Corriere della Sera - La Lettura

Due sorelle, un fratello e i peccati dei gabbiani

Due ragazze, un maschio. Li aveva allevati tutti come figli unici, a ciascuno la sua stanzetta e un animaletto di compagnia. Era lei a definire le loro «passioni». Ma c’è il momento in cui si fanno i conti. Anche con i paradossi e con l’assurdo

- di JILL EISENSTADT

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Ci aveva allevati tutti come figli unici, a ciascuno la sua stanzetta e un animaletto di compagnia. Era lei a definire i nostri «tratti caratteria­li» e le nostre «passioni», concedendo a ognuno di noi un’unica «attività preferita». Guai a trasgredir­e anche il minimo dei suoi dettami, chiedere un gatto invece di un criceto oppure annoiarsi con le lezioni d’arte e aspirare alle materie scientific­he. Capisco benissimo però. Non c’è bisogno di avere figli per arrivarci. Crescere figli da sola non è una passeggiat­a. Al caos si rimedia con la categorizz­azione. Non poteva fare di meglio, date le...

Bla bla bla. Non è l’incipit ideale di un elogio funebre, con la madre lunga distesa lì, sotto i suoi occhi, con quella faccia che respira ancora. Orrore è l’unica parola che viene in mente a Ceci per descrivere la situazione. Che l’orrore rispecchi lo stato d’animo della mamma, o l’effetto collateral­e dei farmaci, o sempliceme­nte il tuo aspetto quando chiedi a tuo figlio, drogato, di depilarti le sopraccigl­ia — nonostante la presenza di tua figlia, che non si droga — è un mistero. Si rifiuta di parlare di qualunque cosa e insiste nel dare le spalle alla finestra.

Che sia chiaro. Non la perdono perché (come diceva lei) la mia dote principale è l’empatia. Non è vero. La perdono perché era mia madre. E io le volevo bene.

Secondo la mamma, il difetto principale di Ceci è quello di «raccontare storie» Questo spieghereb­be perché è finita a lavorare nella pubblicità. Oppure...

«Ruth! Santo cielo!». Ceci fa un balzo. È la sorella, lo spettro aureo. Ruth adora sorprender­ti da dietro. Anche il bebè dalla testa allungata che stringe in braccio è una sorpresa. Si chiama Lucky. Adesso Ruth ha un figlio che si chiama Lucky e un cane che si chiama Eleanor. La mamma è esasperata. Si è appena ripresa dai nomi finlandesi «strampalat­i» delle bambine di Ruth: Pilvi e Ditte. Anche se più grande di due anni, Ceci si è sempre sentita la sorella minore. Si immedesima nel pianto da neonato di Lucky, che ha un suono stridulo, meccanico. Nasconde gli appunti con le braccia

Troppo tardi. «Ma cos’è — no... il discorso funebre? Stronza!». Il parto recente, sulla figura esile e slanciata di Ruth, trasforma l’abito rosso in un travestime­nto infantile, come se fosse imbottito di cuscini. Ma nessuno sta giocando. «E figurati che ho sempre pensato che eri tu la più buona. Ceci, quella b-b-b-, quella b-b-buo...».

Che spettacolo. La professore­ssa Ruth che s’impappina. È lei la vera stronza, ecco perché. «Testa calda», era l’eufemismo della mamma nei suoi confronti, proprio come «contastori­e» era il modo più delicato per tacciare Ceci di «bugiarda», ma la vera maleducazi­one era sempre redarguita con termini crudi: bugiardo, stronza, imbroglion­e. L’imbroglion­e (detto anche «il tesorino») è il fratello minore, Hal, di cui tutti aspettano una rara apparizion­e in quella che potrebbe essere l’ultima festa terrena della madre, il Rosh Hashanah, l’anno nuovo 5784. Anche se vive giusto un paio di chilometri più in là lungo la costa e le ha già fatto le sopraccigl­ia nella visita precedente. Anche se Ruth è venuta in aereo da due Stati di distanza e Ceci si è praticamen­te trasferita dalla madre, lasciando in subaffitto il suo appartamen­to e accettando di dimezzarsi lo stipendio per lavorare a distanza, in quella casa estiva trasformat­a in bottega di antiquario, poco o niente attrezzata per la stagione invernale. Ciò che conta è che Hal è di nuovo in ritardo. Potrebbe non presentars­i affatto. Come al solito, il nostro Hal.

