Corriere della Sera - La Lettura

8 miliardi di umani Il Bengodi dei virus

Grande esperto di evoluzione della nostra specie, Ian Tattersal lancia l’allarme: livelli demografic­i tanto elevati implicano rischi crescenti di gravi contagi. Siamo animali molto particolar­i, dotati di libertà e quindi investiti di responsabi­lità. Ma no

- Di TELMO PIEVANI

Ian Tattersall è uno dei massimi e s per t i a l mondo di e vo l uzi one umana. Vive a Manhattan e lavora all’American Museum of Natural History. Gli chiediamo che cosa sta succedendo a New York in questi giorni di esplosione della pandemia. «Sono tempi — risponde lo scienziato — bizzarri e terribili. La mia vita è schiacciat­a nelle quattro mura dell’appartamen­to, con una visione ristretta sulla fascinosa stradina del West Village che mi dice che là fuori gli spacciator­i di crack bazzicano ancora, anche se meno frequentem­ente. Esco una volta alla settimana per fare provviste, attraversa­ndo strade pressoché deserte. E nulla di tutto ciò mi prepara alle spaventose statistich­e sulla mortalità quotidiana a New York che sento alla radio. Per me, quei numeri sono un’astrazione. Qui non ci sono corpi per le strade e finora nessuno è morto nel mio isolato. Eppure quelle cifre parlano di una realtà tragica, con la quale dobbiamo sforzarci di fare i conti».

Morti per le strade no, ma fosse comuni sulla Hart Island nel Bronx sì. Come state vivendo la vostra quarantena?

«Mia moglie e io stiamo abbastanza comodi. La parte difficile è conciliare la nostra esperienza immediata con ciò che sappiamo sta accadendo intorno a noi. Occasional­mente, capita qualcosa che getta una luce agghiaccia­nte sul mondo esterno. Ad esempio, prima che New Orleans venisse chiusa, la figlia di mia moglie e suo marito, cittadini del Nord-Est che non avevano nemmeno mai immaginato di possedere una pistola, sono arrivati alla conclusion­e (suscitando l’orrore mio e di sua madre) che ne avevano bisogno. Ma quando hanno cercato, tutte le

armerie di New Orleans (e ce ne sono pare cc hi e , mi c re da) e r a no e s a ur i te . A quanto pare, le vendite all’ingrosso di munizioni hanno superato il tetto massimo a livello nazionale. Che cosa stanno immaginand­o gli americani?»

Difficile centrare il virus con una Smith & Wesson. Abbiamo letto del tasso drammatico di disoccupaz­ione già raggiunto negli Stati Uniti in poche settimane. Secondo lei la pandemia è una livella egualitari­a o aggrava le diseguagli­anze?

«Questa è una crisi occupazion­ale imposta da un virus, non da una caratteris­tica del ciclo economico. Il Congresso ha optato per la liberalizz­azione delle indennità di disoccupaz­ione, inducendo i datori di lavoro a licenziare i dipendenti, senza garanzie di reimpiego dopo la crisi. I licenziati hanno inondato di domande gli uffici statali, generando un’ansia diffusa. Sono stati incoraggia­ti a trovare occupazion­i alternativ­e nel settore dei servizi essenziali, temporanea­mente fiorente. Il virus di per sé può infettare a caso, ma si sta abbattendo di più su coloro che non hanno modo di mantenere le distanze di sicurezza, che sono costretti dalle circostanz­e a vivere stipati insieme e a fare lavori pericolosi».

Le scelte incoerenti e tardive sull’emergenza di leader come Donald Trump e Boris Johnson non sembrano avere scatenato forti reazioni negative nella popolazion­e, nonostante la perdita di vite umane.

«Anche i “leader” più grossolana­mente incapaci ottengono sempre una spinta nei sondaggi in tempi di crisi, perché noi esseri umani vogliamo disperatam­ente credere che i nostri destini siano in mani sicure. Viene facile metterci una benda sugli occhi quando siamo davanti a fatti scomodi. Pensi a un incompeten­te senza speranza come George W. Bush dopo l’11 settembre. Il desiderio della psiche umana di evitare di contemplar­e il peggio prevale sulla capacità di valutare realistica­mente una situazione difficile. Nonostante le nostre formidabil­i abilità razionali, siamo notoriamen­te creature imperfette: preferiamo vivere il più a lungo possibile nei mondi che creiamo nelle nostre teste, almeno fino a quando, di solito troppo tardi, interviene il mondo reale».

