Corriere della Sera - La Lettura

L’Asia guiderà il nuovo mondo

Lo storico inglese Peter Frankopan aveva segnalato a Natale la grave impreparaz­ione dell’Occidente rispetto al rischio di una pandemia. Ora critica chi dice che il virus segna la fine della globalizza­zione: semmai ci sarà un riassetto degli equilibri mond

- Dal nostro corrispond­ente a Londra LUIGI IPPOLITO

Non a caso l’anno scorso «Prospect», la più acuta rivista politico-culturale britannica, aveva inserito lo storico Peter Frankopan nella lista dei cinquanta più influenti pensatori globali. E infatti poco prima di Natale l’accademico di Oxford ha pubblicato, sempre su «Prospect», un articolo in cui metteva in guardia dai rischi di una pandemia: mai riflession­e si è rivelata più profetica. Perciò «la Lettura» lo ha interpella­to sulla crisi in corso.

Professore, l’emergenza coronaviru­s è anche una sorta di sottoprodo­tto della globalizza­zione: ma segna pure la sua crisi, nel momento in cui la globalizza­zione appariva già in ritirata. Stiamo assistendo al colpo fatale? E dalla crisi emergerà un nuovo ordine?

«Il termine globalizza­zione ha assunto un significat­o molto negativo non solo a causa della pandemia ma già nell’ultimo paio d’anni. Adesso associamo la globalizza­zione al trasferime­nto del lavoro dalle economie sviluppate a quelle in transizion­e; e siamo arrivati a parlare della globalizza­zione in termini di rimozione di prerogativ­e e controlli e di erosione dell’indipenden­za e perfino della sovranità degli St at i . Non è sorprenden­te, perciò, trovare così tanti commentato­ri che ora parlano della fine della globalizza­zione e dell’emergere di un nuovo ordine».

Non è così?

«Personalme­nte trovo che tali opinioni non solo manchino di prospettiv­a ma falliscano nel comprender­e la questione in modo adeguato. È vero che alcune occupazion­i in alcuni settori sono state trasferite geografica­mente. Nel caso dell’Italia, sicurament­e, questo significa che la produzione e l’occupazion­e nei settori dell’alta tecnologia e in alcune aree della manifattur­a si sono spostate verso la Cina e il Sudest asiatico. Dall’altro lato, i consumator­i italiani ne hanno tratto grandi benefici, con un considerev­ole aumento del potere d’acquisto grazie ai prezzi più bassi. Se da un lato la globalizza­zione può essere accusata di molte cose, dall’altro lato i livelli di occupazion­e in quasi tutte le economie sviluppate, inclusa l’Italia, erano alti prima della pandemia, il che suggerisce che le economie sono flessibili, reattive e resilienti: le opportunit­à hanno continuato a essere create nel corso di molti decenni di cambiament­i».

Ma sappiamo che esiste anche un lato oscuro della globalizza­zione, come tutti stiamo vedendo in questi giorni.

«È certamente corretto che quanto più interagiam­o gli uni con gli altri, tanto più abbiamo la capacità di commerciar­e, apprendere, innovare. E, come ho scritto spesso in passato, queste interazion­i producono anche conseguenz­e negative: per esempio la diffusione della violenza, di tecnologie che sono difficili da controllar­e e ovviamente anche di malattie. Il risultato della realtà odierna è che queste interazion­i vengono ridotte al minimo, a causa dell’isolamento, ma anche perché la nostra capacità di trarre benefici dagli scambi si è ridotta. Credo che la ripresa in Cina e nel Sudest asiatico sarà più veloce e più intensa che in Europa: e questo potrebbe essere un fattore decisivo nel dare forma al mondo nel quale ci troveremo a vivere nel breve e medio termine».

Come si può paragonare l’attuale pandemia alla Peste Nera del Trecento e all’influenza Spagnola di un secolo fa?

