Corriere della Sera - La Lettura
Evitare infezioni lasciando in pace le altre specie
Biologia Si susseguono i morbi trasmessi dagli animali per zoonosi. Il rimedio migliore è rispettare l’ambiente
Pronti, via! Pare questo lo stato d’animo dei più, ora che le innumerevoli statistiche forniteci quotidianamente (piuttosto approssimative: ma illustrare i dati calcolati sul differenziale di 14 giorni è impresa così difficile?) lascerebbero intravedere uno spiraglio di fine quarantena. Il tempo cupo che ci è dato di vivere in isolamento sarebbe meglio speso se utilizzato per capire le cause di questo stravolgimento globale della nostra vita, per uscire arricchiti, per capire che, quando torneremo ad abbracciarci, non potremo riprendere gli stili di vita che ci hanno ridotti in questa situazione, pena una prossima e più grave crisi.
Il dibattito pubblico è tutto centrato sull’ovvio: collasso dei sistemi sanitari e mancanza di personale; ripresa delle attività economiche e programmazione della baldoria per tornare alla vita precedente. Giornate e giornate monopolizzate da individui senza alcuna competenza, che creano confusione, e politicanti con proposte surreali in cerca di consensi: uno spettacolo indegno della tragedia Covid-19.
Manca del tutto la riflessione sulle cause che hanno innescato la crisi: la questione ecologica e le politiche coloniali attuate dalle potenze europee. Di queste ultime dovranno parlare gli storici ma intanto è utile leggere Jared Diamond (per esempio nell’intervista su queste pagine). Della prima è dovere dei biologi fornire gli elementi conoscitivi utili a una riflessione corale.
È da poco mancato il famoso scrittore Alberto Arbasino e dunque il richiamo alla mitica casalinga di Voghera è d’obbligo: anche quest’ultima si chiede quali siano le cause che (solo per restare a decadi recenti) hanno portato l’umanità a confrontarsi, in una successione sempre più incalzante di epidemie-pandemie, con Hiv, 1 9 8 0 ( da s c i mmie a nt ro pomorfe) ; E b o l a , 1996/2013 (da macachi); Marburg, 1998 (ancora da macachi); Nipah, 1998 (da pipistrelli/maiali; soggetto di un famoso film del 2011, Conta
gion, interpretato da Matt Damon e Gwyneth Paltrow); Sars, 2002 (da pipistrelli/zibetti; identificata da Carlo Urbani, poi morto per l’infezione); H5N1, 2003 (da varie specie di volatili); H1N1, 2009 (da maiali); Mers, 2014 (da pipistrelli/cammelli); Zika, 2016 (da zanzare, con la tragedia dei bambini nati da madri infette e
portatori di gravi malformazioni neurologiche e microcefalia, i bambini invisibili del Brasile) e Covid-19.
In Zoologia e al primo anno di Biologia si spiega che si tratta di zoonosi, di infezioni dovute ad agenti patogeni che per loro natura vivono ben adattati in altre specie animali. Quando si verifica il salto di specie, spillover è il termine tecnico (è anche il titolo dell’istruttivo romanzo-saggio di David Quammen), il sistema immunitario del nuovo ospite è del tutto sprovvisto di risposte (anticorpi) e così si manifesta la virulenza della capacità riproduttiva dell’agente patogeno. A sostenere questa visione c’è una vasta letteratura scientifica che va sotto il nome di Emerging Infectious Diseases, studi che analizzano i fattori antropici che favoriscono l’insorgenza e la diffusione di patologie infettive: ne parla Paolo Vineis nel libro
Salute senza confine (Codice, 2014).
Circa il 60% delle malattie infettive che ci affliggono sono zoonosi (lo documentano l’Organizzazione mondiale della sanità e il Center for Disease Control and Prevention) e gli esempi scolastici, da manuale, sono le infezioni che ci trasciniamo dalla notte dei tempi geologici del Neocene, quando da raccoglitori e cacciatori siamo divenuti agricoltori, iniziando il processo (inizialmente lentissimo) di uso della superficie terrestre a fini agricoli e di addomesticazione di alcune specie animali. Ecco il contatto diretto e il salto di specie: il morbillo e la tubercolosi (dal bestiame), la pertosse (dal maiale) e l’influenza (dalle anatre).
Ebbene, è in questo processo di utilizzo del suolo e di vicinanza con altre specie animali che sta il nocciolo della questione ecologica. Dalla rivoluzione industriale in poi abbiamo devastato più di due terzi della superficie terrestre per processi di crescita economica, urbanizzazione e produzione agricola; abbiamo deforestato l’equivalente della superficie del continente africano per l’allevamento intensivo di bovini per la produzione di carne rossa. Attualmente la biomassa dei bovini allevati (più di un miliardo di capi) equivale alla biomassa degli umani (ormai quasi 8 miliardi); ad oggi circa il 70% della superficie agricola terrestre è impiegato per la produzione di mangimi.
