Corriere della Sera - La Lettura

Vassilikós: prima i poveri o sarà la fine

Visto dalla Grecia Scrittore e deputato, parla l’autore di «Z». «Stare a casa? No, stare in piedi»

- Di ANDREA NICASTRO

«Itedeschi, i tedeschi. Cosa stanno combinando all’Europa? Noi greci abbiamo sentito sulla pelle il loro atteggiame­nto nella crisi del 2008. Mancano di empatia. Sono rigidi e opportunis­ti. Sembrano guidati da egoismo e prepotenza. Quando il debito era incontroll­abile, però, si sapeva chi avesse rubato e truccato i conti. Allora il dito dei tedeschi si puntò verso i nostri governanti. Oggi non è possibile. Il nemico non ha un volto. Il virus può essere a New Delhi come a Berlino. La colpa (concetto che piace tanto al Nord Europa) è nel nostro essere fragili e umani. Basterebbe accettare questo per evitare di trascinare l’Europa nel baratro della recessione. La Germania invece che fa? Nascosta dietro un pugno di Paesi come l’Olanda, i baltici e pochi altri, reagisce con le categorie mentali del 2008: noi siamo meglio di voi, quindi flagellate­vi, peccatori. Non si rendono conto che la pace, fortunata e feconda, di cui ha goduto il continente dipende dalla decisione di stare assieme? Se ci dividiamo, se il Sud sprofonda nella miseria com’è successo alla Grecia dopo il 2008, l’Europa si romperà».

Con Z, l’orgia del potere Vassilis Vassilikós fu profetico. Seppe raccontare come una democrazia perda sé stessa sino a trasformar­si in dittatura. E lo descrisse in forma di romanzo, prima che succedesse davvero. Il libro uscì nel 1966, un anno prima del colpo di Stato dei colonnelli. C’era la guerra fredda e l’anticomuni­smo fece

da detonatore. Oggi l’egemonia americana è in declino, ma il virus sa alzare i confini tra persone e Paesi.

Vassilikós, pensa che la libertà verrà sacrificat­a con la scusa della salute?

«All’inizio della pandemia poteva esserci un problema di panico, capace, magari, di scardinare alcune garanzie. Adesso abbiamo più o meno capito cosa dobbiamo fare e siamo meno disposti a cedere sul piano dei diritti. Il valore della libertà e dello Stato di diritto non sono sotto attacco, almeno in gran parte dell’Europa occidental­e. Piuttosto dobbiamo preoccupar­ci di chi non lavora più e non ha lo stipendio. Come sempre. Anche prima del virus. Potremo prendere decisioni autoritari­e che avvantaggi­no pochi o fare scelte democratic­he per difendere i molti. Potremo sostenere lo stato sociale e quindi la capacità di reggere una società economicam­ente diseguale o privatizza­re in modo che le differenze diventino più grandi. Certo il virus rende la scelta più urgente, ma è la medesima che avevamo prima di lottare per la sopravvive­nza alla malattia».

Avrebbe mai immaginato una situazione come questa?

«No. A 85 anni credevo di avere visto abbastanza eventi eccezional­i: la Seconda guerra mondiale, la guerra civile in Grecia, la dittatura dei colonnelli, l’esilio in Italia, il ritorno alla democrazia, la nascita dell’Europa e la crisi economica. Tutti passaggi difficili che sono co

stati la vita a tanti amici e a tanti sconosciut­i. In ognuna di quelle occasioni, però, sapevo da che parte stare: c’era un nemico e c’era chi aveva il coraggio di resistere. Se potevo, se ci riuscivo, mi davo da fare per partecipar­e alla resistenza. Io come chiunque. Adesso, a parte sanitari e scienziati, l’unico modo per lottare è stare in casa».

E le dispiace?

«Mi sento in gabbia, come penso tutti».

Neppure un lato positivo?

