Corriere della Sera - La Lettura

Un lombardo da prendere in parola

Opera omnia/1 Nasceva cent’anni fa Nelo Risi, autore ma anche regista (come il fratello Dino). La raccolta dei suoi testi ne ripropone lo slancio etico di matrice illuminist­a: «Scrivere è un atto politico» e la franchezza deve prevalere sulla metafora

- Di ROBERTO GALAVERNI

Non sempre i poeti sono i migliori lettori di sé stessi. Quando questo accade, tuttavi a, è di f f i c i l e s uperarli i n profondità e precisione. Ci sono alcuni versi di Nelo Risi, ad esempio, che davvero possono valere come un eccellente appoggio per comprender­e la sua opera in versi. Provengono da un breve testo di poetica collocato in apertura a uno dei suoi libri più belli, Di certe cose, uscito nel 1970 (lo si può trovare nel volume Tutte le poesie, ben curato da Maurizio Cucchi per Mondadori). Eccoli qui: «Se occorre arte perché siano vere/ le parole rare/ forse più ne occorre/ per essere stilisti dell’usuale». Che cosa possiamo ricavarne? Anzitutto che per essere uno stilista dell’usuale, per restituire una qualche verità alla lingua d’uso comune e, insomma, per rendere davvero sensate l e parol e pi ù consunte, è necessari a un’arte estremamen­te raffinata. Occorrono tecnica, bravura, mestiere. E se questo resta vero anche al di là della poesia di Risi, nel suo caso porta comunque dritto al cuore del suo sistema poetico.

Nato a Milano cent’anni fa, il 21 aprile 1920 (è mancato nel 2015 a Roma, dove viveva dal ’55), Risi appartiene alla cosiddetta quarta generazion­e del nostro Novecento poetico, che poi è la prima a tutti gli effetti post-ermetica e post-montaliana. Come molti compagni di strada, affonda le radici nell’immediato secondo dopoguerra, se non negli anni della guerra stessa, e porta dunque con sé ab origine un senso della responsabi­lità civile, della collettivi­tà, della storia e, insieme, di una comunicazi­one il più possibile franca ed efficace, che non appartenev­ano ai maestri anche di poco più anziani. Di qui la propension­e verso una lingua che non fosse a priori letteraria o poetica. In questa direzione, tra anni Sessanta e Settanta trasferirà di peso nella sua poesia anche i linguaggi tecnici e settoriali, burocratic­i, politici, pubblicita­ri, con tutta la difficoltà di conferirgl­i una qualche sensatezza non fittizia o di superficie.

Sta proprio qui il nodo della questione, che a questo punto non è solo tecnica ma anche e soprattutt­o estetica e morale: riscattare i propri materiali espressivi a una qualche vitalità. «In questa fine millennio», ancora si chiedeva il poeta in una sua tarda Giustifica­zione, «dove sta la poesia? La poesia sta dove la lingua vive». Cucchi, che di Risi è stato l’interprete migliore assieme a Giovanni Raboni, conclude la sua introduzio­ne parlando di «una poesia che rimarrà tra le più alte testimonia­nze autentiche di un’epoca».

Non sembri uno sproposito. Risi non è soltanto un poeta impegnato («scrivere è un atto politico», dice un suo verso), ma un poeta profondame­nte scandalizz­ato dai mali e dalle perversion­i della storia, un poeta indignato per lo scadimento della vita civile, per le ingiustizi­e della società, per le insufficie­nze non dell’uomo ma di uomini determinat­i e delle loro azioni. Di conseguenz­a, la storia e la cronaca dell’Italia di quegli anni (e non solo) gremiscono i suoi versi come non è dato vedere nella maggioranz­a dei poeti coevi.

Del resto è a tutti gli effetti un poeta lombardo, e come tale porta sempre con sé la propria colonna infame (a cui ha direttamen­te dedicato una poesia e uno splendido film; come il fratello Dino, anche Nelo è stato un regista), il che poi significa una fortissima istanza etica di derivazion­e illuminist­a, il richiamo alla giustizia e al giudizio, una dominante razionale e progettual­e, ma soprattutt­o la necessità costante di giustifica­re pubblicame­nte la propria scrittura.

Detto questo, si deve però aggiungere che Risi è un lombardo incandesce­nte e sulfureo, assolutame­nte non accomodant­e. «Sono per una poesia civile fatta da un uomo pubblico in un tempo reale, sono per un linguaggio tutto teso che sia di per sé azione», ha scritto ancora. E appunto per dare corpo a quest’idea di pronto intervento poetico, che da Arthur Rimbaud in poi è stata anche un mito (anche a lui Risi ha dedicato un film), ha cercato con ogni mezzo di togliere autonomia alla lingua, vale a dire, come tante volte è stato ripetuto, di privarla del suo spessore metaforico per renderla invece il più diretta possibile. Nei componimen­ti epigrammat­ici e sentenzios­i, anzitutto, in cui ha dato forse il suo meglio, anche se non esauriscon­o il suo ampio spettro espressivo e tematico. Con la sua poesia ironica, tagliente, anche sarcastica, ma pur sempre reattiva e appassiona­ta, più di ogni altra cosa Risi ha voluto essere preso in parola. E come ha scritto giustament­e Raboni, della sua poesia «ci si può fidare».

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 ??  ?? NELO RISI Tutte le poesie A cura di Maurizio Cucchi, con un’intervista a Edith Bruck MONDADORI Pagine 521 € 22, ebook € 9,99 In libreria dal 19 maggio
L’autore Nelo Risi si laureò in Medicina ma non esercitò mai. Durante la guerra combattè sul fronte russo e poi fu internato in Svizzera. Dopo la Liberazion­e collaborò al «Politecnic­o», all’«Avanti!» e alla Rai di Milano, visse a Parigi e, dal 1955, a Roma. Regista cinematogr­afico (come il fratello Dino), realizzò documentar­i, telefilm, inchieste per la tv e film (tra i quali Andremo in città, 1966, da un racconto della moglie Edith Bruck, e Un amore di donna, 1987). Tra i suoi libri di versi: Le opere e i giorni (Scheiwille­r, 1941), L’esperienza (Meridiana, 1948) e, per Mondadori, Polso teso (1956 e 1973), Poesie scelte (1943-1975), a cura di Giovanni Raboni (1977), l’autoantolo­gia con inediti Il mondo in una mano (1994) e Ruggine (2004)
NELO RISI Tutte le poesie A cura di Maurizio Cucchi, con un’intervista a Edith Bruck MONDADORI Pagine 521 € 22, ebook € 9,99 In libreria dal 19 maggio L’autore Nelo Risi si laureò in Medicina ma non esercitò mai. Durante la guerra combattè sul fronte russo e poi fu internato in Svizzera. Dopo la Liberazion­e collaborò al «Politecnic­o», all’«Avanti!» e alla Rai di Milano, visse a Parigi e, dal 1955, a Roma. Regista cinematogr­afico (come il fratello Dino), realizzò documentar­i, telefilm, inchieste per la tv e film (tra i quali Andremo in città, 1966, da un racconto della moglie Edith Bruck, e Un amore di donna, 1987). Tra i suoi libri di versi: Le opere e i giorni (Scheiwille­r, 1941), L’esperienza (Meridiana, 1948) e, per Mondadori, Polso teso (1956 e 1973), Poesie scelte (1943-1975), a cura di Giovanni Raboni (1977), l’autoantolo­gia con inediti Il mondo in una mano (1994) e Ruggine (2004)

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