Questi processi, esempio dell’impronta umana sul pianeta, sono carichi di conseguenze, tra le quali il cambiamento climatico è la più nota. La devastazione di interi ecosistemi ha come conseguenza sia la distruzione totale di tanti e diversi habitat (con l’eliminazione di specie, alcune estinte prima ancora di essere descritte: vedi iucnredlist.org) sia la forzata migrazione di specie in altri luoghi nel tentativo di adattarsi a nuovi ambienti, ammassandosi nelle vicinanze di centri urbani.
Ciascuna delle infezioni sopra ricordate è causata da spillover riconducibili al progressivo e massiccio sfruttamento degli habitat naturali di diverse specie animali, venute così a stretto contatto con l’uomo. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che questo contatto, spesso, determina anche la loro cattura per i fini più svariati: da quelli alimentari al loro impiego in pratiche di medicina tradizionale, sino alla loro cattura ed esibizione come animali da compagnia, indicatori di un certo status (la moda Yulin, dal nome della città cinese famosa per il commercio di carni esotiche).
Le scimmie antropomorfe dell’Africa occidentale, con la trasmissione del lentivirus responsabile dell’Hiv, e i pipistrelli dell’Africa centrale e occidentale nella trasmissione di Ebola sono due casi paradigmatici: la recente deforestazione delle aree dove vivevano queste specie (per costruzione di strade e ferrovie, di miniere, di insediamenti urbani, per la caccia) le ha portate a stretto contatto con l’uomo. Le innumerevoli fasi di interazione diretta tra questi animali e tra di essi e l’uomo sono facili da immaginare: dalla cattura al mantenimento, dal trasporto alla vendita nei mercati ( wet
market) dove, ammassati, incontrano specie diverse (con le quali non sarebbero mai venuti a contatto) facilitando così il passaggio di microbi, sino alla macellazione e al consumo.
Anche per i pipistrelli vale lo stesso paradigma: il loro arrivo nei giardini e nelle case ha come prima immediata conseguenza l’inevitabile fecalizzazione dell’ambiente. I pipistrelli sono spesso alla base della trasmissione di alcune infezioni sopra ricordate (la Sars tra tutte; spesso infettano altri mammiferi e questi contagiano l’uomo) per ragioni assai semplici: sono estremamente numerosi, circa un quarto delle specie di mammiferi sono pipistrelli; vivono
ammassati in grandi comunità a volte di diverse decine di migliaia di individui; si adattano facilmente a diversi habitat; proliferano in contesti urbani.
Questi processi di spillover riguardano anche alcune specie di insetti (circa l’80% delle specie animali sono insetti). Basterà pensare alle zanzare e alle zecche come vettori di agenti patogeni a causa della trasformazione (deforestazione) dei loro habitat originali in aree brulle con accumulo di acque residue (ambiente favorevole allo sviluppo delle zanzare) o di cambiamenti nella ricchezza di specie in grado di controllarne la diffusione. È questo il caso della malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche che in habitat naturali, come le foreste del Nord America, hanno negli opossum dei controllori efficaci e che possono invece proliferare quando questi animali vengono rimpiazzati da roditori in seguito a processi di urbanizzazione.
Anche gli uccelli entrano in queste dinamiche. Ne è un esempio l’influenza aviaria H5N1, caratterizzata da un elevato tasso di mortalità, circa il 50% degli individui infettati, il cui controllo ha portato all’eliminazione di centinaia di milioni di uccelli con perdite economiche enormi. Lo studio di queste dinamiche fornisce informazioni preziose per controllare e prevedere epidemie-pandemie dovute a zoonosi. Si badi bene di distinguere i processi di previsione-controllo da quelli di eradicamento. Per le zoonosi dobbiamo prevedere e controllare, non potremo mai eradicarle, salvo l’estinzione degli animali in cui questi patogeni albergano; il suggerimento più sensato è di lasciare questi animali nei loro habitat, preservandoli e non distruggendoli.
L’eradicazione è fattibile per quei patogeni che sono umani: l’esempio scolastico è il vaiolo, che ora esiste solo in qualche laboratorio. La specie umana non ne soffre più dal 1977. Una delle più frequenti domande della casalinga di Voghera è assai semplice e ricorda la domanda del giovane Holden: «Sa le anatre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anatre quando il lago gela?». Ebbene i virus che ormai abbiamo contratto per spillover non se ne vanno, restano nell’ospite; l’epidemia-pandemia regredisce con il distanziamento sociale e gli interventi sanitari e la malattia non è più manifesta. Ma non è scomparsa: è confinata a pochissimi individui. Solo dopo anni e in circostanze favorevoli può ripresentarsi.
