezzanotte è già passata da un pezzo.
L’itinerario in questa Milano invisibile segue le tracce di Carella, che si muove come un lupo solitario in cerca della preda. A notte fonda entra in un bar dalle parti di viale Monza: i tavolini di formica scheggiata, poche bottiglie tristi, qualcuno seduto con un caffè che dura da ore. Gli indirizzi e i nomi dei locali, forse, Robecchi li ha cambiati, diciamo così per questioni di privacy. Ma la precisione dei dettagli, l’atmosfera, gli odori sono molto più veri di uno scenario da fiction.
Da anni, del resto, un libro dopo l’altro, Robecchi ci racconta i bar di Milano, non quelli fighetti con una lista dei gin «lunga come la dichiarazione dei redditi di un Agnelli». E nemmeno quelli che non hanno resistito alle ristrutturazioni postmoderne, ormai invecchiate, con i loro colori crema e azzurro puffo. No, sono i bar molto oltre la cerchia dei Navigli, nella periferia che ancora non è diventata un’attrazione per i designer e le start-up. Strade dove non circola l’aria
di cui va fiera Milano. No, qui i bar sono rimasti gli stessi da molti anni, il neon acceso anche la mattina e al muro le cartoline dei clienti in vacanza in Calabria. L’unica cosa che è cambiata, a volte, sono i proprietari, oggi molti sono cinesi, ma non pensano a cambiare il décor.
Dal bar di viale Monza parte il tour. Arriviamo sui Navigli, a un bar-ristorante che sembra un saloon, bancone in mogano, sgabelli intorno, il barman che potrebbe figurare in un film con John Wayne. Attorno, luce soffusa, tavolini con clienti che guardano fissi il cellulare aspettando la chiamata di qualcuno che propone qualcosa da non ripetere ad alta voce. Aria discretamente elegante quanto lo può essere un Far West che nessuno si aspetta lì. Tanto chi si siede e beve lo fa per ingannare l’attesa di un affare, un appuntamento, un traffico. Forse coca, forse una escort, si fa ma non si dice.
Il punto di arrivo è anche il premio per chi è giunto fino qui. È il mitico Kontatto di via Ripamonti, sala buia, cameriere premurose che si muovono nell’ombra. In fondo, su un palcoscenico, si alternano numeri di pole-dance in attesa della star, Diana Gold, la bionda che sa tante cose, quelle che Carella cerca. Quando finisce, non ha più niente addosso e a chi la guarda resta solo un interrogativo: quel triangolo ben disegnato è biondo naturale o tinto come il caschetto d’oro della diva?
Qui il giro turistico per i curiosi s’interrompe. Carella va avanti, bische clandestine che nessuno cercherebbe in strade desolate, ingressi loschi con appena una lampadina, il buttafuori che non promette niente di buono. Là dentro il gioco si fa duro, lasciamo che i duri comincino a giocare. Per gli altri l’ora della trasgressione finisce qui.