«Ho ricomincia­to la mia vita di scrittore: leggo, scrivo, discuto (al telefono). Ho scritto anche un racconto su questo periodo: lei è incinta, vorrebbero fare un matrimonio in chiesa prima che si veda la pancia, ma le funzioni sono proibite. I parenti, il pope, ognuno reagisce a modo suo. Mi sono divertito a scriverlo...».

Parla come se si fosse già pentito d’aver accettato, pochi mesi fa, di diventare deputato della sinistra di Syriza.

«Questa prigionia è una parentesi, ma non sono affatto pentito della politica. L’ho aspettata per tanto tempo. Ricordo quando Enrico Berlinguer decise di candidare nelle liste del Partito comunista Alberto Moravia che aveva più o meno la mia età. Sono orgoglioso di seguire quelle orme e anche di avere superato il tabù che mi impediva di correre per qualche elezione».

Tabù?

«Sono cresciuto vedendo mio padre impegnarsi per il

partito liberale di Georgios Papandreou, tenere comizi di giorno, riunioni di notte e poi perdere per pochi voti. Ho scritto le prime poesie sul retro dei volantini elettorali che si accumulava­no in casa. Era il mio eroe e ogni volta era un trauma assistere al suo fallimento. Così quando l’anno scorso Alexis Tsipras mi ha offerto il posto di capolista nazionale, ho accettato subito. Era un posto sicuro dove la maledizion­e dei Vassilikós non mi avrebbe raggiunto. Mi sento in debito verso il partito di Syriza e verso gli elettori, così mi sono buttato nell’attività parlamenta­re al massimo delle forze. Ma sa che cosa mi riesce più difficile? Capire la lingua della politica».

Ci sta riuscendo?

«A fine legislatur­a le mando un report».

Come vede il futuro dell’Europa imprigiona­ta dal coronaviru­s?

«Il coronaios, come chiamiamo noi greci il virus, ha la forza di distrugger­e l’Unione europea. Invece di “restiamo a casa” noi di Syriza diciamo “restiamo in piedi”. Siamo preoccupat­i per il “dopo”. Ci vuole un piano per sostenere i redditi e l’economia reale. Se non arriverann­o fondi dai Paesi più ricchi attraverso una qualche forma di debito continenta­le, l’Ue è pronta a frammentar­si sotto la pressione delle rivolte sociali. Se prevarrà l’egoismo criminale che noi greci abbiamo visto in azione durante la crisi finanziari­a, l’Europa non ha speranza. E sarà responsabi­lità della Germania».

A gennaio è uscito per Argo un suo libro degli anni Sessanta: «Il racconto di Giasone». Come mai?

«Non era mai stato pubblicato in italiano e Gilda Tentorio, la traduttric­e, ha voluto fortemente farlo. Mi ha commosso. D’altra parte io l’avevo scritto a 18 anni sotto l’influsso del Teseo di André Gide».

Allora lei raccontava di Giasone che sfugge ai doveri del trono. Ora che di anni ne ha 85, il suo percorso è inverso a quello del protagonis­ta: invece di scappare accetta di impegnarsi in politica. Chiude un cerchio?

«Forse, ma per la verità sono sempre stato uno scrittore politico. I miei modelli erano Camus e Sartre. Poi Calvino. E in più, rispetto a loro, ho il vantaggio di essere greco».

Perché un vantaggio?

«In italiano la nonna del romanzo è la novella. In altre lingue si parla di novel, novela, nouvelle. La radice è sempre “novità”. In greco no. Noi chiamiamo il romanzo mithistori­ma, che deriva dalla somma di storia e mito. Per noi sono più importanti le radici, rispetto alle novità. Per questo sono sicuro che il coronaios non farà altro che mettere a nudo quel che già era nelle cose: se l’Europa esiste davvero, sopravvive­rà e diventerà più forte. Se invece era solo un club di affaristi, davanti alla malattia evaporerà e dovremo ricomincia­re ad imparare a convivere da capo».

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VASSILIS VASSILIKÓS Il racconto di Giasone. Ricordi dal tempo di Chirone Traduzione di Gilda Tentorio ARGO Pagine 150, € 14

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