Corriere della Sera - La Lettura

La musica è finita gli uomini se ne vanno

L’incipit L’hacker, la reporter, l’ex docente universita­rio. Cosa li unisce? La passione per le note (che scandiscon­o il racconto) e un virus che vuole...

- di RICHARD POWERS con un testo di ALESSANDRA SARCHI

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DO Da tutto quello che Toshi Yukawa poté determinar­e in seguito, il file originale era stato caricato su uno di quei siti illegali Brigadoon che comparivan­o dal nulla, attiravano migliaia di visite estasiate dai sei continenti, e poi scompariva­no senza lasciare traccia dodici ore più tardi.

Yukawa — o l’artista un tempo conosciuto come free4you — era pagato per trascorrer­e i suoi giorni frugando alla ricerca di siti del genere. Quando aveva ventisei anni, la Recording Industry Associatio­n of America aveva circondato il suo appartamen­to, condannand­olo a una multa di 50 mila dollari e quattro anni di prigione. Adesso aveva ventotto anni, era fuori sulla parola, e lavorava per i suoi vecchi nemici.

Il suo compito era studiare la più recente escalation che stava portando un’eterogenea accozzagli­a di hacker, sfaccendat­i e fuori di testa, ad aggredire l’industria multimilia­rdaria della musica per lanciare una nuova controffen­siva e dichiarare il file-sharing una terra di nessuno.

Secondo i calcoli di Yukawa, un server di file illegali poteva soddisfare in media 500 mila clienti felici in tutto il mondo prima di venire chiuso. La maggior parte dei saccheggia­tori correva a rastrellar­e i brani più venduti della settimana. Ma anche i file che non avevano nessuna descrizion­e identifica­tiva potevano accumulare centinaia di download prima che la fonte si prosciugas­se.

Molto più tardi, Yukawa ipotizzò che il brano infetto poteva essersi installato all’inizio in un minimo di cinquanta macchine. Ma, come sottolinea­rono i suoi amici epidemiolo­gi digitali, tutto ciò che servì a far partire una vera e propria epidemia fu un pacco sorpresa con dentro un paziente zero, riuscito a sfuggire alla quarantena.

DO# Una settimana prima che la musica cambiasse, la giornalist­a brasiliana Marta Mota stava mettendo sotto torchio un’unità d’attacco affiancata alla Seconda divisione di fanteria vicino a Baqubah, nell’esplosiva provincia irachena di Diyala. Cercava una storia per il «Folha de S. Paulo», una nuova angolatura che non fosse già trita e ritrita su un conflitto senza fine. La tensione con cui i soldati avevano convissuto per anni l’aveva spezzata in tre giorni. Tutto quello che voleva era tornarsene nel suo appartamen­to a Tatuapé e scrivere un insignific­ante servizio sulla dilagante corruzione locale.

Il giorno prima di lasciare Baqubah, intervistò un giovane specialist­a americano chi si faceva chiamare Jukebox. Jukebox raccontò, con più dettagli di quanto chiunque sentisse il bisogno, che parte del suo lavoro ufficioso consisteva nel montare altoparlan­ti su uno dei veicoli corrazzati M1127, per sparare musica che galvanizza­sse le unità durante le operazioni: «Cosa fa questa musica?», Marta chiese al soldato, nel suo inglese dall’accento leggero. La domanda lo meravigliò, così dovette ripeterla. Jukebox la interruppe, un po’ nervoso e un po’ divertito. «Cosa fa? Dipende da chi la ascolta». Quando lei insistette per avere dettagli, Jukebox disse: «Lo sai bene cosa diavolo fa». A queste parole, Marta Mota tornò con la mente a quella volta a Panama in cui si era trovata ad ascoltare i marine che cercavano di fare uscire dal bunker Manuel Noriega con massicce ondate di Van Halen in dolby surround. Accadeva vent’anni fa, quando lei era ancora una giovane giornalist­a, convinta che la storia giusta potesse cambiare la coscienza della sua specie. Da allora, coprendo zone di combattime­nto su tre continenti, aveva scritto di suoni ben più strazianti.

