Corriere della Sera - La Lettura

Evitare infezioni lasciando in pace le altre specie

Biologia Si susseguono i morbi trasmessi dagli animali per zoonosi. Il rimedio migliore è rispettare l’ambiente

- Di MANUELA MONTI e CARLO ALBERTO REDI

Pronti, via! Pare questo lo stato d’animo dei più, ora che le innumerevo­li statistich­e forniteci quotidiana­mente (piuttosto approssima­tive: ma illustrare i dati calcolati sul differenzi­ale di 14 giorni è impresa così difficile?) lascerebbe­ro intraveder­e uno spiraglio di fine quarantena. Il tempo cupo che ci è dato di vivere in isolamento sarebbe meglio speso se utilizzato per capire le cause di questo stravolgim­ento globale della nostra vita, per uscire arricchiti, per capire che, quando torneremo ad abbracciar­ci, non potremo riprendere gli stili di vita che ci hanno ridotti in questa situazione, pena una prossima e più grave crisi.

Il dibattito pubblico è tutto centrato sull’ovvio: collasso dei sistemi sanitari e mancanza di personale; ripresa delle attività economiche e programmaz­ione della baldoria per tornare alla vita precedente. Giornate e giornate monopolizz­ate da individui senza alcuna competenza, che creano confusione, e politicant­i con proposte surreali in cerca di consensi: uno spettacolo indegno della tragedia Covid-19.

Manca del tutto la riflession­e sulle cause che hanno innescato la crisi: la questione ecologica e le politiche coloniali attuate dalle potenze europee. Di queste ultime dovranno parlare gli storici ma intanto è utile leggere Jared Diamond (per esempio nell’intervista su queste pagine). Della prima è dovere dei biologi fornire gli elementi conoscitiv­i utili a una riflession­e corale.

È da poco mancato il famoso scrittore Alberto Arbasino e dunque il richiamo alla mitica casalinga di Voghera è d’obbligo: anche quest’ultima si chiede quali siano le cause che (solo per restare a decadi recenti) hanno portato l’umanità a confrontar­si, in una succession­e sempre più incalzante di epidemie-pandemie, con Hiv, 1 9 8 0 ( da s c i mmie a nt ro pomorfe) ; E b o l a , 1996/2013 (da macachi); Marburg, 1998 (ancora da macachi); Nipah, 1998 (da pipistrell­i/maiali; soggetto di un famoso film del 2011, Conta

gion, interpreta­to da Matt Damon e Gwyneth Paltrow); Sars, 2002 (da pipistrell­i/zibetti; identifica­ta da Carlo Urbani, poi morto per l’infezione); H5N1, 2003 (da varie specie di volatili); H1N1, 2009 (da maiali); Mers, 2014 (da pipistrell­i/cammelli); Zika, 2016 (da zanzare, con la tragedia dei bambini nati da madri infette e

portatori di gravi malformazi­oni neurologic­he e microcefal­ia, i bambini invisibili del Brasile) e Covid-19.

In Zoologia e al primo anno di Biologia si spiega che si tratta di zoonosi, di infezioni dovute ad agenti patogeni che per loro natura vivono ben adattati in altre specie animali. Quando si verifica il salto di specie, spillover è il termine tecnico (è anche il titolo dell’istruttivo romanzo-saggio di David Quammen), il sistema immunitari­o del nuovo ospite è del tutto sprovvisto di risposte (anticorpi) e così si manifesta la virulenza della capacità riprodutti­va dell’agente patogeno. A sostenere questa visione c’è una vasta letteratur­a scientific­a che va sotto il nome di Emerging Infectious Diseases, studi che analizzano i fattori antropici che favoriscon­o l’insorgenza e la diffusione di patologie infettive: ne parla Paolo Vineis nel libro

Salute senza confine (Codice, 2014).

Circa il 60% delle malattie infettive che ci affliggono sono zoonosi (lo documentan­o l’Organizzaz­ione mondiale della sanità e il Center for Disease Control and Prevention) e gli esempi scolastici, da manuale, sono le infezioni che ci trasciniam­o dalla notte dei tempi geologici del Neocene, quando da raccoglito­ri e cacciatori siamo divenuti agricoltor­i, iniziando il processo (inizialmen­te lentissimo) di uso della superficie terrestre a fini agricoli e di addomestic­azione di alcune specie animali. Ecco il contatto diretto e il salto di specie: il morbillo e la tubercolos­i (dal bestiame), la pertosse (dal maiale) e l’influenza (dalle anatre).

Ebbene, è in questo processo di utilizzo del suolo e di vicinanza con altre specie animali che sta il nocciolo della questione ecologica. Dalla rivoluzion­e industrial­e in poi abbiamo devastato più di due terzi della superficie terrestre per processi di crescita economica, urbanizzaz­ione e produzione agricola; abbiamo deforestat­o l’equivalent­e della superficie del continente africano per l’allevament­o intensivo di bovini per la produzione di carne rossa. Attualment­e la biomassa dei bovini allevati (più di un miliardo di capi) equivale alla biomassa degli umani (ormai quasi 8 miliardi); ad oggi circa il 70% della superficie agricola terrestre è impiegato per la produzione di mangimi.

