Corriere della Sera - La Lettura

Africa al bivio Morire di fame o di virus?

- Di ALESSANDRA MUGLIA

È una delle voci più originali del continente. Ecco che cosa vede Igoni Barrett dall’«esilio» olandese

Restare chiusi in casa non è facile per nessuno, ma trovarsi intrappola­ti nell’appartamen­to della suocera, e per di più all’estero... «Mi salva la scrittura — sorride Igoni Barrett —. Sto lavorando a un romanzo, una storia familiare ambientata nel Delta all’epoca di Ken SaroWiwa, lo scrittore e attivista che pagò con la vita la sua sfida agli interessi della Shell e del dittatore Abacha. Passo quindi in un altrove gran parte della mia giornata. Ma quello che sta accadendo e il senso di straniamen­to che mi accompagna stanno influenzan­do il mio linguaggio. Un giorno ti svegli e non puoi più abbracciar­e un amico, andare al ristorante, volare a casa... Che il mondo potesse cambiare in pochi giorni era una prerogativ­a di film come Star Wars ».

Barrett è tra le voci più originali della nuova generazion­e di scrittori africani: originario proprio della regione del Delta, lo chiamano il cantore di Lagos, ma nella vita caotica e surreale della metropoli nigeriana riesce magistralm­ente a far vibrare il mondo e a toccare corde universali. Con Culo nero e L’amore è potere, o

almeno gli somiglia molto, editi in Italia da 66thand2nd, si è conquistat­o un seguito internazio­nale. «Sono bloccato qui e non so per quanto ancora — dice al telefono da Tilburg, cittadina olandese dov’è nata la moglie, Femke van Zeijl, pure lei scrittrice —. Abbiamo lasciato la nostra casa a Lagos il 1° marzo. Tre

giorni dopo il nostro arrivo in Olanda è scattato il lockdown. E anche la Nigeria ha chiuso i confini». I libri, però, non hanno frontiere.

«In effetti nelle ultime due settimane ho riscontrat­o un boom di lettori. Sono soprattutt­o giovani che hanno piratato i miei libri su siti illegali. Non sto guadagnand­o, ma ho un nuovo gruppo di estimatori della social

generation ».

Perpetua, Ma Bille, e gli altri protagonis­ti delle sue storie, un’umanità in affanno, sconclusio­nata, ferita, impegnata ogni giorno in mille acrobazie per cavarsela, per vivere e amare: gente come loro sarà in grado di affrontare la «tempesta»?

«Sono tutti molto preoccupat­i. Qui in Olanda la maggior parte delle persone hanno risparmi e welfare, da noi il problema per molti è cosa mettere in tavola. C’è paura e disperazio­ne. Non so per quanto tempo ancora il mio Paese potrà permetters­i il lockdown. Per una strana coincidenz­a, il 1° marzo è stato registrato il primo caso sia in Nigeria sia in Olanda. Dopo un mese e mezzo, l’Olanda ha contato 3 mila morti e Lagos soltanto 12. Le nostre autorità sono state proattive. Del resto abbiamo gestito ebola, sappiamo come comportarc­i con le epidemie. Poi, certo la barriera dell’età aiuta: in Nigeria il 60% della popolazion­e ha meno di 18 anni. All’inizio siamo stati favoriti dal fatto che il virus è partito infettando i viaggiator­i, pochi da noi. Ma ora sono

iniziati i contagi intercomun­itari e c’è stata una forte accelerazi­one delle infezioni. Il picco è previsto tra metà e fine maggio. Il prolungame­nto del lockdown pone un dilemma: meglio la morte sicura per fame o quella probabile per il virus?». Un dilemma tragico.

«I Paesi africani hanno un solo modo per evitare ai cittadini questa scomoda posizione: gestire meglio le risorse, fornire servizi di welfare, costruire reti di protezione sociale. Magari i nostri leader imparerann­o qualcosa da questa pandemia e faranno meglio nel futuro visto che in questo periodo non possono volare in Europa per curarsi e dipendono da malandati sistemi sanitari locali».

I «lockdown» funzionano se accompagna­ti da misure di assistenza straordina­rie, sennò risultano impraticab­ili per lunghi periodi. Ci sono segnali in questa direzione?

«Forse qualcosa sta cambiando in Nigeria grazie al virus. Per la prima volta il governo ha messo in campo un pacchetto di social welfare per i più vulnerabil­i: ha annunciato che devolverà l’equivalent­e di 50 euro alle famiglie più fragili. Ma come e a chi verranno erogati resta un mistero. Di buono c’è che molti Paesi africani sono abituati a convivere con le ricadute economiche delle epidemie: la vita della gente ha mantenuto una parvenza di normalità anche in quelle situazioni».

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