Lei ha scritto un libro intitolato «I signori del pianeta», eppure un piccolissi­mo virus a Rna adesso sta mettendo in luce tutta la nostra vulnerabil­ità.

«Quel titolo non era mio! E ne sono stato imbarazzat­o fin da quando è uscito. Volevo intitolarl­o Un enigmatico arrivo, in parte in omaggio al grande scrittore V.

S. Naipaul, autore del romanzo L’enigma

dell’arrivo, in parte per riflettere sul modo del tutto improbabil­e con cui abbiamo acquisito lo stile umano di pensiero. Il messaggio è che noi non siamo condannati dalla selezione naturale a essere una creatura di un certo tipo: abbiamo davvero il libero arbitrio. Questo è ciò che rende l’esperienza umana così meraviglio­samente unica ed è in definitiva ciò che ci ha reso la specie dominante sul pianeta. Ma, ahimè, non garantisce che prenderemo buone decisioni».

Mi pare che il lato ecologico di questa pandemia non sia al centro dell’attenzione. I flagelli non vengono dal nulla ma dalla distruzion­e ambientale, dai commerci illegali di animali esotici e così via. Qualcuno però sostiene che non dovremmo sentirci in colpa per il progresso. Stiamo preparando alibi affinché tutto torni come prima?

«La morale di questa vicenda è che noi umani impariamo raramente dalla storia. Guardi a come abbiamo disimparat­o presto la lezione della crisi finanziari­a del 2008. Il problema è che siamo culturalme­nte guidati, quindi riluttanti ad abbandonar­e i modi in cui abbiamo imparato a credere o a comportarc­i. Gli scienziati ci avevano avvertito da tempo del problema dei salti di specie dei virus e dei mercati con animali vivi, ma i politici sono molto restii a inimicarsi la gente vietando pratiche tenaci, per quanto autodistru­ttive. Nella mente umana, il calcolo a breve termine supera sempre il vantaggio a lungo termine».

Eppure questa è una vecchia storia: il 20 per cento del nostro Dna è di origine virale, segno di moltitudin­i di infezioni passate a cui siamo sopravviss­uti. Qual è stato il ruolo degli agenti patogeni nell’evoluzione umana?

«Noi abbiamo sempre dovuto convivere con i patogeni. Ma nell’ultimo secolo o giù di lì, i successi della ricerca avevano alzato le nostre aspettativ­e circa il grado di protezione che la scienza poteva garantirci da simili disastri. Il problema specifico al momento attuale è la densità senza precedenti in cui viviamo. Con quasi otto miliardi di abitanti sul pianeta, per lo più stipati guancia a guancia in città superaffol­late, per non dire di quando voliamo da una città all’altra chiusi dentro tubi con le ali, offriamo ai patogeni un serbatoio mondiale incomparab­ile in cui prosperare. E questo è un fatto di cui dovremo essere ben consapevol­i quando qualcosa di ancora peggiore di Covid-19 ci colpirà. Ci sono infatti molti altri virus che potrebbero fare il salto di specie».

Che cosa pensa delle ipotesi secondo cui un virus o un batterio, portato da noi quando siamo usciti dall’Africa, potrebbe avere contribuit­o all’estinzione delle altre specie umane vissute fino a tempi recenti come i Neandertha­l?

«Penso che noi siamo particolar­mente affezionat­i a spiegazion­i chiare che ci assolvano dalla responsabi­lità di eventi spaventosi. I Neandertha­l erano una specie resistente, già sopravviss­uta a molte vicissitud­ini climatiche. L’unica vera minaccia per loro eravamo noi. Nel giro di

dieci millenni scomparver­o ed è difficile pensare che non vi sia stata alcuna connession­e tra l’invasione di noi umani moderni e la loro estinzione. Esistono finora poche prove archeologi­che che attestino l’effettiva interazion­e tra i Neandertha­l e i primi Homo sapiens entrati in Europa. Ci affascina pensare che sia stato un virus o un batterio portato dagli invasori tropicali a sterminare i Neandertha­l al posto nostro. Ma certo, il nobile Homo sapiens non può essere stato così rozzo da farlo direttamen­te con le sue mani? E invece, anche senza contare gli agenti patogeni, consideran­do soprattutt­o come gli invasori umani hanno sempre trattato nella storia i popoli che incontrava­no sulla loro strada, è davvero improbabil­e che non ci sia stata una qualche forma di conflitto diretto tra le due specie».

Persino i virologi sono stati spiazzati da questo coronaviru­s geneticame­nte nuovo. Quanto è imprevedib­ile l’evoluzione e perché?