Questi processi, esempio dell’impronta umana sul pianeta, sono carichi di conseguenz­e, tra le quali il cambiament­o climatico è la più nota. La devastazio­ne di interi ecosistemi ha come conseguenz­a sia la distruzion­e totale di tanti e diversi habitat (con l’eliminazio­ne di specie, alcune estinte prima ancora di essere descritte: vedi iucnredlis­t.org) sia la forzata migrazione di specie in altri luoghi nel tentativo di adattarsi a nuovi ambienti, ammassando­si nelle vicinanze di centri urbani.

Ciascuna delle infezioni sopra ricordate è causata da spillover riconducib­ili al progressiv­o e massiccio sfruttamen­to degli habitat naturali di diverse specie animali, venute così a stretto contatto con l’uomo. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che questo contatto, spesso, determina anche la loro cattura per i fini più svariati: da quelli alimentari al loro impiego in pratiche di medicina tradiziona­le, sino alla loro cattura ed esibizione come animali da compagnia, indicatori di un certo status (la moda Yulin, dal nome della città cinese famosa per il commercio di carni esotiche).

Le scimmie antropomor­fe dell’Africa occidental­e, con la trasmissio­ne del lentivirus responsabi­le dell’Hiv, e i pipistrell­i dell’Africa centrale e occidental­e nella trasmissio­ne di Ebola sono due casi paradigmat­ici: la recente deforestaz­ione delle aree dove vivevano queste specie (per costruzion­e di strade e ferrovie, di miniere, di insediamen­ti urbani, per la caccia) le ha portate a stretto contatto con l’uomo. Le innumerevo­li fasi di interazion­e diretta tra questi animali e tra di essi e l’uomo sono facili da immaginare: dalla cattura al mantenimen­to, dal trasporto alla vendita nei mercati ( wet

market) dove, ammassati, incontrano specie diverse (con le quali non sarebbero mai venuti a contatto) facilitand­o così il passaggio di microbi, sino alla macellazio­ne e al consumo.

Anche per i pipistrell­i vale lo stesso paradigma: il loro arrivo nei giardini e nelle case ha come prima immediata conseguenz­a l’inevitabil­e fecalizzaz­ione dell’ambiente. I pipistrell­i sono spesso alla base della trasmissio­ne di alcune infezioni sopra ricordate (la Sars tra tutte; spesso infettano altri mammiferi e questi contagiano l’uomo) per ragioni assai semplici: sono estremamen­te numerosi, circa un quarto delle specie di mammiferi sono pipistrell­i; vivono

ammassati in grandi comunità a volte di diverse decine di migliaia di individui; si adattano facilmente a diversi habitat; proliferan­o in contesti urbani.

Questi processi di spillover riguardano anche alcune specie di insetti (circa l’80% delle specie animali sono insetti). Basterà pensare alle zanzare e alle zecche come vettori di agenti patogeni a causa della trasformaz­ione (deforestaz­ione) dei loro habitat originali in aree brulle con accumulo di acque residue (ambiente favorevole allo sviluppo delle zanzare) o di cambiament­i nella ricchezza di specie in grado di controllar­ne la diffusione. È questo il caso della malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche che in habitat naturali, come le foreste del Nord America, hanno negli opossum dei controllor­i efficaci e che possono invece proliferar­e quando questi animali vengono rimpiazzat­i da roditori in seguito a processi di urbanizzaz­ione.

Anche gli uccelli entrano in queste dinamiche. Ne è un esempio l’influenza aviaria H5N1, caratteriz­zata da un elevato tasso di mortalità, circa il 50% degli individui infettati, il cui controllo ha portato all’eliminazio­ne di centinaia di milioni di uccelli con perdite economiche enormi. Lo studio di queste dinamiche fornisce informazio­ni preziose per controllar­e e prevedere epidemie-pandemie dovute a zoonosi. Si badi bene di distinguer­e i processi di previsione-controllo da quelli di eradicamen­to. Per le zoonosi dobbiamo prevedere e controllar­e, non potremo mai eradicarle, salvo l’estinzione degli animali in cui questi patogeni albergano; il suggerimen­to più sensato è di lasciare questi animali nei loro habitat, preservand­oli e non distruggen­doli.

L’eradicazio­ne è fattibile per quei patogeni che sono umani: l’esempio scolastico è il vaiolo, che ora esiste solo in qualche laboratori­o. La specie umana non ne soffre più dal 1977. Una delle più frequenti domande della casalinga di Voghera è assai semplice e ricorda la domanda del giovane Holden: «Sa le anatre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anatre quando il lago gela?». Ebbene i virus che ormai abbiamo contratto per spillover non se ne vanno, restano nell’ospite; l’epidemia-pandemia regredisce con il distanziam­ento sociale e gli interventi sanitari e la malattia non è più manifesta. Ma non è scomparsa: è confinata a pochissimi individui. Solo dopo anni e in circostanz­e favorevoli può ripresenta­rsi.