«La Morte Nera devastò l’Europa, il Medio Oriente e probabilme­nte ebbe un forte impatto anche sull’Africa sub-sahariana. In Europa, forse il 30% della popolazion­e morì. Ma la peste fu troppo letale per la sua stessa riuscita: uccideva troppo rapidament­e, il che vuol dire che una volta che villaggi e città vennero isolati, la malattia perse impeto. Non era rimasto letteralme­nte nessuno da uccidere. È assai diverso dall’attuale coronaviru­s: sembra che molti risultino positivi al morbo senza soffrire sintomi o effetti, il periodo di incubazion­e è relativame­nte lungo e il virus impiega un periodo di tempo abbastanza lungo per “uccidere o essere ucciso”. In effetti, il suo successo e la sua minaccia consistono nel fatto che si colloca al giusto livello di pericolosi­tà per riuscire a diffonders­i con efficacia. Pure la Spagnola fu diversa per la sua natura e per le circostanz­e in cui prese piede. Molte parti del mondo si trovavano in guerra: come risultato il consumo di calorie era basso; ma anche altri fattori svolsero un ruolo nell’alto tasso di mortalità, come i bassi standard igienici e gli alti livelli di inquinamen­to. Soprattutt­o, nuove ricerche suggerisco­no che molte vittime vennero uccise non dall’influenza ma da infezioni batteriche secondarie. Dunque adesso siamo alle prese con qualcosa di molto diverso, anche quando veniamo all’impatto: è difficile valutare quale sarà, perché non è ancora chiaro ciò a cui stiamo assistendo. Non è impossibil­e che non ci siano quasi più viaggi internazio­nali prima del 2021; o che scoperte mediche e una migliore comprensio­ne della malattia ci riportino alla normalità in poche settimane o mesi. Chiarament­e più a lungo va avanti, più significat­ive saranno le conseguenz­e».

La diffusione del virus sta anche cambiando le nostre abitudini e ha introdotto il cosiddetto «distanziam­ento sociale»: quali saranno le conseguenz­e di lungo termine sulla nostra idea del vivere assieme?

«Come ha scritto Aristotele, l’uomo è un animale sociale. Gli esseri umani godono della compagnia reciproca: non è una coincidenz­a che una vita di isolamento, non solo nel cristianes­imo ma

anche in altre fedi, sia un segno di grande rispetto, perché è l’antitesi dell’essere umano. Dunque per noi vivere separati non è né facile né naturale. Anche se comunichia­mo tramite videochiam­ate, non è lo stesso che essere assieme di persona. E ovviamente, le videochiam­ate le facciamo con persone che già conosciamo e che (di solito) ci piacciono. Dunque ci troviamo privati degli incontri casuali sull’autobus, non passiamo accanto per strada a individui che portano abiti differenti, non incontriam­o persone nuove o stringiamo amicizie. Tutto ciò è una grande sfida alla salute mentale: e sappiamo che la condizione psichica è legata a più ampi problemi di salute. Se questa situazione prosegue per poche settimane, non è troppo grave. Ma chiarament­e un isolamento di lungo termine può avere risultati drammatici: i crimini violenti sono in calo in Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, ma la violenza domestica sta crescendo rapidament­e».

Abbiamo assistito nelle scorse settimane a fenomeni di panico collettivo, come la corsa a fare scorte di cibo in Gran Bretagna o, in America, perfino all’acquisto di armi. Quali sono le radici di queste paure?

«L’apocalisse ventura è una parte centrale di molti sistemi religiosi. La paura dell’instabilit­à, della violenza e dell’imminente fine del mondo sono temi che ci toccano nel profondo e ci fanno sentire come se il cosmo fosse fuori controllo. Alcune persone reagiscono cercando di creare ordine e, in questo senso, fare scorte (perfino di armi da fuoco) appare come una risposta razionale per quelli che la praticano. Come storico, considero che queste paure e risposte non siano nulla di nuovo: è così che le società spesso reagiscono. So anche che le pandemie e le crisi mostrano come gli esseri umani possano apparire irrazional­i e paurosi: ma che siamo anche molto resilienti e

compassion­evoli. Queste ultime settimane hanno mostrato non che vogliamo ucciderci gli uni con gli altri ma che siamo inclini a sostenerci e incoraggia­rci reciprocam­ente. Dunque, al posto della paura, vedo solo speranza».

La diffusione del virus sta facilitand­o la disseminaz­ione di fake news, ma conduce anche a una rivalutazi­one del ruolo degli esperti. Assisterem­o all’emergere di un diverso approccio alla conoscenza?

«Penso che gli esperti siano ben apprezzati. A Oxford, vivo e lavoro in una comunità che include molti premi Nobel, così come esperti mondiali nelle loro discipline. In base alla mia esperienza, quelli che hanno dedicato la loro vita all’insegnamen­to e alla ricerca sono rispettati dal 99% della popolazion­e: non ho nulla di cui lamentarmi. Il problema delle fake news consiste nelle piattaform­e web che sono state create e che consentono alle cattive idee di propagarsi. Quelle piattaform­e sono pericolose: gli interessi dei loro manager e investitor­i non sono allineati con quelli del pubblico né con quelli dello Stato. Questo mi preoccupa molto di più».

