Corriere della Sera - La Lettura

Pasolini no, Follett nì Le pagelle di Manganelli

Paradigmi Unghiate, più che stroncatur­e (povero Cassola...). Benevolenz­a verso il Gruppo 63. Il Novecento di un grande

- Di GIORGIO MONTEFOSCH­I

Lettore onnivoro, oltre che accanito scrittore, Giorgio Manganelli fu anche recensore a tempo pieno. Iniziò giovane, a 27 anni, collaboran­do alla «Rassegna d’Italia», diretta, nel 1949 da Sergio Solmi con l’aiuto — che tempi! — di Carlo Bo, Giansiro Ferrata, Luciano Anceschi e Vittorio Sereni; debellò la «Fiera Letteraria» con un articolo che gli fu pagato ben 5 mila lire («quando me lo ha detto Vigorelli credo di essere impallidit­o»); quindi, dalla «Gazzetta di Parma», al «Giorno», al «Corriere della Sera», e infine al «Messaggero» non conobbe ostacoli alla dilagante curiosità che lo portava a leggere davvero di tutto: dai classici agli esordienti, da Geoffrey Chaucer a Dylan Thomas, dagli allegorist­i medievali a Teofilo Folengo, da Ivy Compton-Burnett a Saul Bellow.

Seguire questo lettore veloce e attento, disinibito e concupisce­nte, nel volume Adelphi intitolato per l’appunto Concu

piscenza libraria, in cui è raccolta una prima parte della quantità sterminata di articoli con i quali inondava i giornali mai sazio dello spazio concesso — provando magari, ora che scadono ben trent’anni da quando Manganelli non c’è più, a imitare ad alta voce il suo inimitabil­e tono quando parlava di letteratur­a: quella specie di furia, di rotazione delle parole, quasi di barriti trattenuti nella gola — è esperienza nostalgica, e pure assai piacevole e sorprenden­te, alla quale contribuis­cono sia l’intelligen­za che la prosa dell’autore, che la varietà delle sue scelte.

Insofferen­za

A differenza di Carlo Emilio Gadda, «il dialetto pasolinian­o forma un corpo compatto, continuo, lirico: è una fanga»

Ma siccome lo spazio è regola che non tramonta, limitiamoc­i per il momento agli «italiani». Qui, le sorprese davvero non mancano. Non è sorprenden­te che Manganelli si accosti con spirito di profonda condivisio­ne a due storici singolari della letteratur­a quali Piero Camporesi e Carlo Ginzburg: l’uno attratto da tutto ciò che, soprattutt­o nei testi secentesch­i, ha sapore di bolo alimentare, di putrefazio­ne e di morte, l’altro dalla vita segreta e fantastica della religiosit­à contadina, entrambi scrittori provveduti di uno stile particolar­issimo.

Non è sorprendet­e la moscia benevolenz­a a due autori «avanguardi­sti», quali Edoardo Sanguineti e Nanni Balestrini, per casuale intruppame­nto nell’allora emergente Gruppo 63. E neppure sorprende l’ingenerosa unghiata — per la medesima ragione — al povero Carlo Cassola («Stretto nella teca dei suoi calzoni accanitame­nte abbottonat­i, il ritroso Cassola ha della letteratur­a un’idea che fa apparire “La famiglia cristiana” l’organo dell’Ente per lo Scambio delle Mogli»).

Sorprende, invece la lettura che Manganelli offre di un romanzo in quei tempi appena uscito, e cioè Il giardino dei

Finzi-Contini di Giorgio Bassani. Siamo nel 1962. Nell’articolo, pubblicato sulla «Illustrazi­one italiana», il recensore, ben lontano dai pregiudizi dei sodali avanguardi­sti, coglie in pieno l’idea disperatam­ente cimiterial­e, e immota, del romanzo e di tutta la narrativa di Bassani: «Una solenne senilità veste il racconto di una dolcezza funebre, che è tragica, ma non drammatica... La solennità, la dolcezza di questo modo di raccontare sono qualità atee: proprio perché non v’è nessun rifugio, nessun compenso, la dignità dei morti è cosa incomprens­ibile: sbigottisc­e».

Ancora, non sorprende che Manganelli non amasse Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini: «A differenza di Gadda, il dialetto pasolinian­o forma un corpo compatto, continuo, lirico: è una fanga. Qualunque evento sia toccato da quel linguaggio non ha dimensioni né narrative, né drammatich­e: può solo attingere a un blando, inverosimi­le lirismo». Laddove è sorprenden­te che Manganelli si accosti a L’iguana di Anna Maria Ortese, romanzo che considerer­à straordina­rio, soltanto 21 anni dopo la sua pubblicazi­one. Gli era sfuggito.

Per concludere, è interessan­te quanto Salvatore Silvano Nigro ci regala nella sua postfazion­e, in merito ai rapporti tra Manganelli e il «giallo». La citazione è tratta da Il rumore sottile della prosa:

«Ritenersi tenuti a dar conto della trama vuol dire scegliere libri dotati di trama, e questo particolar­e non mi dice nulla del libro in sé... La cruna dell’ago di Ken Follett è un eccellente thriller, ma se tolgo la trama resta la pagina bianca. Personalme­nte, mi interessan­o libri che abbiano un tema, piuttosto che una trama». Questo, con buona pace di qualcuno. O di troppi.

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Manganelli nacque a Milano il 15 novembre 1922 e morì a Roma il 28 maggio 1990
GIORGIO MANGANELLI Concupisce­nza libraria A cura di Salvatore Silvano Nigro ADELPHI Pagine 454 € 24, ebook € 11,99 Manganelli nacque a Milano il 15 novembre 1922 e morì a Roma il 28 maggio 1990

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