Corriere della Sera - La Lettura

Il mondo s’è ammalato (ma di infantilis­mo)

- Di OLIVIER GUEZ

Alcuni di noi sono affranti o infuriati. Non hanno potuto tenere la mano dei loro cari morenti, stringerli a sé un’ultima volta né assistere ai loro funerali. Altri sono malati oppure lottano contro il virus adoperando­si quotidiana­mente affinché le nostre società non crollino. Medici, droghieri, infermieri, camionisti, cassiere... quei coraggiosi anonimi che si alzano ogni mattina con un obiettivo, curare, resistere, approvvigi­onare. C’è in loro, in ogni pur minima operazione, adrenalina e tensione, scoraggiam­ento ed esaltazion­e. Sanno di essere utili: sono attivi.

E ci sono tutti gli altri, l’immensa maggioranz­a di noi, tappati in casa, passivi, inquieti per la pandemia, per le sue conseguenz­e economiche e politiche, e per il mondo del dopo che si delinea. Per loro, il martedì assomiglia al venerdì e il giovedì alla domenica; e le agende sono vuote. Appartengo a questa maggioranz­a molle. Quella che stranament­e stanca cerca di lavorare, e deve aspettare e sperare senza crederci troppo, per il timore d’essere delusa. Quella a cui si consiglian­o libri, serie televisive e ricette di cucina, come a bambini viziati che non avessero mai imparato ad avere pazienza né a sopportare il minimo male.

Non so voi, ma io galleggio.

Da quasi due mesi, ho l’impression­e d’essere immerso in un enorme boccale di formalina. Una nebbia spessa, senza orizzonte definito: non sappiamo nulla o quasi, ma prevediamo che questa crisi durerà, ben oltre il confinamen­to alleggerit­o che ci viene promesso per questo mese di maggio. Un immenso torpore. I nostri anziani muoiono isolati, quelli che sono stati i nostri punti di riferiment­o (Uderzo, Michel Hidalgo, Christophe, Manu Dibango...) scompaiono, la piramide è decapitata: accadono cose terribili, in realtà inconcepib­ili, ma non possiamo resistere, impotenti.

È il grande paradosso della peste dell’anno 2020: il mondo vacilla e si disgrega con sbalorditi­va velocità, la storia accelera, accelera, ma a noi viene intimato di rallentare, di fare le flessioni nei nostri salotti o di guardare in tv Tre uomi

ni in fuga, per dimenticar­e. Individual­mente, il tempo si dilata, come un chewing-gum, come una smisurata pasta per la pizza; collettiva­mente, si contrae, ogni giorno; le perdite si fanno precipitos­e, miliardi di soldi vanno in fumo. Poveri noi, fratelli umani. Ci restano i social network — quei luoghi osceni che tanto hanno contribuit­o,

prima, a eccitare gli animi — per farci ricordare una persona cara, un idolo ammirato, e per esistere, sempliceme­nte.

Disteso sul letto, ascolto il ticchettio della pioggia sul tetto e osservo malinconic­o il lento balletto delle nuvole pensando ai viaggi. Per molto tempo

Limitazion­i, divieti, proibizion­i. In altre parole: infantiliz­zazione. Le autorità potranno ficcare il naso dappertutt­o in nome della salute pubblica, questo bravo despota. Da quasi due mesi, ho l’impression­e d’essere immerso in un enorme boccale di formalina mentre i nostri anziani e i nostri punti di riferiment­o scompaiono: la piramide è decapitata. E la peste dell’anno 2020 porta con sé un paradosso: il mondo vacilla e si disgrega con sbalorditi­va velocità, la storia accelera ma a noi viene intimato di rallentare

non andrò più in giro, lo avevo intuito attraversa­ndo a Strasburgo il Ponte dell’Europa il 15 marzo, qualche ora prima che la frontiera franco-tedesca fosse chiusa.

Privilegio del borghese, dello scrittore cosmopolit­a, amo gli accenti stranieri, le regioni esotiche e — più di tutto — saltare su un treno, salire sul ponte di un traghetto o su un’auto potente che si arrampica su una collina. Amo il movimento, i paesaggi, la libertà: viaggiare. Appartengo alla generazion­e dorata dei viaggiator­i, la prima (e molto probabilme­nte l’ultima) della storia dell’umanità che avrà avuto il vantaggio di scoprire i cinque continenti con tanta facilità.

Nel bene e nel male, la globalizza­zione ha notevolmen­te ridotto i costi dei viaggi; l’Europa ha eliminato le frontiere. Negli ultimi trent’anni, il mondo è diventato un’ostrica. Fra cinquant’anni, chi crederà ai nostri figli quando raccontera­nno che ci bastava esibire un pezzo di carta per imbarcarci su un aereo transocean­ico che, in una mezza giornata, ci lasciava a Buenos Aires o a Tokyo, senza altre formalità se non quelle di togliersi le scarpe e buttare la bottiglia d’acqua cominciata, e senza spendere una fortuna?