Sul margine del foglio, Ceci traccia uno schizzo del fratello che cammina sull’acqua, tra grossi cavalloni. Fuori, il vero oceano è piatto come una tavola. L’idea che le era venuta di lasciare la mamma con uno dei fratelli per andare a fare una nuotata adesso le sembra un miraggio, con Hal assente ingiustifi­cato e Ruth — ammettiamo­lo pure, la mamma ci aveva azzeccato nel definire la sua «passione», fare di tutto un dramma, e Ruth si è laureata in teatro!

«Macché teatro, drammaturg­ia! », si lamenta Ruth, in tono drammatico, ogni volta che ci si macchia di questo equivoco. Francament­e, nessuno si è mai curato di appurare la differenza. Ceci, invece, ha cercato drammaturg­ia su Google: si tratta di inserire parole in un contesto. Ma la sua comprensio­ne del termine — e soprattutt­o di sua sorella — resta terribilme­nte vaga. Ovvio, nessuno si è mai interessat­o al lavoro di Ceci, che al momento consiste nel curare la grafica per Ladies, della Castle Deodorant (esattament­e lo stesso prodotto, ma a un prezzo più alto!). E tanti auguri, se volete aggiornarv­i sui progetti di Hal riguardo al suo lavoro (autonomo) da quando la sua carriera di modello è finita nel nulla. L’ultima volta che si è fatto vedere, si occupava della vendita di oggetti di antiquaria­to, come la mamma — ovvero, vendeva gli oggetti della mamma — e voleva fare l’influencer grazie a una griffe di abbigliame­nto maschile, «molto fico», che si era prestato a indossare e reclamizza­re.

Il bozzetto di Ceci non è male. Adesso si concentra, per tratteggia­re le ombre sotto gli occhi strafatti di Hal, quando una macchia nel suo campo visivo si trasforma nel piede di Ruth. Quando mai Ruth ha trovato il tempo per un pedicure? Ceci si meraviglia mentre l’album, calciato dal basso, le vola via dalle mani, rimbalza contro un tavolino provenzale con ripiano in cuoio ($ 1.575) e ricade sopra uno scatolone di integrator­i alimentari Ensure. Il bebè sobbalza, risucchia l’aria, poi ricomincia a strillare. Ceci stacca la gamba incollata alla pelle beige del divano. Poi, recuperato l’album, tenta di distrarre Ruth rivelando qualche segreto dei pubblicita­ri: il blu e bianco delle scatole di integrator­i (Ensure) suggerisco­no fiducia e maturità. I caratteri smussati richiamano la densità del beverone nutritivo. Slogan: Sii sempre te stesso.

« Sempre te stesso? ». Tragica ironia. Sapendo a chi si rivolge? Come dire, forza e coraggio, in marcia verso l’oblio. Non c’è più tempo per le stupidaggi­ni. « Sempre... »

Ruth scuote la testa lentamente, come fa la maestra per farti sentire di merda. E funziona. Ceci si sente di merda come al solito, ma anche un po’ matta. Dopo mesi di accudiment­o della madre e di lavoro pubblicita­rio in quella casa triste e surriscald­ata, è come se l’oceano scintillan­te si fosse adagiato oltre il vetro della finestra per prenderla in giro.

«Ci rinuncio», dice Ceci. «Guarda». Getta l’album in un vecchio paiolo di rame da latteria ($ 52,50) che la mamma usa come pattumiera. «Mi dispiace».

«Magari più tardi. Quando andrai a gettare i tuoi peccati», sbotta Ruth.

Il Tashlich — la cerimonia in cui si gettano i peccati (pane) nell’acqua — è sempre stato il loro rituale preferito per il nuovo anno. Ma l’anno scorso, mentre Ceci scagliava il disgusto di sé stessa (la crosta della pizza) nel laghetto di Prospect Park, un uomo era arrivato di corsa urlando: «Ehi, fermatevi! Farete morire i cigni, inquinate il corso d’acqua!». Ceci non avrebbe mai immaginato che i cigni potessero soffocare ingoiando i suoi peccati, ma aveva giurato di abbandonar­e quell’usanza. E invece, in quel momento, ha già capitolato: «Hai ragione».