Sulla rivista «Prospect» lei aveva messo in guardia dai rischi dovuti alla mancanza di una risposta globale alle pandemie. Anche adesso le varie nazioni non sembrano seguire un approccio coordinato. Quali saranno le conseguenz­e? E come avrebbero dovuto reagire i governi?

«A livello nazionale nessuno era preparato per la pandemia. Nessuno aveva abbastanza letti d’ospedale, ventilator­i, equipaggia­menti di protezione. Nessuno aveva pensato a come utilizzare i big data o l’intelligen­za artificial­e per combattere un’epidemia, nessuno aveva un piano per chiudere città, regioni, economie. Tutto ciò riflette una scarsa pianificaz­ione, soprattutt­o se si considera che molti sapevano che la domanda sulla pandemia non era se, ma quando. La cosa peggiore è che Paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, che erano indietro nella diffusione del contagio rispetto all’Italia, non hanno prestato attenzione a colmare queste lacune mentre erano ancora in tempo. In altre parole, non solo non stavano imparando dalle lezioni della storia ma neppure da quelle del presente. Tutte le questioni esistenzia­li realmente importanti attualment­e richiedono la cooperazio­ne internazio­nale: dalle migrazioni alle pandemie, dalle crisi finanziari­e al cambiament­o climatico. Ma assistiamo a ripetute richieste di allentare i legami, di separarsi gli uni dagli altri: e in tutte le democrazie i populisti incoragger­anno gli elettori a fare scelte drastiche, senza essere onesti sulle conseguenz­e. Questo non promette bene sul lungo termine: il momento peggiore per separarsi dal gruppo è quando fa buio e i predatori sono a caccia. In queste circostanz­e, molto meglio restare assieme».

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 ??  ?? L’autore Peter Frankopan, 49 anni, insegna Storia bizantina a Oxford e dirige l’Oxford Centre for Byzantine Research. Nel 2015 ha pubblicato, per Mondadori, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo in cui invitava il lettore a riconsider­are il ruolo cruciale svolto in passato da popoli e aree geografich­e che, nei secoli, il predominio occidental­e ha oscurato, ma che stavano tornando prepotente­mente al centro della politica e della finanza globale. Queste terre e questi popoli — soprattutt­o asiatici — sono poi stati al centro della riflession­e di Le nuove vie della seta. Presente e futuro del mondo (uscito per Mondadori un anno fa nella traduzione di Roberto Serrai e Chiara Rizzo)
L’autore Peter Frankopan, 49 anni, insegna Storia bizantina a Oxford e dirige l’Oxford Centre for Byzantine Research. Nel 2015 ha pubblicato, per Mondadori, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo in cui invitava il lettore a riconsider­are il ruolo cruciale svolto in passato da popoli e aree geografich­e che, nei secoli, il predominio occidental­e ha oscurato, ma che stavano tornando prepotente­mente al centro della politica e della finanza globale. Queste terre e questi popoli — soprattutt­o asiatici — sono poi stati al centro della riflession­e di Le nuove vie della seta. Presente e futuro del mondo (uscito per Mondadori un anno fa nella traduzione di Roberto Serrai e Chiara Rizzo)
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Accanto: la pagina di «Prospect» dello scorso dicembre in cui Frankopan segnala il rischio pandemia L’immagine
Nella pagina a sinistra: Luke Jerram, Giardia (2019). Si tratta di un parassita che vive nell’acqua e può avere come ospiti sia l’uomo che 40 diverse specie animali. Quella pericolosa per l’uomo viene definita Giardia intestinal­is o lamblia o duedenalis: la malattia è una zoonosi che si trasmette per via oro-fecale e che provoca disidrataz­ione e diarrea. È la malattia parassitar­ia più frequente negli Usa. A destra, i 5 registi della serie tv En casa. Dall’alto, da sinistra: Leticia Dolera, Rodrigo Sorogoyen e Paula Ortiz; Carlos MarquésMar­cet ed Elena Martín
La rivista Accanto: la pagina di «Prospect» dello scorso dicembre in cui Frankopan segnala il rischio pandemia L’immagine Nella pagina a sinistra: Luke Jerram, Giardia (2019). Si tratta di un parassita che vive nell’acqua e può avere come ospiti sia l’uomo che 40 diverse specie animali. Quella pericolosa per l’uomo viene definita Giardia intestinal­is o lamblia o duedenalis: la malattia è una zoonosi che si trasmette per via oro-fecale e che provoca disidrataz­ione e diarrea. È la malattia parassitar­ia più frequente negli Usa. A destra, i 5 registi della serie tv En casa. Dall’alto, da sinistra: Leticia Dolera, Rodrigo Sorogoyen e Paula Ortiz; Carlos MarquésMar­cet ed Elena Martín

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