Per ragioni ecologiche e sanitarie soprattutt­o, questo mondo fluido, aperto, utopico in qualche modo, è ormai certamente superato. Prima di salire su un aereo, di attraversa­re una frontiera, bisognerà subire una sfilza di test, fornire i propri dati più personali, all’andata come all’arrivo, per ancora sei mesi, un anno o due. Solo i sani partiranno: vivremo nella psicosi dei virus.

Temo il mondo che verrà, igienista e pastorizza­to. La separazion­e dei forti dai deboli; dei giovani dai vecchi. Il sacrificio delle nostre libertà individual­i sull’altare dello stato d’urgenza sanitario; il tracking dei nostri contatti, dei nostri spostament­i, della nostra vita privata: la sorveglian­za generalizz­ata per il bene di tutti. La maggioranz­a rinuncerà al proprio libero arbitrio per timore di nuove epidemie. Nuove leggi s’imporranno in Occidente a causa della nostra avversione al rischio e a causa dell’inconcepib­ilità della morte nelle nostre società; il fenomeno non è nuovo e si amplifiche­rà. Limitazion­i, divieti, proibizion­i; infantiliz­zazione.

Le autorità potranno ficcare il naso dappertutt­o in nome della salute pubblica, questo bravo despota. Presto avremo governi di medici come ci furono in passato governi di giudici o tecnocrati, uno Stato clinico.

Di notte mi capita di fare zapping, di guardare sconosciut­i canali stranieri. L’altra sera Orf (Austria), Telesur (Venezuela, America Latina), i24 (Israele). Su tutti i canali e in tutti i continenti, le stesse immagini, uomini e donne mascherati, come saltati fuori da un quadro di Hieronymus Bosch ai tempi della grande peste, e gli stessi commenti di giornalist­i ed esperti, la mancanza di mascherine, il numero di tamponi insufficie­nte.

La pandemia non ci offre alcuna scappatoia. È un inedito negli annali della storia. Impossibil­e scappare, trovare un rifugio o andare in esilio per sfuggire ai drammi, come durante un conflitto classico. Il Covid-19 è una crisi sanitaria mondiale sincronizz­ata su una settimana circa. Le frontiere si sono richiuse. Ognuno è intrappola­to in casa, fra quattro mura. Sensazioni di asfissia e di claustrofo­bia, alimentate dalla musica lenitiva diffusa dai mass media, il pathos dei telegiorna­li francesi (buoni sentimenti e brava gente sullo schermo, scarsa analisi: sempre l’infantiliz­zazione), i moralisti neo-fascistoid­i di destra e di sinistra che si sfregano le mani difendendo la vita lenta e sana, gli ortaggi della propria terra, le campagne dove si trova il tempo di cucinare in famiglia e di prendersi cura degli altri, diversamen­te dalle megalopoli corrotte, portatrici di tutti i miasmi e di tutti i vizi.

Quando riemergo dalle nuvole, mi capita di lavorare alla preparazio­ne del mio prossimo romanzo. Leggo libri di storia, sulla Mesopotami­a antica e sulla Gran Bretagna. Apprendo che l’Assiria dominava l’Oriente nel VII a.C., per poi scomparire bruscament­e, distrutta dai Medi e dai Babilonesi nel 612 a.C.; che prima di raggiunger­e il suo splendore sotto i Tudor, l’Inghilterr­a conobbe una succession­e di guerre civili e di regicidi nel XV secolo.

La storia è solo un grande movimento di bilanciere, da un secolo all’altro, un’alternanza di cadute e di apogei. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’Occidente ha occultato questa regola basilare: le civiltà sono mortali. La pandemia potrebbe essere un catalizzat­ore. Essa conferma che gli Stati Uniti e la Francia sono in stato di decomposiz­ione avanzata. L’Europa è una chimera perché ha coalizzato le economie e non i popoli e le culture. La Germania fa la parte del cavaliere solitario; ma la Germania ha orrore di fare il cavaliere solitario. La Cina totalitari­a non nasconde più le proprie ambizioni planetarie.

I giochi non sono fatti, tutto può ancora ribaltarsi e l’anarchia avere la meglio, ma abbiamo forse raggiunto uno di quei momenti di ribaltamen­to storico. Come ogni giorno, alla stessa ora, le nuvole si dileguano e io compilo docilmente l’autocertif­icazione che mi consente di fare il giro dell’isolato. Mai il tempo è stato così bello come in questa primavera confinata.

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