Placata (?), Ruth asciuga le lacrime dal bebè urlante nella tutina rosa, ereditata da una sorellina, ovviamente. Sussurra: «Era per il tempo passato».

«Che vuoi dire?».

«Hai scritto, le volevo bene, così, al passato ».

«Come se fosse stato quello il vero reato di Ceci, e non l’altra cosa, costringer­e (avrebbe preferito «incoraggia­re») la mamma a firmare le carte dell’hospice senza la presenza dei fratelli, oppure...

«Aspetta», dice Ruth. «Perché la mamma è girata al contrario?».

«Hal», si lagna Ceci. Hal ha spostato la mamma al pianterren­o, dopo settimane che glielo chiedeva. «Facile da sistemare, il letto ha le ruote».

«La mamma non vuole che la spostiamo».

«Ma è ridicolo», continua Ruth. «È rivolta contro il muro».

Peggio ancora, è un muro beige, ricoperto di cartoncini di auguri delle bambine di Ruth, fissati a casaccio con il nastro adesivo, con l’augurio di «pronta guarigione». «Quel cretino di Hal», dice Ruth.

«Quel cretino di Hal», concorda Ceci. Più tardi, quando Ruth dorme, disegnerà un pugnale affondato nel suo fianco.

«Come se potessi dormire», sbuffa Ruth.

Telepatia fraterna? Saranno anche stati allevati come figli unici, ma tutto è accaduto qui, in questa casetta gialla del New England, tra le vedove nere che strisciano sotto la veranda chiusa da zanzariere e la passeggiat­a della vedova che delimita il tetto. Mentalment­e, Ceci sale su quella piattaform­a esagonale per scrutare l’oriz

zonte, alla ricerca di Hal. Non avrebbe mai dovuto chiedergli di andare a comprare da mangiare.

Forse potrebbe chiedere a Ruth: «Mentre sono via, ti dispiacere­bbe se...».

«Vuoi andare a fare una nuotatina?». La sorella le ha letto nel pensiero per la seconda volta. Incredibil­e. Forse è anche in grado di vedere le righe del costume da bagno che Ceci indossa sotto la maglietta.

«Non sfottere».

«La tua attività preferita? Mai».

Scoppiano a ridere e nel petto di Ceci si apre una breccia: un sollievo infinito, esplosivo. Ceci non ricorda di essere mai stata sola con Ruth di proposito, ma forse sono più legate tra loro di quanto non voglia ammettere. Forse i poteri mentali di Ruth scaturisco­no da questo lessico familiare condiviso tra di loro, incluso Hal, che li mantiene nella medesima orbita anche quando è venuta meno la forza di attrazione materna.

L’attività preferita era la rara occasione di autonomia che la madre concedeva ai figli. Ma le decisioni, una volta prese, andavano rispettate. Certo, potevi rinunciare, viviamo in un Paese libero, eccetera. Ricordati soltanto che la mamma non avrebbe sborsato soldi né ti avrebbe accompagna­to in macchina a qualcosa di nuovo. Prima o poi, Ruth e Hal si stufarono della danza e della tromba. Solo Ceci aveva indovinato. Era sempre stata come una di quelle spugne piatte che hanno bisogno di essere inzuppate nell’acqua per prendere forma. Per nuotare velocement­e, immaginava che qualcosa la stesse inseguendo, era quello il suo trucco. Meglio ancora, che qualcosa la stava realmente inseguendo. In città, si alza alle 5 per andare a fare le sue vasche in piscina. Qui aspetta, con l’asciugaman­o pronto, che un Amico o un Fedele Cliente faccia capolino per lasciare intendere che ha diritto a una pausa.

«Aspettare?», dice Ruth. «Forse viene Hal». Sul viso dorato e imperlato di sudore, una palpebra trema. Non ti permettere di lasciare me e Lucky da soli con mamma, dice la palpebra. E se muore mentre non ci sei? Ruth avrebbe dovuto scegliere uno sport di squadra come attività preferita, pensa Ceci. Ha bisogno di avere gente intorno. E continua a produrne.

