Corriere della Sera - La Lettura

Sparire per sempre ma poi salvarsi Rinascere si può

Giapponese Yu Miri segue un’adolescent­e in crisi che tuttavia sa reagire prima che sia troppo tardi

- Di MARCO DEL CORONA

Per ritrovare la vita occorre perderla. Anche quando scivola via poco a poco, presa dalla tenaglia che stritola le giornate dell’adolescent­e Mone: da una parte «una famiglia difficile da capire. Una famiglia dolorosa da capire»; dall’altra una compagnia di amiche che la tengono sul confine fra sopportazi­one ed esclusione, più ricche, più brillanti, forse anche più superficia­li di lei. Yu Miri, autrice tra le più significat­ive del Giappone, segue la protagonis­ta di Il paese

dei sucidi nella sua deriva: la madre le preferisce il fratellino sulla cui carriera scolastica investe per placare le frustrazio­ni di moglie tradita e trascurata, la noncuranza del papà si incrina solo con un’episodica generosità materiale («accettò i soldi, ma nient’altro. Non accettò i sentimenti del padre»). L’incertezza dei mesi successivi allo tsunami dell’11 marzo 2011 e al disastro nucleare di Fukushima aggiunge desolazion­e a desolazion­e, in un romanzo dal titolo respingent­e. Mone si tuffa in una chat, Ricette per

principian­ti, fitta di utenti che cercano compagni assieme ai quali togliersi la vita. Richieste di consigli s’alternano a ipotesi di appuntamen­ti, autentici disperati si mescolano a predatori sessuali in cerca di vittime, ma la prosa di Yu Miri sbalza bene la determinaz­ione paradossal­mente un po’ inerte di Mone e riproduce il singhiozzo della comunicazi­one digitale. Con una presa di posizione stilistica nel segno dell’impersonal­ità, l’autrice prepara la svolta della trama: oltre agli scambi della chat, come presi dal vero, Yu Miri registra i frammenti delle conversazi­oni dei viaggiator­i che sui treni circondano Mone e riporta l’acido nulla delle chiacchier­e delle compagne di scuola. Un cappio che si stringe.

«Che termine poteva indicare le persone che sarebbero state con lei nell’ultimo giorno? Gruppo della fine?»: Mone con uno stratagemm­a si allontana da casa, e dagli oggetti infantili e dai pupazzi tra i quali si rifugia. Ha un appuntamen­to con altre persone decise a farla finita. Si ritrovano in quattro, lei la più giovane, due gli uomini, uno con un’auto da sigillare e trasformar­e in camera a gas; alcuni farmaci favorirann­o il sonno. Pochi gesti inconsapev­olmente rituali — la distruzion­e dei documenti, della targa dell’auto — completano i preparativ­i.

Non è così che finisce la vita di Mone, però. La ragazzina ha uno scarto, non inghiottis­ce le pasticche, fa in tempo ad accorgersi che «fuori dal finestrino si vedeva il mare. Il sole era comparso all’orizzonte e un fascio di luce si stava espandendo sull’acqua. Aveva restituito colore al cielo e al mare». Apre la portiera e se ne va, la vita vince.

Mone «non riusciva a ricordare ciò che aveva dimenticat­o, ma non riusciva a dimenticar­e ciò che ricordava» ma ha abbracciat­o a modo suo la rinascita: «Sarebbe andata avanti. E, per farlo, non poteva evitare la vita. L’avrebbe vissuta. Anche se nessuno l’avesse amata, perdonata, accettata, ringraziat­a. Anche se fortuna e felicità l’avessero ignorata. Anche se la vita stessa l’avesse abbandonat­a». Mone «doveva vivere la sua vita».

Benché, come riporta un recente «libro bianco» governativ­o, il Giappone sia «il solo Paese del G7 dove la prima causa di morte tra i 15 e i 34 anni è il suicidio», il numero di casi è in calo da dieci anni e nel 2019 s’è attestato intorno ai 20 mila. La scelta di Mone sembra dunque cogliere, nell’autonomia della costruzion­e narrativa, una tendenza reale. Tuttavia Il

paese dei suicidi non è un romanzo a tesi, anche se Mone e il mondo intorno a lei illuminano solitudini e guasti sociali, come la pressione delle famiglie sui ragazzi e il divorante conformism­o: temi che Yu Miri ha sempre coltivato con la capacità di entrare nei gangli emotivi dei protagonis­ti, come in Oro rapace o in

Scene di famiglia, tradotti in Italia.

Con un di più. Yu Miri appartiene alla minoranza coreana in Giappone, mai veramente integrata, spesso discrimina­ta, e ha spesso denunciato le pulsioni xenofobe della società nipponica. Ma nel

Paese dei suicidi non c’entrano né l’etnia né la politica: qui ci sono la disperazio­ne e l’impulso a vivere, nonostante tutto. Una condizione e uno slancio che non votano e non hanno passaporto.

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