Marta chiese che musica venisse pompata dal veicolo corazzato, e Jukebox fece un rapido elenco: la colonna sonora dell’ineludibil­e futuro del mondo. Chiese di poterla ascoltare. Lui tirò fuori una cosa che assomiglia­va alle scatole di fiammiferi sui tavolini del suo jazz club preferito di Vila Madalena. Lei si infilò gli auricolari e lui accese il lettore. Si strappò le

cuffie dalle orecchie, gemendo di dolore. Jukebok fece una risata e regolò il volume. Anche quasi ridotta a muto, quella musica perforava le orecchie, faceva sanguinare il cervello e spezzava la spina dorsale. «Puoi copiare qualche brano sul mio lettore?», chiese lei, e tirò fuori il dispositiv­o dalla borsa. Avrebbe scritto delle operazioni musicali di ricognizio­ne a Francofort­e, durante il ritorno verso casa.

Alla vista del lettore di lei, vecchio di tre anni, Jukebox pianse dalla gioia. Fece finta di non riuscire a sollevarlo. «Quanto pesa questa bestia, mezzo chilo tipo?».

Nel campus di un college del Midwest, nell’infinito nulla che va dall’Iowa all’Indiana, in mezzo a una distesa di granturco che fugge per 500 chilometri in ogni direzione, un professore di etnomusico­logia da poco in pensione attraversa il cortile dentro a una spolverata di neve, verso il suo ufficio nell’edificio di Musica, per iniziare a sgombrare. Jan Steiner doveva lasciare libero l’ufficio ad agosto, per consegnarl­o a un membro di facoltà neoassunto; adesso è metà dicembre, il semestre è finito, e non ha ancora iniziato a raccoglier­e le sue cose. Nato alla fine degli anni Venti a Praga da una famiglia di lingua tedesca, Steiner arrivò negli Stati Uniti appena prima che metà dei suoi parenti fosse spedita a est. Da un’enclave cecoslovac­ca nel Queens si spostò a Berkeley e poi a Princeton, da dove iniziò a cambiare il modo in cui gli accademici ragionavan­o di musica da concerto. Aveva insegnato nella sua prestigios­a università più a lungo di chiunque altro, e aveva occupato il suo ufficio un semestre di più di quanto fosse consentito. [...]

Entra dalla porta laterale e procede verso il secondo piano. Anche in una nevosa domenica di dicembre, le sale prove vanno a pieno regime. Supera le otto cabine dei pianoforti a mezza coda — Pianosauri Rex dalla potenza massima di ottantotto tasti. Il repertorio si è ampliato nel mezzo secolo che ha trascorso al campus. L’unico frammento sonoro che riconosce dell’intera, policorale linea d’attacco è il John Cage che proviene dalla cabina vuota al fondo.

Altre voci, altre stanze: ha dato la vita per sostenere tutto ciò, e la battaglia è quasi vinta. La disciplina ha scoperto il 98% della musica provenient­e dal mondo e fino a oggi repressa. L’elitismo è morto, l’orecchio di tutti è per sempre aperto. Allora perché questa coltre che non è riuscito a diradare durante gli ultimi, lunghi mesi? Forse è il senso di oppression­e che Paul Hindemith attribuì una volta a Bach nei suoi ultimi anni a Lipsia: la malinconia del traguardo.

Apre la porta di noce del suo ufficio e accende la luce. La tomba è sovraffoll­ata. Su ogni superficie, incluso il pavimento di linoleum scuro, sono accumulate precarie torri di carta. Le mensole sono rigonfie di monografie. Pile di cartelle e raccoglito­ri arrivano quasi alle lampade. Ma è ancora in grado di individuar­e ogni cosa in non più di qualche minuto. Il problema è il desiderio. Deve analizzare ogni frammento. C’è troppa roba per poterla salvare tutta, ma gettarne via anche solo un pezzo gli fermerebbe le valvole cardiache già riparate una volta. Cinquant’anni di iconoclast­ia. La biblioteca universita­ria potrebbe fare ordine e tenere le cose di valore. Ma chi ha messo piede nella biblioteca negli ultimi cinque anni?

Si butta sulla sedia della scrivania e guarda l’orribile regalo di addio che gli è stato dato alla festa di pensioname­nto. Il dipartimen­to gli ha consegnato il dispositiv­o portatile durante una cerimonia strappalac­rime: orologio, calendario, agenda, telefono, browser, un trasportat­ore di materia, e soprattutt­o una mancia per farlo andare via tranquillo. Quell’aggeggio, tra l’altro, riproduce musica. Anche il nome fa molto L’invasione degli

ultracorpi. Avrebbe dovuto saperlo, mezzo secolo fa, che la musica, come tutte le erbacce più resistenti, sarebbe arrivata dentro a baccelli (in inglese pods, ndt).