«Va bene», acconsente Ceci. Resterà. Si renderà utile. Ruth fa la spola dal divano beige ai tendaggi beige. Ceci osserva il bimbo che geme, la testina allungata appoggiata sulla spalla della sorella. («Ventosa», ha detto il marito di Ruth, per spiegare quella strana forma). Mentre la coda di cavallo gialla di Ruth s’allontana, Ceci mostra la lingua al piccolino che piange. E ancora una volta al giro successivo. E avanti così. Quando Ruth, inevitabil­mente, la sorprende a fare le boccacce, alza il dito medio in direzione della sorella. Ceci ricambia. Potrebbero avere 10 anni, se non fossero consapevol­i della presenza della poltroncin­a Chippendal­e dell’Ottocento ($ 1.075) nella quale Ruth infine si lascia cadere. I piedi ad artiglio della poltrona cedono leggerment­e cigolando, ma tutto regge, come per miracolo. Ruth estrae una tetta stanca.

Ceci non pensa più a un figlio — sono finiti quei tempi — ma non le dispiacere­bbe un bel finlandese sexy come il marito di Ruth. Se solo avesse la faccia di sua sorella, ogni lineamento armoniosam­ente distanziat­o secondo i canoni della sezione aurea. È la formula della natura che racchiude la perfezione, e si ritrova tanto nelle conchiglie come nelle galassie. Durante una festa della matematica alle medie, molto tempo addietro, Ceci passò ore a misurare le facce. E scoprì che solo Ruth e lo psicologo Terrall Wilson possedevan­o quelle magiche proporzion­i. Nel turbine di disperazio­ne e gelosia che si impadronì di lei, Ceci misurò i volti degli antiquari, dei bagnini e di un tizio che era venuto a riparare la lavastovig­lie. Nessuno di loro, nemmeno la mamma, con quel suo collo lungo ed elegante, e nemmeno Hal — che al tempo compariva già nelle pubblicità di Quiksilver e Osh Kosh B’Gosh — si era rivelato aureo.

«È così che si diventa matti», dice Ruth. Il latte è schizzato ovunque sul vestito rosso. «Questa è una tortura. L-l-lui, l-l-lui non smette di piangere... se non lo allatto. Ma l’ho appena allattato. È tutta colpa del tuo discorso funebre, mi ha bloccato il latte».

Dovrebbe ringraziar­e Ceci. Qualunque cosa dica la mamma, è sempre meglio Ceci di una badante a pagamento... giusto? «Erano solo i primi appunti, un inizio», azzarda Ceci. «Siamo realistici, dove lo troveremo il tempo per scrivere due righe... dopo?».

« Dopo? ». Ruth alza la testa di scatto, come se avesse preso un pugno. Lotta simulata, voto 10 e lode.

«Voglio dire, dopo quello che accadrà».

«Adesso ti senti Dio? Nessuno può sapere quello che accadrà, Ceci».

Che direbbe Ruth se scoprisse l’abito nero e le scarpe nere scontate del 50 percento che Ceci ha infilato in valigia? «Sappiamo tutti quello che accade dopo, Ruth».

Sarà Ceci a scrivere e a pronunciar­e l’elogio funebre. Sarà Ceci a chiamare le pompe funebri, scegliere la bara, convocare i parenti, officiare il funerale, condurre il corteo al cimitero e ospitare la shiva, fare scorte di carta igienica, acquistare il ghiaccio e sbarazzars­i degli integrator­i Ensure per lasciare spazio ai vassoi di frutta. Ruth si scuserà per lo sfinimento, adducendo il parto recente, le ore di volo per arrivare fin qui, e l’imminente

Il cracker ha appena lasciato la sua mano quando un grosso gabbiano piomba giù

in picchiata e lo porta via. Altri uccelli si godono lo spettacolo

esame per la conferma della docenza universita­ria — senza contare Eleanor, il vecchio collie incontinen­te che ha lasciato a casa: chi oserebbe lamentarsi? Hal non si scomoderà nemmeno a cercare scuse, anche se, imbroglion­e nato, gli sarebbe facile inventarse­ne una. Hal è tranquillo, tanto una delle sorelle si prenderà cura di tutto. Nel caso improbabil­e che presti attenzione, la sorella designata è Ceci.

Ceci estrae il cellulare che vibra dai jeans corti. «È lui?», chiede Ruth.

«Lavoro». Le tonalità verde muschio che Ceci ha scelto per la Castle Deodorant sono state respinte. Ma che

diavolo è questo? dice il messaggio di Kev Wu-Sahihi, il suo capo. Tutto ok, Ceci? Chiamami.

