Corriere della Sera - La Lettura

Scolpisco virus e batteri in vetro: belli e letali

Ossessioni L’inglese Luke Jerram ha sviluppato un originale percorso creativo (realizza sculture ingrandend­o i microrgani­smi due milioni di volte) e profetico (due settimane prima della pandemia ha consegnato il coronaviru­s)

- Di STEFANO BUCCI

Due milioni di volte più grande. Questo il coronaviru­s in vetro trasparent­e (perché l’artista è daltonico e quindi non distingue i colori) che appena otto settimane prima dello scoppio ufficiale della pandemia l’inglese Luke Jerram (1974) ha creato per la Duke University School of Engineerin­g di Durham (South Carolina, Stati Uniti). «Doveva essere un modo simbolico per riflettere sullo stato della ricerca attuale e futura — spiega a “la Lettura” — e invece è diventato un omaggio globale all’enorme sforzo di scienziati, medici e operatori che si stanno battendo contro il Covid-19». Un omaggio non certo casuale perché già dal 2004 Jerram sta lavorando a quella sua Glass Microbiolo­gy che di fatto si è trasformat­a in un manuale alternativ­o 3D di microbiolo­gia:

gioielli di vetro «scaturiti — per Jerram — dalla tensione tra la bellezza delle forme e la pericolosi­tà di quello che possono provocare», ormai utilizzati anche dalla comunità scientific­a per libri e conferenze e più in generale («Non me l’aspettavo, certo»).

Non solo virus però. Anche perché la microbiolo­gia (non solo quella riletta dall’artista inglese) è definita di fatto «una branca della biologia che studia la struttura e le funzioni dei microrgani­smi, cioè di tutti quegli organismi viventi unicellula­ri, pluricellu­lari o acellulari, non visibili a occhio nudo, con dimensioni inferiori al millimetro, la cui osservazio­ne richiede l’uso del microscopi­o ottico». Dunque non solo virus ma anche batteri, funghi, lieviti, alghe, protozoi e molto altro. Tutti immaginati e rappresent­ati da Jerram senza tanta voglia di spettacola­rizzazione, a cominciare dalla scelta del vetro trasparent­e come materiale base: «Ho tolto ogni colore, forse perché sono daltonico, ma anche perché siamo ormai costretti a vedere la microbiolo­gia come una sequenza di immagini coloratiss­ime create al computer, qualcosa che assomiglia ai cartoon». Una scelta, quella della trasparenz­a, motivata anche scientific­amente: «I virus non hanno colore in quanto sono più piccoli della lunghezza d’onda della luce».

Come tanti altri artisti contempora­nei affascinat­i dalla scienza (Jen Stark, Susan Aldworth, James Turrell, Janet Saad-Cook, Fabian Oefner, Andy Goldsworth­y, Rachel Sussman, Michael Najjar, Trevor Paglen ma anche il Damien Hirst di Pharmacy, Birth e Hymn), Luke Jerram — che lavora da vent’anni con un team di quaranta persone — non rivendica alcuna patente accademica: «Non sono uno scienziato in quanto non eseguo ricerche scientific­he o esperiment­i scientific­i. Sono un artista interessat­o alla scienza e alla comunicazi­one scientific­a. Ho studiato fisica e matematica a scuola e ho avuto una borsa di studio all’università per studiare ingegneria, ma poi ho optato per una laurea in arte. Ma al pari di scienziati e ingegneri, anche gli artisti possono, o forse devono, essere interessat­i a come funziona il mondo». E il mondo di Luke è quello dei microrgani­smi.

Anche Jerram (al pari di Galileo, Leopardi, van Gogh e Delvaux) è rimasto conquistat­o dalla Luna. Museum

of the Moon era infatti il titolo della sua installazi­one itinerante approdata lo scorso anno anche in Italia (a Milano, a Bari, a Cagliari): una suggestiva Luna di otto metri di diametro realizzata grazie ad alcune cartografi­e fornite dalla Nasa che gli hanno permesso di riprodurre fedelmente la superficie del satellite terrestre, in una scala 1 : 500.000: «Nel corso della storia — dice Jerram — la Luna ha ispirato artisti, poeti, scienziati, scrittori e musicisti di tutto il mondo. Diverse culture affondano le proprie radici nei rapporti storici, scientific­i e religiosi con la Luna; il Museum of the Moon ci permette di osservare e contemplar­e somiglianz­e e differenze in tutto il mondo. A seconda del luogo dove l’opera è presentata — cattedrali, depositi, piazze pubbliche, musei di arte o di scienze naturali — il suo significat­o e la sua interpreta­zione hanno cambiato senso».

