Corriere della Sera - La Lettura
«I dati di Pechino non sono quelli veri»
«L’ ultima volta che sono andata a trovare la mia famiglia, a Wuhan, è stato per le vacanze di Natale. Vivo negli Stati Uniti da dieci anni. Sono una scienziata. A Wuhan, dove sono nata e cresciuta, lo scorso dicembre si avvertiva quasi un senso di pericolo. Mia madre ha un’amica che lavora in un ospedale della città e già a inizio dicembre, le ha confidato, cominciavano i ricoveri dovuti a una “strana polmonite”. Le autorità non volevano che se ne parlasse». La testimonianza di questa scienziata, che ha chiesto di rimanere anonima, arriva a «la Lettura» nei giorni in cui la metropoli cinese comincia ad allentare la morsa della quarantena decisa il 23 gennaio in seguito all’ondata di contagi da Covid-19. Dalla mezzanotte dell’8 aprile chi è in buona salute può lasciare la città, capoluogo della provincia di Hubei. Secondo i dati ufficiali, nell’Hubei sono morte 3.215 persone mentre i contagi da coronavirus sono 67.803. In tutta la Cina i contagi sono 82.883, i decessi 3.335 (dati aggiornati al 9 aprile). Le autorità cinesi hanno lanciato l’allarme alla vigilia del 2020. Per gli esperti ormai troppo tardi. «La parola cinese che definisce l’infezione da Covid-19 letteralmente indica una “polmonite da nuovo coronavirus”», continua la scienziata. «Questa definizione esclude un numero molto alto di contagiati che riportano sintomi più lievi, oppure sono asintomatici. Wuhan ha dichiarato un calo vertiginoso dei contagi, addirittura zero. Tuttavia, ci sono video dei giorni scorsi che circolano sui social network in Cina dove si vedono lunghe code fuori dagli ospedali, che si snodano attorno agli isolati. Ci sono persone che sono morte nelle loro case senza che venisse fatto il test per il Covid-19, e quindi non vengono calcolate nelle statistiche. Se un malato di cuore che aspetta di essere testato muore prima che riescano a confermargli il contagio, verrà considerato un decesso per attacco cardiaco».