È facile previsione epidemiologica dire che prima o poi saremo tutti di nuovo esposti. Lo studio delle precedenti epidemie dovute a coronavirus (una famiglia assai ampia di virus), Sars e Mers, con l’analisi di cause, insorgenza, contagi, mortalità, ben poteva insegnare alcune semplici cose:
1) il rispetto della biodiversità e dell’ambiente;
2) la regolamentazione del consumo di carni;
3) l’educazione alimentare;
4) il controllo delle attività merceologiche e dei contesti igienici dei wet market.
Esempio clamoroso di controtendenza è quello dell’amministrazione Trump, che ha appena sospeso il contributo all’Organizzazione mondiale della sanità, ma già nell’ottobre 2019 aveva ridotto del 50% i fondi alla stessa Oms e del 100% al programma Predict, un progetto volto a capire quali patogeni possono divenire
facilmente infettivi per gli umani. Il programma ha già individuato centinaia di nuovi virus pronti allo spillover (si veda a tal proposito:
What we have found. One Health Institute,
ohi.sf.ucdavis.edu).
Purtroppo per presidenti analfabeti ecologici e negazionisti, che presentano la malattia da Covid-19 come una «influenzetta» e chiamano «codardi» i cittadini responsabili che seguono le regole sanitarie, c’è sempre spazio di consenso politico. Va qui citato Edgar Morin, grande conoscitore della biologia (anche lui intervistato su «la Lettura» dello scorso 5 aprile), che a proposito di Homo sapiens insiste sulla nozione di Homo demens!
Occorre a questo punto ritornare al punto di partenza: ecco perché il «pronti, via» non può essere quello del tornare a vivere come in precedenza. Il Covid-19 non è una malattia che ci è capitata, l’abbiamo cercata e trovata, sebbene in rete circolino, al solito, strampalate (complottiste) e superstiziose (Dio ci punisce; coronavirus è un messaggio della Madonna di Medjugorje) teorie sulle cause della pandemia.
Il nostro stile di vita non è più sostenibile dalla Terra: questa è la riflessione che la politica deve tradurre in azioni già da ora, per quando torneremo là fuori con consapevolezza, aprendo una vera discussione sulle cause delle crisi sanitarie ed ecologiche
Non solo ce la siamo procurata ma addirittura era ben prevista, come più volte ha ricordato Anthony Fauci, per più di trent’anni direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases e consigliere di cinque presidenti americani. Mentre alcuni gli hanno dato ascolto (Barack Obama tra tutti, con l’istituzione della Global Health Initiative Agenda), altri, per esempio Trump, non lo stanno proprio ascoltando, sebbene l’abbia chiamato alla Casa Bianca e il virologo lo avesse chiaramente avvertito con un perentorio: « No doubt, Donald J. Trump will be confronted with a surprise infec
tious disease outbreak during his presidency ». Non ci sono dubbi, Donald J. Trump dovrà affrontare lo scoppio improvviso di una malattia infettiva durante la sua presidenza.
Fauci (che ora vive sotto scorta) si esprimeva così perché nel corso della sua magistrale attività — oggi, a 79 anni, è internazionalmente riconosciuto come un’autorità — ha sempre ricordato che «le malattie infettive sono una sfida continua. Non spariranno. La cosa di cui siamo straordinariamente sicuri è che vedremo accadere questo nei prossimi anni». Da diversi anni gli scienziati hanno elaborato dettagliate analisi (anche per il Pentagono: si veda Pande
mic Influenza and Infectious Disease Respon
se) di una possibile prossima pandemia virale di tipo polmonare che si sarebbe diffusa a partire dalla Cina via goccioline ( droplet) di aerosol. Informazioni poi riprese da Bill Gates, in una Ted conference del 3 aprile 2015 che ha raccolto oltre 25 milioni di visualizzazioni.
Trump dunque sapeva da tempo e taceva, riconduceva tutto a una banale influenza. Peraltro in buona compagnia con Jair Bolsonaro (Brasile), Andrés Manuel López Obrador (Messico), Boris Johnson (Regno Unito), Stefan Löfven, premier della civilissima Svezia che «l’immunità di gregge» la applica realmente e prevede di escludere gli ultraottuagenari e gli altri anziani molto debilitati dalla terapia intensiva in caso di carenza di posti.
Il nostro stile di vita non è più sostenibile dal pianeta Terra: questa è la riflessione che la politica deve tradurre in azioni concrete già da ora, per il momento in cui torneremo là fuori con una chiara consapevolezza del nostro agire, aprendo una costruttiva discussione sulle cause delle crisi sanitarie e ecologiche.