Corriere della Sera - La Lettura
Immagini sacre contro disastri e pestilenze Icona, aiutaci tu
Sono esistiti da sempre, a ogni latitudine e per ogni sentimento religioso, oggetti particolari a cui venivano attribuiti poteri specifici, miracolosi. L’oggetto «magico», caricato di qualche potere sovrannaturale e i cui prodigi sfuggono alla razionalità umana, è al centro di numerosi miti, leggende, fiabe: il calice del Graal, il vello d’oro, la pietra filosofale alchemica... Nella realtà si tratta per lo più di oggetti rituali, ritenuti sacri dai membri delle religioni, reliquie, statue o immagini di divinità che hanno avuto il merito, in circostanze particolari, di alleviare le sofferenze di una comunità attraverso guarigioni inspiegabili, allontanando malattie e carestie, alimentando la speranza di vittoria in guerra. Queste circostanze, assurte al rango di leggende storiche indubitabili e implicando quindi la riproducibilità degli effetti quasi a comando, fanno in modo che questi artefatti diventino essi stessi oggetto di venerazione.
Due oggetti di questo tipo hanno accompagnato lo scorso 27 marzo papa Francesco, quando, durante un
Urbi et orbi di evidente eccezionalità, ha invocato la fine dell’epidemia di fronte a una piazza San Pietro vuota, strattonata dalla pioggia. Nella complessa luce blu di quel sagrato trasformato in una cinematografica Megiddo, la collina israeliana dove secondo la tradizione biblica avrà luogo il Giudizio universale, sono stati posti, sull’ingresso della Basilica di San Pietro, il Crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso e l’icona della Madonna
Salus Populi Romani. Sono due scelte importanti, per nulla casuali: due elementi amati, di immediata riconoscibilità e dall’evidente potere simbolico.
La storia del primo è stata raccontata molte volte, e da più di cinque secoli è entrata nell’immaginario collettivo della città di Roma. Quello di San Marcello è un crocifisso ligneo, scuro, fabbricato probabilmente da un maestro di scuola senese, sulla fine del Trecento o all’inizio del secolo successivo. Esposto nella chiesa su via del Corso a decorazione dell’altare maggiore, sopravvisse intatto al grande incendio che la notte tra il 22 e il 23 maggio 1519 rase al suolo la chiesa. Pochi anni dopo, quando la peste nell’agosto del 1522 colpì l’Urbe, il cardinale spagnolo Raimondo Vich promosse una solenne processione penitenziale guidata dal crocifisso miracoloso, della durata di 16 giorni, al termine della quale la peste aveva già cominciato ad abbandonare Roma.
L’icona Salus Populi Romani, «salvezza del popolo romano», è invece un’antichissima icona bizantina, dalla storia complessa. Fa parte di quel gruppo di icone tradizionalmente attribuite all’evangelista Luca ma la cui immagine attuale è databile al primo millennio cristiano. Anche la Salus Populi, posta alla sinistra del Papa durante l’Urbi et orbi, fu usata più volte per implorare la fine delle disgrazie che gravavano sulla città: la leggenda narra che il primo a portarla in processione penitenziale per chiedere la liberazione dalla peste fu papa Gregorio Magno nel 590 quando, durante il tragitto verso Santa Maria Maggiore, apparve l’arcangelo Michele nell’atto di rinfoderare la spada in segno di scampato pericolo. La Mole Adriana da quel momento prese il nome di Castel Sant’Angelo e, almeno dall’XI secolo, una statua dell’angelo è presente sul fastigio. San Pio V pregò la stessa icona per assicurarsi la vittoria nella battaglia di Lepanto e lo stesso pontefice la portò fino a San Pietro per chiedere la fine di una pestilenza. Di nuovo nel 1837, fu la protagonista della fine di un’epidemia di colera.
Non è quindi raro trovare nella storia momenti in cui l’umanità ha cercato negli oggetti sacri la soluzione a eventi sconvolgenti, la cui portata la oltrepassava, e sulla quale il folklore ha banchettato a piacimento: si narrano vicende in cui le icone e le statue venivano addirittura messe in situazioni inopportune, per «costringere» il santo al miracolo.
Il crocifisso di San Marcello e la Salus Populi sono l’ultimo esempio di una strategia quasi magica di affidamento al soprannaturale le cui origini affondano nel pensiero magico e nella notte dei tempi.
Si racconta che nel 293 a.C. a Roma scoppiò una grande epidemia di peste, che mieteva numerose vittime. Per fare fronte al disastro il senato romano, dopo avere consultato i Libri Sibillini, decise di inviare una spedizione a Epidauro, in Grecia, per ottenere una statua del dio greco della medicina Asclepio, proprio lì dove c’era un grande tempio dedicato al dio. Durante i riti un grosso serpente uscì dal tempio, personificazione stessa del dio, e si introdusse nella nave romana. Al ritorno il serpente si installò sull’Isola Tiberina e lì, dove ora c’è la chiesa di San Bartolomeo, venne costruito il tempio di Asclepio che aveva proprio la funzione di un vero ospedale. Ancora oggi l’isola, che negli anni ha assunto proprio le sembianze di una nave, è dedicata in un continu