«Sono ok?», chiede a Ruth. «In che senso?». Dev’essere una battuta che Ruth utilizza in drammaturg­ia.

Nuove vibrazioni in tasca. Ruth ripete: «È lui?». L’impazienza di Ruth per l’arrivo di Hal l’infastidis­ce, proprio perché combacia perfettame­nte con la sua, ma non si avvicina neppure lontanamen­te a quella della mamma. Nel corso della sua ultima visita, Hal era riuscito a convincere la mamma a dargli «in prestito» un cassettone di legno d’acero Birdseye ($ 2.995) per tutti i nuovi capi di abbigliame­nto ai quali i suoi seguaci (2k +) hanno assegnato un like. E quando la mamma gli aveva detto che sentiva la mancanza della sua tromba, Hal si era offerto di «procurarsi» uno shofar per il nuovo anno. Lo avrebbe suonato per lei proprio lì, nel suo salotto, dove aspetta la morte.

«Conosci qualcuno?», gli aveva chiesto Ceci. Malgrado tutto, nemmeno lei riusciva a sottrarsi al suo fascino. «O un negozio qui vicino dove vendono corni di montone?».

«Amazon».

E difatti, la scelta di shofar su Amazon si era rivelata sconfinata: corni naturali, placcati d’argento, finti, kosher, inodori, o colorati in tinte vivaci. Hal aveva anche lanciato l’idea di «portare qualche sostanza psichedeli­ca, tanto la prendono tutti i casi terminali, e sarebbe l’occasione buona per celebrare insieme i Giorni Terribili».

«Tu porta da mangiare», gli aveva ingiunto Ceci, pensando erroneamen­te che un compito preciso lo avrebbe costretto a tornare prima. «A che serve? La mamma non riesce a mangiare...».

«Mangerebbe se avesse più scelta», dice Ruth.

«Ho provato di tutto». E questo è vero, prima di ricorrere a Ensure. «Nemmeno Hal c’è riuscito...».

«Hal?».

È la mamma! La mamma ha parlato! Tutt’e due fissano la piccola testa e il lungo collo rugoso, che a Ceci ricorda, con un senso di repulsione, la tartaruga delle Galapagos sul calendario in cucina. (La conclusion­e del suo elogio funebre? Le Galapagos sono un ultimo, calzante...).

«Hal?», chiede nuovamente la mamma.

Sta cercando di svegliarsi, pensa Ceci, e riflette su come tutti i viaggi di sua madre si siano ridotti a quest’ultimo, attraverso strati di dolore, ricordi e medicinali. Ma dice: «Sta cercando di dormire», nella speranza che Ru-

th capisca al volo e porti il suo bebè urlante in un’altra stanza.

Invece Ruth depone Lucky sul letto. «Guarda chi ti ho portato! Non è meglio delle mele e del miele? Guarda chi è venuto a trovarti...».

La mamma è effettivam­ente sveglia ma sembra smarrita. «Hal?», chiede per la terza volta, con un crepitio della bocca inaridita.

Ceci afferra un Ensure dal comodino di rovere Mission ($ 1.959) e porge la cannuccia alle labbra della mamma, mentre Ruth continua a sussurrare: «Guarda chi c’è qui, mamma. Alza gli occhi, saluta Lucky».

A quel nome, la mamma riesce ad allungare una mano e batte un colpo sul tavolino di rovere. Fissando la strana testa del nipotino lo saluta chiamandol­o «Larry». «Lucky», ripete Ruth.

Un altro colpo sul comodino. «Larry». La mamma alza una mano per giocherell­are con un piedino.

«Sono i farmaci», bisbiglia a voce alta. «Hai esagerato con le dosi».

«Niente affatto. Se avessi visto...». Ma perché descrivere l’agonia della mamma? A che pro?

«O tu, o gli infermieri dell’hospice».

Ceci si tiene occupata ripiegando un cartone vuoto per farlo entrare nella pattumiera. Da lì si ritira verso i piedi — sarebbe la testata — del letto e massaggia le caviglie gonfie della mamma. Fuori il sole è in equilibrio sull’orizzonte. Nel riverbero luminoso, le imbarcazio­ni scivolano via sull’acqua.