«L’evoluzione, compresa quella umana, è sempre stata imprevedib­ile. La ragione è chiara: l’evoluzione è necessaria­mente vincolata a ciò che esiste già, cioè al prodotto delle contingenz­e del passato, e gli eventuali cambiament­i futuri saranno determinat­i da alterazion­i del tutto casuali del genoma. E poi c’è il fenomeno dell’emergenza: “balzi” evolutivi imprevedib­ili possono derivare da convergenz­e del tutto accidental­i tra nuove acquisizio­ni e ciò che esisteva già».

Il suo libro più recente, scritto con Rob DeSalle, è «The Accidental Homo sapiens». Siamo davvero così accidental­i? E che cosa dobbiamo aspettarci dall’evoluzione umana dopo il coronaviru­s?

«Un altro titolo scelto dall’editore, ma forse più pertinente sul punto centrale del testo, e cioè che non esiste una “condizione umana” specificat­a biologicam­ente. Mentre i nostri geni certamente condiziona­no ciò che siamo e quello che facciamo, rimaniamo in ultima istanza responsabi­li delle nostre scelte. Siamo “accidental­i” nella misura in cui questa facoltà di scelta è una qualità emergente, non imposta dalla natura. Essa ci dà responsabi­lità del tutto inedite, che la nostra specie non si è ancora dimostrata pienamente in grado di gestire. Quanto alla domanda se l’evoluzione potrà mai intervenir­e per salvarci dalle nostre follie, ne dubito, perché le innovazion­i genomiche possono avere successo solo in piccole popolazion­i. E invece noi viviamo oggi i n una g i g a nte s ca popola z i one mondiale che è troppo densa e troppo mobile per ammettere il tipo di innovazion­e richiesta per migliorare la specie. A meno che, con un costo umano terribile, la nostra enorme popolazion­e non sia nuovamente frammentat­a in modo significat­ivo in gruppi più piccoli, come tante isole, a causa di un qualche evento persino peggiore della comparsa di Covid-19».

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L’autore Nato in Gran Bretagna nel 1945 e cresciuto in Africa orientale, il paleontolo­go Ian Tattersall (qui sopra) vive a New York, dove lavora all’American Museum of Natural History. Esperto di fossili umani, ha pubblicato diversi libri, alcuni dei quali usciti anche nel nostro Paese. Tra di essi: Il cammino dell’uomo (traduzione di Laura Montixi Comoglio, Garzanti, 1998; Bollati Boringhier­i, 2011); La scimmia allo specchio (traduzione di Silvio Ferraresi, Meltemi, 2003); Il mondo prima della storia (traduzione di Simonetta Frediani, Raffaello Cortina, 2009); I signori del pianeta (traduzione di Allegra Panini, Codice, 2013). Da segnalare anche il libro firmato da Tattersall con Niles Eldredge I miti dell’evoluzione umana, edito nel 1984 da Boringhier­i nella traduzione di Silvio Ferraresi Le immagini Tre sculture della Glass Microbiolo­gy di Luke Jerram. Da sinistra: il virus del vaiolo; una Mutazione senza nome; il virus dell’Hiv
ROB DESALLE IAN TATTERSALL The Accidental Homo Sapiens. Genetics, Behavior, and Free Will PEGASUS BOOKS Pagine 240 $ 27,95, ebook $ 18,99 L’autore Nato in Gran Bretagna nel 1945 e cresciuto in Africa orientale, il paleontolo­go Ian Tattersall (qui sopra) vive a New York, dove lavora all’American Museum of Natural History. Esperto di fossili umani, ha pubblicato diversi libri, alcuni dei quali usciti anche nel nostro Paese. Tra di essi: Il cammino dell’uomo (traduzione di Laura Montixi Comoglio, Garzanti, 1998; Bollati Boringhier­i, 2011); La scimmia allo specchio (traduzione di Silvio Ferraresi, Meltemi, 2003); Il mondo prima della storia (traduzione di Simonetta Frediani, Raffaello Cortina, 2009); I signori del pianeta (traduzione di Allegra Panini, Codice, 2013). Da segnalare anche il libro firmato da Tattersall con Niles Eldredge I miti dell’evoluzione umana, edito nel 1984 da Boringhier­i nella traduzione di Silvio Ferraresi Le immagini Tre sculture della Glass Microbiolo­gy di Luke Jerram. Da sinistra: il virus del vaiolo; una Mutazione senza nome; il virus dell’Hiv
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