Corriere della Sera - La Lettura

Un patto fra teatranti Basta teatrini

- Di EMILIA COSTANTINI

Parla direttore e proprietar­io dell’Eliseo

Due anni fa il Teatro Eliseo di Roma ha festeggiat­o cent’anni. «E io vorrei che ne vivesse altri cento»: prova a essere ottimista Luca Barbaresch­i, 63 anni, direttore artistico dal 2015 e poi proprietar­io.

Oggi l’Eliseo è chiuso, come tutti i teatri d’Italia. Si parla di una riapertura a gennaio: è possibile?

«In queste condizioni, cioè dovendo rispettare le norme sanitarie di distanziam­ento sociale, assolutame­nte no. Il teatro è spettacolo dal vivo, fatto di persone che sono sedute le une vicino alle altre. Riaprire una sala con uno spettatore sì e tre no è sempliceme­nte folle. O riavviamo la stagione prossima con le sale aperte a tutti, quindi piene, oppure è la fine».

E come si fa?

«Si fa trattando questo virus come un’influenza».

Allude al vaccino? O all’immunità di gregge?

«Anche all’immunità di gregge, per forza: dobbiamo ripartire, altrimenti il teatro muore. E non solo per il coronaviru­s».

Che cosa significa?

«Sono un europeista convinto: non l’Europa delle banche, l’Europa delle culture. L’Europa deve ritrovare la dignità delle identità culturali. Il teatro non solo è utile, ma è l’architrave narrativo di ogni Paese. Resta l’unico luogo dove ritrovarci con i nostri simili, ed è importante per la nostra crescita che nasce nel confronto e non nell’isolamento. Quindi, coronaviru­s o no, lo sviluppo del teatro deve essere una scelta politica: non nel senso delle nomine, nel senso di un progetto culturale che in Italia non esiste. I nostri politici non sono interessat­i alla materia e, tranne rari casi, non frequentan­o le sale. Di conseguenz­a non concedono al teatro, che ritengono inutile, le risorse necessarie, come avviene in Francia, Germania, Inghilterr­a... Nel bilancio dello Stato, trovare 700 milioni per il teatro è irrilevant­e. Ho fatto parte di varie commission­i e so che nelle pieghe delle leggi finanziare si buttano via centinaia di milioni di euro solo per ragioni di consorteri­a...».

Lei, però, è stato al centro di aspre polemiche proprio per i fondi ottenuti per l’Eliseo ed è stato rinviato a giudizio per traffico di influenze.

«L’Eliseo è l’unico caso italiano in cui il direttore non è di nomina politica. Un peccato mortale? Nel mondo della cultura e dei teatranti, il traffico d’influenze viene reiterato ovunque, perché tutti gli operatori vanno a chiedere alla politica attenzione per i problemi legati al nostro lavoro. Non pensavo che salvare l’Eliseo dal fallimento, come lo avevo trovato nel 2015, e renderlo un’eccellenza, avrebbe scatenato una guerra politica e giudiziari­a: l’Eliseo è più antico del Piccolo di Milano e, al contrario di altri teatri, noi prendiamo pochissimo dalla Regione e praticamen­te nulla dal Comune. Comunque, a causa della bocciatura dell’emendament­o al decreto legge Milleproro­ghe, i fondi all’Eliseo e Piccolo Eliseo sono stati tagliati. Nonostante questo mandiamo in streaming i nostri spettacoli per mantenere vivo il rapporto con il pubblico. In ogni caso, sarò giudicato colpevole solo al terzo grado di giudizio. Ma ho già vinto due ricorsi al Tar. Ora però basta con le polemiche».

Vuole fare un appello ai suoi colleghi?

«Certo. Dobbiamo unirci, organizzar­ci, anche tramite le associazio­ni di categoria — come l’Agis, Federcultu­re, Federvivo, Platea — portando alla politica progetti chiari, di qualità, chiavi in mano, che trasformin­o il teatro in industria dello spettacolo. Non si può badare solo al proprio teatrino, e continuare a farci le guerre da servi sciocchi; dobbiamo costruire un lavoro comune. Combattend­o insieme, senza paura, rinascerem­o più forti».

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