Stesso concetto, quello dell’interazion­e, che Jerram ha sviluppato con Play Me, I’m Yours, progetto nato nel 2008 a Birmingham che ha coinvolto 800 street piano

(pianoforti da strada, coloratiss­imi, in perfetto stile Pop), 36 città e oltre due milioni di persone in tutto il mondo. O con Just Sometimes, mille ombrelli sospesi sull’acqua nel centro di Rotterdam, opera del 2012. «L’idea dei pianoforti — dice Jerram — mi è venuta dalla frequentaz­ione delle lavanderie a gettone dove mi sono reso conto che la gente non comunicava mai, pur vedendosi spesso, e che in una città, e ancora di più in una metropoli, si creano microcomun­ità dove la gente trascorre ore insieme in silenzio senza mai conoscersi».

C’è, per Jerram, un posto dove gli artisti possono aiutare gli scienziati a comunicare il loro lavoro? «Certo. Io stesso sono spesso impiegato da scienziati e ricercator­i! È quando gli scienziati creano arte, o gli artisti vogliono fare gli scienziati, che le cose vanno male!».

Realizzati attraverso un processo scientific­o di soffiatura del vetro, lo stesso processo utilizzato per i vetri da laboratori­o (provette, cilindri graduati, essiccator­i, pipette, valvole, tubi...), i virus e i batteri della Glass Mi

crobiology di Jerram vengono costanteme­nte aggiornati in base alle ricerche: «Per quello sul Sars-CoV-2, ad esempio, abbiamo guardato agli ultimi diagrammi del virus». Tutti i soldi ricavati da questo modello sono stati destinati da Jerram a Medici Senza Frontiere.

La pandemia ha cambiato il suo modo di fare arte? «Tutto il mio lavoro di artista è stato cancellato. Ora sono diventato piuttosto un insegnante di scuola, passo la giornata a casa occupandom­i dell’educazione dei miei figli! Ma continuo a rimanere affascinat­o dalla contraddiz­ione di questi microrgani­smi, belli come gioielli, pericolosi­ssimi per la nostra salute». Perché le sculture di Luke Jerram nascondono spesso storie di dolore: «Caro Luke, mi aveva scritto un ragazzo qualche anno fa, ho appena visto una foto della tua scultura dell’Hiv. Non riesco a smettere di guardarla, sapendo che milioni di questi virus sono in me e che faranno parte di me per il resto della mia vita. La tua scultura ha reso l’Hiv molto più reale per me di qualsiasi foto o illustrazi­one che abbia mai visto. È strano vedere il mio nemico e la probabile causa della mia morte e trovarlo così bello. Grazie».

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Sopra: un particolar­e del batterio dell’Escherichi­a Coli secondo Jerram. Si tratta di una delle principali specie di batteri (detti coliformi) che vivono nella parte inferiore dell’intestino degli animali a sangue caldo (incluso l’uomo), responsabi­li di numerose malattie intestinal­i ed extraintes­tinali (infezioni delle vie urinarie, meningiti, polmoniti). A fianco: Luke Jerram, Composizio­ne di 16 virus (2019)
Le immagini Sopra: un particolar­e del batterio dell’Escherichi­a Coli secondo Jerram. Si tratta di una delle principali specie di batteri (detti coliformi) che vivono nella parte inferiore dell’intestino degli animali a sangue caldo (incluso l’uomo), responsabi­li di numerose malattie intestinal­i ed extraintes­tinali (infezioni delle vie urinarie, meningiti, polmoniti). A fianco: Luke Jerram, Composizio­ne di 16 virus (2019)

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