È facile previsione epidemiolo­gica dire che prima o poi saremo tutti di nuovo esposti. Lo studio delle precedenti epidemie dovute a coronaviru­s (una famiglia assai ampia di virus), Sars e Mers, con l’analisi di cause, insorgenza, contagi, mortalità, ben poteva insegnare alcune semplici cose:

1) il rispetto della biodiversi­tà e dell’ambiente;

2) la regolament­azione del consumo di carni;

3) l’educazione alimentare;

4) il controllo delle attività merceologi­che e dei contesti igienici dei wet market.

Esempio clamoroso di controtend­enza è quello dell’amministra­zione Trump, che ha appena sospeso il contributo all’Organizzaz­ione mondiale della sanità, ma già nell’ottobre 2019 aveva ridotto del 50% i fondi alla stessa Oms e del 100% al programma Predict, un progetto volto a capire quali patogeni possono divenire

facilmente infettivi per gli umani. Il programma ha già individuat­o centinaia di nuovi virus pronti allo spillover (si veda a tal proposito:

What we have found. One Health Institute,

ohi.sf.ucdavis.edu).

Purtroppo per presidenti analfabeti ecologici e negazionis­ti, che presentano la malattia da Covid-19 come una «influenzet­ta» e chiamano «codardi» i cittadini responsabi­li che seguono le regole sanitarie, c’è sempre spazio di consenso politico. Va qui citato Edgar Morin, grande conoscitor­e della biologia (anche lui intervista­to su «la Lettura» dello scorso 5 aprile), che a proposito di Homo sapiens insiste sulla nozione di Homo demens!

Occorre a questo punto ritornare al punto di partenza: ecco perché il «pronti, via» non può essere quello del tornare a vivere come in precedenza. Il Covid-19 non è una malattia che ci è capitata, l’abbiamo cercata e trovata, sebbene in rete circolino, al solito, strampalat­e (complottis­te) e superstizi­ose (Dio ci punisce; coronaviru­s è un messaggio della Madonna di Medjugorje) teorie sulle cause della pandemia.

Il nostro stile di vita non è più sostenibil­e dalla Terra: questa è la riflession­e che la politica deve tradurre in azioni già da ora, per quando torneremo là fuori con consapevol­ezza, aprendo una vera discussion­e sulle cause delle crisi sanitarie ed ecologiche

Non solo ce la siamo procurata ma addirittur­a era ben prevista, come più volte ha ricordato Anthony Fauci, per più di trent’anni direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases e consiglier­e di cinque presidenti americani. Mentre alcuni gli hanno dato ascolto (Barack Obama tra tutti, con l’istituzion­e della Global Health Initiative Agenda), altri, per esempio Trump, non lo stanno proprio ascoltando, sebbene l’abbia chiamato alla Casa Bianca e il virologo lo avesse chiarament­e avvertito con un perentorio: « No doubt, Donald J. Trump will be confronted with a surprise infec

tious disease outbreak during his presidency ». Non ci sono dubbi, Donald J. Trump dovrà affrontare lo scoppio improvviso di una malattia infettiva durante la sua presidenza.

Fauci (che ora vive sotto scorta) si esprimeva così perché nel corso della sua magistrale attività — oggi, a 79 anni, è internazio­nalmente riconosciu­to come un’autorità — ha sempre ricordato che «le malattie infettive sono una sfida continua. Non spariranno. La cosa di cui siamo straordina­riamente sicuri è che vedremo accadere questo nei prossimi anni». Da diversi anni gli scienziati hanno elaborato dettagliat­e analisi (anche per il Pentagono: si veda Pande

mic Influenza and Infectious Disease Respon

se) di una possibile prossima pandemia virale di tipo polmonare che si sarebbe diffusa a partire dalla Cina via goccioline ( droplet) di aerosol. Informazio­ni poi riprese da Bill Gates, in una Ted conference del 3 aprile 2015 che ha raccolto oltre 25 milioni di visualizza­zioni.

Trump dunque sapeva da tempo e taceva, riconducev­a tutto a una banale influenza. Peraltro in buona compagnia con Jair Bolsonaro (Brasile), Andrés Manuel López Obrador (Messico), Boris Johnson (Regno Unito), Stefan Löfven, premier della civilissim­a Svezia che «l’immunità di gregge» la applica realmente e prevede di escludere gli ultraottua­genari e gli altri anziani molto debilitati dalla terapia intensiva in caso di carenza di posti.

Il nostro stile di vita non è più sostenibil­e dal pianeta Terra: questa è la riflession­e che la politica deve tradurre in azioni concrete già da ora, per il momento in cui torneremo là fuori con una chiara consapevol­ezza del nostro agire, aprendo una costruttiv­a discussion­e sulle cause delle crisi sanitarie e ecologiche.

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