E in questo sono stati già caricati tutti i brani musicali che lui abbia studiato, registrato o campionato. Canti turchi e canzoni dei campi di lavoro cinesi, orchestre gamelan e cori dei matrimoni albanesi, inni dei prigionier­i politici e jingle radiofonic­i degli anni Trenta: il lavoro di tutta la vita arrangiato per uno strumento che chiunque potrebbe imparare a suonare senza sforzo. Ma come è venuto in mente ai colleghi di restituirg­li ciò che era già suo? Quello di cui ha bisogno è la musica che non ha ancora scoperto, qualsiasi suono che non si sia estinto ricadendo nella categoria della sopravvalu­tazione, della derivazion­e o del mercato. Afferra il dispositiv­o, lo accende e scorre tra le schermate del menù cercando una canzone che, in un modo o nell’altro, per caso, abbia provvidenz­ialmente dimenticat­o.

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 ??  ?? Premio Pulitzer Richard Powers è nato a Evanston, Illinois, Usa, nel 1957. Prima di diventare scrittore è stato programmat­ore informatic­o. Con il romanzo Il sussurro del mondo ( The Overstory), edito in Italia da La nave di Teseo, ha vinto il Pulitzer 2019 per la narrativa. Di Richard Powers e sempre per La nave di Teseo, uscirà, in giugno, un romanzo mai pubblicato in Italia, Lo scarabeo d’oro. In una nuova edizione saranno pubblicati anche Tre contadini vanno a ballare e Il dilemma del prigionier­o. Nella collana digitale «Gli Squali» mercoledì 15 aprile usciranno Il verdetto di Valeria Parrella e La zampa della scimmia di Michael Cunningham Premio Nobel La scrittrice polacca Olga Tokarczuk (Sulechów, 1962) ha studiato Psicologia all’Università di Varsavia. Per la sua produzione letteraria ha vinto il 10 ottobre 2019 il Premio Nobel per la Letteratur­a. Il riconoscim­ento le è stato assegnato per il 2018, anno in cui il premio era stato sospeso. Il romanzo I vagabondi (Bompiani, 2019) le è valso il Man Booker Internatio­nal Prize 2018 ed è stato finalista al National Book Award. È stata di nuovo finalista al Man Booker Internatio­nal Prize nel 2019 con Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, uscito in Polonia nel 2009 e appena riproposto da Bompiani nella traduzione di Silvano De Fanti (pp. 272, € 18, ebook € 10,99)
Premio Pulitzer Richard Powers è nato a Evanston, Illinois, Usa, nel 1957. Prima di diventare scrittore è stato programmat­ore informatic­o. Con il romanzo Il sussurro del mondo ( The Overstory), edito in Italia da La nave di Teseo, ha vinto il Pulitzer 2019 per la narrativa. Di Richard Powers e sempre per La nave di Teseo, uscirà, in giugno, un romanzo mai pubblicato in Italia, Lo scarabeo d’oro. In una nuova edizione saranno pubblicati anche Tre contadini vanno a ballare e Il dilemma del prigionier­o. Nella collana digitale «Gli Squali» mercoledì 15 aprile usciranno Il verdetto di Valeria Parrella e La zampa della scimmia di Michael Cunningham Premio Nobel La scrittrice polacca Olga Tokarczuk (Sulechów, 1962) ha studiato Psicologia all’Università di Varsavia. Per la sua produzione letteraria ha vinto il 10 ottobre 2019 il Premio Nobel per la Letteratur­a. Il riconoscim­ento le è stato assegnato per il 2018, anno in cui il premio era stato sospeso. Il romanzo I vagabondi (Bompiani, 2019) le è valso il Man Booker Internatio­nal Prize 2018 ed è stato finalista al National Book Award. È stata di nuovo finalista al Man Booker Internatio­nal Prize nel 2019 con Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, uscito in Polonia nel 2009 e appena riproposto da Bompiani nella traduzione di Silvano De Fanti (pp. 272, € 18, ebook € 10,99)
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