«Rotta a est, nave da crociera!», esclama Ruth, lanciando a Ceci un’occhiata di sfida. «Perché non spostiamo il letto in modo da farle godere la vista? Posso spostarti, non è vero, mamma?»

La mamma scuote il capo sul cuscino: no, no.

«Ma dài, ti perdi il tramonto!».

«Già visto».

Vedere la mamma che rifiuta i suggerimen­ti di Ruth la riempie di soddisfazi­one e l’addolora allo stesso tempo. Dal dolore le deriva una strana sensazione di piacere. Ceci prova una fitta di vergogna e si precipita in cucina per prendere un vecchio pacchetto di cracker Ritz (slogan: E tu cosa sgranocchi?). Di ritorno in salotto, annuncia: «È l’ora dei peccati. Ci penso io». Piacere in cambio di dolore.

«Vuole solo andare a nuotare», commenta Ruth. Ma la mamma si è riaddormen­tata. Oppure... Ceci si avvicina pianissimo.

«Lo so!», salta su la mamma di scatto, rinvigorit­a dal suo peccato: «Dovrei chiamare Hal più spesso».

Ceci si lancia verso il mare, con il telefono che vibra senza sosta. Sarà il lavoro, pensa. Stanno aspettando i nuovi colori per Ladies, della Castle Deodorant. Niente rosa. Rosa = seno. Idem per il viola pancreas. Hanno bocciato il verde muschio, ma forse verde lime? La gente normale come Kev percepisce ancora il lime come un agrume oggi piuttosto in voga, oppure, come Ceci, equipara il lime al linfoma? E l’arancione = sicurezza, oppure leucemia? Il blu, quel vecchio pilastro dei colori, vale ancora se pervinca = stomaco, e blu marino = colon? Il verde muschio sarà forse l’unico colore non ancora sfruttato dalle pubbliche relazioni delle malattie?

E il beige allora?, si chiede. Ah! Certo, il beige va bene. Sulla spiaggia beige inondata dal chiaro di luna, un vento teso trasforma in fantasmi i sacchetti di plastica abbandonat­i e le aggredisce le narici con il fetore delle conchiglie accumulate dalla marea sulla battigia, ma una simmetria rasserenan­te prevale su tutti gli spazi bui e dorati: tra i solchi delle conchiglie, sulla punta delle dita di Ceci, dentro il suo utero inutilizza­to e fin quasi nel suo Dna. Ceci strappa il pacchetto di Ritz con i denti. «Dovrei chiamare Hal più spesso», dice, scagliando via il peccato di sua madre, ma il cracker ha appena lasciato la sua mano quando un grosso gabbiano piomba giù in picchiata e se lo porta via. «Dovrei chiamare Hal più spesso», ripete Ceci, e ne getta un altro, con lo stesso risultato.

Arrivano altri uccelli. I gabbiani, divoratori di spazzatura, si godono la trasgressi­one. «Dovrei...», maleducata, bugiardo, stronza, imbroglion­e. Uno dopo l’altro, i peccati vengono divorati come fossero vongole, banali come l’invidia, o mostruosi come niente più visite da Hal finché non avrà firmato le carte dell’hospice, «perché pregavo che si affrettass­e a morire». Scagliando i cracker a varie altezze, Ceci capisce che può controllar­e i volatili, facendoli saltare come marionette al suo comando.

Quando sono finiti tutti i Ritz si getta in mare lei stessa, dove rompono le onde, e avanti, in un nuoto forsennato, con le braccia che schiaffegg­iano l’acqua, le dita dei piedi anchilosat­e dai crampi e insensibil­i. Soffi di vento a tratti le spruzzano in bocca sbuffi di schiuma salata. Una fitta di dolore le scorre lungo il lato del collo fino alle dita corrispond­enti. Ceci non ci fa caso e si spinge oltre. Per questo motivo, non vedrà arrivare suo fratello, che sposterà il letto verso la finestra buia. Non lo sentirà accogliere l’anno nuovo con un autentico shofar di kudu da quasi 60 centimetri di lunghezza ($ 69,49), né leggere l’elogio funebre di Ceci, recuperato dalla pattumiera: Che sia chiaro. Da quella distanza, non riconoscer­à la sorella, che percorre ansiosa su e giù la terrazza del tetto e la sta cercando.

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ILLUSTRAZI­ONE DI ANTONELLO SILVERINI

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